Povera e nuda vai … Poesia. Un pezzo di storia tricaricese
L’Università di Mastro Innocenzo
Questo ricordo di mastro Innocenzo Bertoldo riprende con marginali varianti il ricordo che pubblicai alcuni anni fa. Aggiungo quindi la storia della seconda amministrazione Scotellaro e divago su un lemma del Dizionario del Dialetto Tricaricese dell’arch. Domenico Carmine Langerano.
Inizio dal Dizionario, un’pera che mi ha lasciato a bocca aperta. Lo leggerò tutto, parola per parola: un impegno che è anche l’augurio che mi resti uno scampolo di vita sufficiente, perché l’impresa sarà lunga e faticosa. E sulla lunghezza, alla mia età, non posso garantire.
A una prima scorsa mi sono fermato al lemma (pag. 60) Don-Piskopètt “Soprannome dato da mastë-Nucènz u-mmastaridd (v) a un celebre avvocato (Leopardi) …”, spiega Langerano. Mastë-Nucènz u-mmastaridd era il sopranome di mastro Innocenzo Bertoldo, e di qui il ricordo di lui che intendo rinnovare. Perché era soprannominato u-mmastaridd ? Perché il padre faceva il bastaio, fabbricava, vendeva e aggiustava basti per animali da soma. Mastro Innocenzo non seguì le orme del padre, fece il calzolaio e suonava il clarinetto nella banda locale. E per alcuni anni frequentò una prestigiosa Università, di cui dirò più avanti.
Don Piskopett non era l’avv, Leopardi, come scrive Langerano, ma il tricaricese avv. Mario Gaetano, che, agli inizi degli anni Cinquanta fu segretario provinciale della DC. Preciso tuttavia, se mai ce ne fosse bisogno, che Mario Gaetano non è il giovane avvocato di cui in seguito parlerò a lungo.
L’avv. Leopardi, a torto citato, nei miei ricordi si collega al film I Basilischi di Lina Werthmüller. Certamente vorrò e dovrò parlare di Rebuzzini, pure citato nella spiegazione del suddetto lemma. Come pure vorrò e dovrò raccontare la mia versione diversa e, secondo me, preferibile e più razionale – se è possibile che una simile storia contenga un che di razionale -, rispetto a quella raccontata da Mimmo Langerano (p. 213) della sarda salata che, nei duri momenti di siccita, quando i raccolti minacciavano di bruciare, veniva messa in bocca a Sant Nucenz perché provocasse la pioggia. Credenza o burla che richiama la dabbenaggine di alcuni paesani di Albano, che, sempre in un momento di siccita, pensarono di dar da mangiare al loro asino un ciuffo d’erba che, giallo e moribondo, ancora resisteva in cima al campanile. Legarono all’asino una corda al collo per issarlo. L’asino tirò le cuoia con una smorfia e i suoi padroni si felicitavano, dicendo: – Vir com rir u ciuccio, iè cuntent, ca stai p mangià! -.
Me è bene che torni serio e finalmente mi dedichi al ricordo di mastro Innocenzo Bertoldo.
Mastro Innocenzo Bertoldo ha un posto di rilievo nella storia di Tricarico come vice di Rocco Scotellaro: vice segretario della sezione socialista e vice sindaco in tutte due le sindacature di Scotellaro. Era stato un grande amico e compagno di mestieri di Vincenzo Scotellaro, padre di Rocco. Tutte due calzolai, tutte due suonatori nella banda locale: di clarinetto mastro Innocenzo, di trombone mastro Vincenzo.
Si diceva – per scherzo o per cattiveria – che mastro Innocenzo fosse analfabeta e avesse imparato solo a scrivere la sua firma per superare la prova di alfabetismo, che è condizione di eleggibilità, senza conoscere le singole lettere dell’alfabeto che componevano il suo nome. Mastro Innocenzo, dicevano calunniando o scherzando, la firma la disegna, non la scrive. Ma ha stancato la mano, mastro Innocenzo ad apporre la sua firma su carte d’identità, certificati e documenti in vece del sindaco, in ufficio e per strada. – Mast Nuce’, mitt’m na firm –.
La diceria dell’analfabetismo lo faceva sorridere. – Io – si vantava – ho fatto l’Università, eccome. La mia Università v’la sunnata -. L’Università mastro Innocenzo l’aveva fatta alle Tremiti, al confino, e in carcere, e aveva avuto come Maestri nomi illustri di intellettuali antifascisti, confinati o carcerati come lui. Per ricordare il tempo del confino diceva: «Quand’ero all’Università» o, più raramente, «Quand’ero all’isola». Fu una Scuola che gli dette testa e cuore per capire quando il mondo gira dritto e quando gira storto. Una vera Università.
I socialisti e i comunisti di Tricarico, che non avevano fatto l’università come lui, covavano il complesso della mancanza di un laureato tra le proprie fila che li dirigesse, e quando un laureato si fece avanti ci fu chi immaginò che bisognasse mettere da parte Rocco Scotellaro, che laureato non era, o, quanto meno, che bisognasse collocarlo in seconda fila.
Il fatto accadde nell’anno di grazia 1948. Il 18 aprile di quell’anno Rocco Scotellaro aveva scelto il Fronte Popolare, contro il parere dei suoi grandi amici Manlio Rossi Doria e Carlo Levi e aveva addirittura provocato la crisi della sua amministrazione, di cui facevano parte repubblicani e indipendenti, che si dimisero in dissenso con la scelta frontista del sindaco. Si doveva quindi eleggere la nuova amministrazione. Si fece avanti un giovane avvocato. Precisamente: un giovane dottore in giurisprudenza non ancora avvocato e, forse, data la giovane età, non ancora procuratore legale, ma a Tricarico chiamavano avvocato anche uno studente in legge al primo giorno d’iscrizione. Il giovane avvocato aveva un recentissimo passato incompatibile con la democrazia: se la tragedia che sconvolse l’Italia fu una guerra civile, ebbene, l’avvocato si era schierato dall’altra parte. (Togliatti, il capo dei comunisti, chiuse la partita con un gran perdono. E fece bene). Insomma – tornando a noi – il giovane avvocato tricaricese era stato un repubblichino. Ma non ne fece un problema, né lui né chi qualche domanda avrebbe dovuto porsela. Il giovane avvocato indossò una casacca saragattiana e si fece avanti. Negli anni a venire cambiò altre volte casacca, spostandosi da sinistra a destra e da destra a sinistra, coerentemente sempre alle estremità, e le federazioni materane dei due gloriosi partiti della classe operaia, cieche e mute, naturalmente non vedevano e non parlavano. Al Nostro – socialcomunista nel 1948 – non si sa cosa ne fu dell’ascendenza saragattiana immediatamente precedente -, missino-monarchico nel 1953, socialcomunista nel 1957, e via andando alternando nelle successive elezioni comunali, riuscì una sola volta di occupare per un breve periodo la poltrona di sindaco di Tricarico.
Detto pane al pane e vino al vino, la poltrona la strappò a Rocco Scotellaro in occasione (non dico approfittando) dell’ingiusta detenzione di Rocco. Ma su quella poltrona sedette per poco e ne fu sloggiato, destituito dalle sue cariche in quanto ineleggibile per il suo passato repubblichino.
Quando si era fatto avanti non gli si disse «No, grazie. Abbiamo Rocco Scotellaro», ma ci fu chi ritenne che fosse stata trovata l’alternativa a Rocco Scotellaro, che a venticinque anni una laurea non l’aveva ancora, e a trent’anni, quando morì, continuava a non averla. La lista dell’Aratro col cappello frigio (simbolo della sinistra) per l’elezione del nuovo consiglio comunale fu il frutto di un faticoso compromesso e di un misterioso imbroglio. Il compromesso fu che la lista dei candidati sarebbe stata presentata in ordine alfabetico; l’imbroglio che l’ordine alfabetico subì un disguido in testa. Il coltivatore diretto Baratta Francesco Paolo fu n. 2 e l’avvocato, che, per l’ordine alfabetico, avrebbe dovuto seguire Baratta, fu n. 1. Capolista! Il nome di Rocco Scotellaro nella lista fu sedicesimo, ultimo, secondo il patto dell’ordine alfabetico. Egli aveva dovuto subire una candidatura incompatibile con la natura stessa della sinistra, e non solo della sinistra, aveva accettato il compromesso della lista in ordine alfabetico, ma non avrebbe assolutamente consentito l’inversione in testa alla lista, non per motivi personali ma perché il capolista qualifica la lista. Ma l’inversione misteriosamente si materializzò. Un primo schiaffo a Rocco Scotellaro.
Si votò. La lista Aratro vinse a stento (16 a 4 consiglieri). Ce ne sarebbe da raccontare, ma mi limito a dire che i 16 consiglieri della maggioranza erano divisi in due tronconi, chi a favore di Scotellaro e chi a favore dell’avvocato, nessuno dei quali aveva i numeri per eleggere il sindaco e la giunta. Una seduta andò deserta per mancanza del numero legale, ci vollero tre mesi di misteriosi conciliabili e segrete trattative per eleggere il sindaco, che fu Scotellaro, e la giunta. Si era giunti al punto che, secondo la legge elettorale nel tempo vigente, poco mancava allo scioglimento della “nuova” amministrazione. Ci fu quindi un atto di resipiscenza e Scotellaro fu eletto sindaco sul filo di lana. Secondo schiaffo.
Ma dopo un anno (1949), approfittando di un’assenza di Scotellaro, ad iniziativa dell’avvocato, che, non lo si dimentichi, era consigliere di maggioranza, e con l’appoggio di consiglieri di maggioranza a lui fedeli, fu presentata una mozione di sfiducia contro il sindaco: c’era ancora chi non si rassegnava ad avere un sindaco non laureato, pur essendoci un laureato che avrebbe potuto prenderne il posto. Terzo schiaffo, anche se la posizione di Rocco ne uscì rafforzata, perché la sfiducia fu respinta nonostante che essa fosse stata votata anche dalla minoranza democristiana, come logica comandava.
Dopo un altro anno (1950) Rocco Scotellaro subì l’ingiusto arresto e, all’uscita dal carcere, pienamente assolto con una motivazione che chiaramente alludeva alla ragione politica dell’incriminazione, fu costretto a dimettersi. Quarto schiaffo.
Tricarico ebbe finalmente un sindaco laureato, ma per poco, perché il sindaco-laureato, come ho già detto, non era eleggibile a causa del suo passato repubblichino. Il consiglio comunale elesse nuovo sindaco il falegname Nicola Locuoco, detto Porcogiuda per la sua mania di ricorrere frequentemente a questa innocua e innocente invettiva. Porcogiuda era un brav’uomo, raccolse i cocci e fece del suo meglio per portare in porto quella che sarebbe dovuta essere la seconda amministrazione di Rocco Scotellaro.
Il 7 gennaio 1953 l’amministrazione comunale fu rinnovata con elezioni democratiche. Le cose erano messe male per la sinistra, che, per turare le falle, inviò a Tricarico un folto stuolo di propagandiste, belle fanciulle emiliane politicamente ben preparate, dirette da un dirigente comunista di un paese vicino, che col tempo diventerà senatore. Il bersaglio del futuro senatore fu l’amministrazione uscente. Egli escogitò la comica tesi che quella amministrazione si era comportata così male, ma così male, che si era trasformata in un’amministrazione … democristiana. Per la cronaca, di questa amministrazione Rocco Scotellaro rimase disciplinatamente a farne parte fino all’ultimo giorno del mandato. Con le propagandiste emiliane io e Gino Lauria non dico che stabilimmo rapporti di amicizia, ma certamente di stima e di rispetto. Erano ragazze intelligenti e, in privato, sfogandosi con noi due, criticavano l’impostazione della loro campagna elettorale. Avrebbero voluto che si spiegasse il buono (i due anni di amministrazione Scotellaro e l’onesta gestione Locuoco) e il cattivo (le beghe per far fuori Scotellaro) e che si sostenesse che, nel complesso, quella era stata una buona amministrazione.
Nel 1956 la sinistra candidò alle elezioni provinciali Antonio Albanese, che allora era comunista. Antonio non era ancora laureato e i compagni entrarono moderatamente in crisi, cercando di farsene una ragione. Mi confidava Antonio che tra i compagni c’era chi si consolava «Mah, pur Rr’ccuccio (Rocco Scotellaro) nun’ er laureat» – e chi lo esortava: «Anto’, ma pecché nun ti pighia pur tu na’ laurea da poeta com’a Rr’ccuccio?».
Refugium peccatorum si diceva della facoltà di giurisprudenza. A Tricarico riuscirono a riabilitare questa gloriosa facoltà. Il refugium divenne la poesia. Povera e nuda vai … Poesia!
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