ROCCO SCOTELLARO – È FATTO GIORNO – È CALDA COSÌ LA MALVA

L’AMICA DI CITTÀ

Il mio occhio è fatto per guardarti,

amica, come il sole è frastagliato

dietro le quercie di prima mattina.

Hai tu la veste succinta dell’alba,

hai le labbra di carne macellata,

i seni divaricati.

Sono stato con te. Ciao me ne vado.

Non ti scordar di me,

dei braccianti rimpiccioliti

nel fascio dei fanali

che scappano nei campi come lepri.

 (1945)

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II ed. dicembre 1945 di È fatto giorno con
10 Tavole di Aldo Turchiaro, p. 43
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Come commento di questa poesia riporto alcune pagine (192-194) del volume di G.B. Bronzini « L’universo contadino e l’immaginario poetico di Rocco Scotellaro », tratte dal paragrafo Il racconto ambivalente di realtà/finzione e la poetica di Scotellaro del Capitolo sesto Il racconto vissuto e narrato (pp. 177 ss.) dove Scotellaro compie una interessante analisi della sua poesia e de L’amica di città in particolare, nel quadro di una teorizzazione del grande antropologo materano..

     La poesia aveva per Scotellaro un valore conoscitivo, è crocianamente il momento intuitivo della conoscenza. E nasceva dal contatto diretto con la realtà, dalla proiezione di immagini che la realtà produce. Gli «attimi di nascita» quando si ripetono collaudano la composizione poetica e quando ritornano nel ricordo permettono di «organizzare e sviluppare» liricamente «i sentimenti di quegli attimi», come lo stesso Scotellaro annotò in uno degli appunti dell’Uva puttanella, a proposito dell’Amica di città. Ecco il testo della poesia:

[OMISSIS, giacché il testo è riportato sopra]

      Ed ecco l’annotazione, che la riguarda, nei Frammenti e Appunti dai Quaderni dell’Uva puttanella (Il 51 ):

Le tenere sorelle era un tema che volevo dedicare alle adolescenti e bambine che mi sono state amiche e amanti fino a qualche mese fa.
Tema difficilissimo che svolgerò più in là.
Rileggo «L’amica di città» – una poesia che sarà del ’48[1].
A proposito di date e di tempo, vedo che smarrisco o strappo i manoscritti, quando la poesia è finalmente diventata unita: si tratta di solito di miseri pezzi di carta con segni, quasi stenografici, a volte sulle scatole dei cerini; ricordo le paginette usate da sindaco, le stesse che mi servivano per raccomandare un disoccupato al collocatore. Copio, quasi subito a macchina, e le varie versioni passano allora sotto la tastiera. Ebbene, «L’amica di città», innanzi tutto, aveva un altro titolo, un verso: «Hai le labbra di carne macellata». Mi venne, viaggiando in corriera alle 6 di mattina, verso Matera per servizi in prefettura. Il sole sorgeva, prima di arrivare a Grottole, dietro le poche quercie rimaste sui lembi di terra che accompagnano la rotabile. Scrissi !’impressione del sole a pezzettini dietro le chiome degli alberi: «frastagliato» e mi considerai attratto con gli occhi e seppi la loro enorme vitalità, la prima via di svegliare l’amore. Tutto era ancora buio nella corriera, che però ora spegneva i fari, che prima avevano messo in fuga i contadini vicino ai paesi che si recavano in campagna frettolosi.
Più che le date dunque di una poesia, si ricordano gli attimi di nascita, e se quelli si ripetono, in genere, la composizione è buona. Tanti che scrivono un ricordo, se si preoccupano di organizzare e sviluppare i sentimenti di quegli attimi, avrebbero scritto una lirica.

     La letteratura, prosa poetica e prosa scientifica, rappresenta per Scotellaro la fase riflessa di questo processo conoscitivo intuitiva- mente tentato e avviato dalla poesia: la fase che fruisce della consumata esperimentazione poetica.

     L’inchiesta sociologica ch’egli si prefiggeva di compiere e compì solo in parte doveva raggiungere termini di conoscenza non raggiunti dalla poesia. Rientrava, dunque, nella fase letteraria della conoscenza, ma si poneva per obiettivo (e non più per intuizione) la conoscenza di un medesimo oggetto nascosto: il mondo contadino. La rappresentazione dei Contadini del Sud si sovrappone alla fase poetica, non annullando ma inglobando il momento poetico, che continua ad agire sia nelle cinque vite raccontate sia nelle rispettive presentazioni dell’Autore e note di commento, oltre che, con maggiore evidenza, nel racconto della madre. Non v’è iato fra produzione poetica e ricerca culturale. Gli appunti trovati fra le sue carte potevano servirgli per l’una o l’altra produzione.

     Ne consegue che l’ordine poetico che, partendo da una programmazione fissata in uno schema scientifico, venne assumendo il libro sui Contadini del Sud non è un ripiego, la risoluzione che Scotellaro avrebbe presa per ragioni pratiche o d’inclinazione, ma è l’ordine ch’egli intendeva dare anche all’inchiesta e che andò elaborando sino a due giorni prima di morire. Ordine poetico, ad evitare equivoci, voleva dire presentazione non di fatti impersonali relativi al comportamento umano di una gente, ma di individui creatori e fruitori di una realtà esistenziale, sociale e culturale che va conosciuta «nel suo formarsi e modificarsi presso il singolo protagonista». Altro non intendeva e non poteva dare una inchiesta pseudosociologica come quella impostata e iniziata da Scotellaro “, che però non va valutata con parametri scientifici.

     Di qui il valore del contadino singolo e del processo della sua cultura singolarmente registrato (che in una fase più avanzata di studio richiederebbe di essere anche illustrato e analizzato), come caso autonomo e pur collegato con gli altri similmente diversi di una storia comune ma fatta pur sempre di individui, secondo la visione di Scotellaro, distante da quella di Levi, tangente ma non collimante con quella di Ernesto De Martino. Non sono senza significato i punti in comune, di metodi e risultati, rilevati fra l’inchiesta di Scotellaro in Lucania e quella di Danilo Dolci in Sicilia.

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[1] Nello «Specchio» Mondadori a cura di Carlo Levi del 1954 la poesia è datata 1945; nell’ edizione Vitelli degli Oscar Mondadori 1982 e in «Tutte le poesie» della medesima collana, pure a cura di Vitelli, la poesia è datata 1948, come negli Appunti annota Scotellaro.

 

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