ROCCO SCOTELLARO – E’ FATTO GIORNO – NEVE

                             « Mamma, tu sola sei vera. 
E non muori perché sei sicura »
Con questi versi si conclude
l’opera poetica
di Rocco Scotellaro
mentre stava  per concludersi
la sua stessa vita.

A UNA MADRE

Come vuoi bene a una madre

che ti cresce nel pianto

sotto la ruota violenta della Singer

intenta ai corredi nuziali

e a rifinire le tomaie alte

delle donne contadine?

 

Mi sganciarono dalla tua gonna

pollastrello comprato alla sua chioccia.

Mi mandasti fuori nella strada

con la mia faccia.

La mia faccia lentigginosa ha il segno

delle tue voglie di gravida

e me le tengo in pegno.

 

Tu ora vorresti da me

amore che non ti so dare.

Siamo due inquilini nella casa

che ci teniamo in dispetto,

ti vedo sempre tesa

a rubarmi un po’ di affetto.

Tu che a moine non mi hai avvezzato.

 

Una per sempre io ti ho benvoluta

quando venne l’altro figlio di papà:

nacque da un amore in fuga,

fu venduto a due sposi sterili

che facevano i contadini

in un paese vicino.

Allora alzasti per noi lo stesso letto

e ci chiamavi Rocco tutt’e due.

(1948)

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II ed. di E’ fatto gorno dicembre 1954
con 10 Tavole di Aldo Turchiaro, pp. 50-51
Pubblicata in «Svizzera Italiana», dicembre 1949.
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     «A una madre» racconta la vita di Francesca Armento, madre di Rocco Scotellaro, come la poesia «Mio padre» racconta la vita del padre Vincenzo.
     La diversità grammaticale e sintattica dei titoli marca peraltro una differenza. Il pronome « Mio », riferito al padre, rende esclusivo il rapporto personale col padre: è di quel padre e solo di quel padre che la poesia racconta la vita. Il complemento di termine « A una madre » non esclude il rapporto personale con la madre e la poesia proprio della madre carnale intende raccontare, ma ne fa anche l’icona simbolica della madre popolare, oberata di svariati lavori oltre alla gestione della casa e all’allevamento dei molti figli, lasciati piangenti « sotto la ruota violenta della Singer », crescendoli in un rapporto di odio – amore. Questo rapporto è dichiarato in questa stessa poesia « Tu ora vorresti da me / amore che non ti so dare. /Siamo due inquilini nella casa / che ci teniamo in dispetto. » ed è gridato e negato con versi terribili e affascinanti nella poesia «Il grano del sepolcro», che Rocco non inserì nella sezione «Neve» ma in  «La Casa»  della seconda parte (p. 147), e nella poesia  «Mamma», che non è riportata in questa raccolta e si può leggere in «Margherite e Rosolacci» a cura di F. Vitelli, ed. Mondadori 1978, p. 87.
     «Il grano del sepolcro» chiude col verso « muorimi, mamma mia, che ti vorrò più bene », verso che, nell’Oscar Mondadori del 1982, p. 113, muta in « non morire, mamma mia, che ti vorrò più bene. » La prima versione l’avremmo poi trovata nei vv. 9-10 di «Mamma» ripubblicata, con la data 1941, a p. 158 dell’Oscar Mondadori del 2004 di «Tutte Le Poesie». Nel 1941 Rocco aveva diciotto anni. La riporto con i due versi evidenziati.

 MAMMA

Il sangue mi desti:

ecco la tua vita.

Il latte mi desti:

ecco un giovane che soffre

tutto … per te.

Sangue, latte, veleno

mamma mi desti

e non sapevi.

Muorimi, mamma mia

ché ti vorrò più bene.

(1941)

     G.B. Bronzini, ne «L’universo contadino e l’immaginario poetico di Rocco Scotellaro», p. 117) ravvisa un rapporto alternativo di amore-odio che Rocco stabilisce poeticamente con la madre carnale, che vuole viva e morta (« Verrà giugno, morirà anche mia madre, […] non morire, mamma mia, che ti vorrò più bene » (raccolta Vitelli del 1982 cit.), e con la madre familiare, il suo paese che è vicino e lontano (nelle poesie e nelle prose), che altro forse non è se non la crisi moderna di un’angoscia ancestrale, quella che Leopardi palesò tanto intensamente (G.B. Bronzini, «Leopardi e la poesia popolare dell’Ottocento», De Simone, Napoli, 1975). Sempre secondo Bronzini una spiegazione realistica, che si fonde col dilemma psicologico, Scotellaro ce la dà nel racconto «Pace in famiglia», in «Uno si distrae al bivio», p. 82.

      «Come lei, mia madre, voleva liberarsi di me e forse non le importava un momento che io nascessi o no, così io voglio oggi che lei muoia, perché ho pena della sua esistenza e voglio che sia finita.
     «Non conta soldi senza lunghi viaggi da una casa all’altra per avere prestiti e saldare, è la sola volta che esce con lo scialle di astrakan, lo stesso che ebbe in dote.
     «Non vuole vendere la casa perché spera che noi figli, dopo la morte del padre, la sopraeleviamo; non la vigna che è fatta vecchia e la vorrebbe rivedere ripiantata.
     «Ha preso il grano a debito, due quintali, va al mulino a debito, al forno, alle botteghe, ma non per lei, che campa con la cipolla e il torso meno cotto di pane e i pezzi duri che restano nella madia ».
     [[……… ]] ».
     « Una per sempre ti ho benvoluta / quando venne l’altro figlio di papà: / nacque da un amore in fuga, / fu venduto a due sposi sterili / che facevano i contadini / in un paese vicino. / Allora alzasti per noi lo stesso letto / e ci chiamavi Rocco tutt’e due ». Si sapeva tutti del fratello di San Chirico di Rocco. Che ne scrisse anche a Vittoria Botteri, sua amica di Parma, in una lettera del 23 settembre 1948: « Il giorno 11 sono stato in un paesetto vicino: era S. Rocco. Vi abita un giovane figlio di mio padre (nato da un amore in fuga, ci chiamiamo fratelli) » (Oscar a cura di F. Vitelli 1978, p. 155). Il fratello di San Chirico seguì la bara di Rocco che era portata al camposanto. La pelle e i capelli erano più rossi (Rocco negli ultimi mesi si era schiarito di pelle e i capelli avevano perso il vivace colore rosso), la rassomiglianza impressionante.
     Il dilemma « muorimi, mamma mia … non morire » si scioglierà quel 13 dicembre 1953 con l’ultima poesia «Tu sola sei vera». Resta la mamma sola verità e sola sicurezza. « Mamma, tu sola sei vera. / E non muori perché sei sicura. » Con questi versi si conclude l’opera poetica di Rocco Scotellaro mentre stava  per concludersi la sua stessa vita.

 

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