ROCCO SCOTELLARO – È FATTO GIORNO – INVITO

INVITO

Oh! Qui nessuno è morto!

Nessuno di noi ha cambiato toletta

e i contadini portano le ghette

di tela, quelle stesse di una volta.

 

Oh! Qui non si può morire!

Venite chi vuol venire:

suoneremo la nostra zampogna

soffiando nella pelle della capra,

batteremo sul nostro tamburo

la pelle del tenero coniglio.

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II ed. dicembre 1954 di E’ fatto giorno con
10 Tavole di Aldo Turchiaro, p. 29
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Invito è l’ottava e ultima lirica della prima Sezione di È fatto giorno, alla quale presta il titolo. Il poeta invita a venire nella sua terra ricca di sapienza arcaica e mitica, dove nessuno è morto e non si può morire.

G.B. Bronzini così commenta in alcuni passi del paragrafo Religione della terra ed esistenza contadina del terzo capitolo del volume L’universo contadino e l’immaginario poetico di Rocco Scotellaro, Bari, Dedalo, 1987, pp.113 – 15:

«Della condizione reale e psicologica dei contadini lucani degli anni quaranta il poeta coglie sociologicamente le più stridenti contraddizioni, le avverte e rappresenta poeticamente, le determina con la parola e l’azione politica. E le fa esplodere. “Gridano al Comune di volere / il tozzo di pane e una giornata / e scarpe e strade e tutto” (E ci mettiamo a maledire insieme), mentre i loro archetipi o modelli mitici rimangono legati al rituale sacro dell’ultimo covone, ripreso nella poesia La prima di agosto:

Dall’ombra dei fichi
si vede come una bandiera
sull’ultima biga.
E non imbianchite le casine
la festa gloriosa dei santi
padri contadini.»

 

E I santi contadini di Matera hanno l’anima totemica del lupo antico « assassinato davanti le porte», pronti a diventare « più lupi di prima », quando le campane e i venti svegliano nei loro tuguri « la faccia dei morti violenti »: i mal’ vint. Ciò conferisce loro una sacralità mitica, prima che cristiana.

[ … ]

In questa dimensione aspetti e modi di vivere riacquistano e proiettano originari significati e valori dispersi dalla società consumistica.

Il valore simbolico del costume è rappresentato dalla poesia Invito:

Oh! Qui nessuno è morto!
Nessuno di noi ha cambiato toletta
e i contadini portano le ghette
di tela, quelle stesse di una volta.

 

Le ghette di tela sono i segni lavorativi del tempo quotidiano, reso sempre più amorfo e appiattito dal ritmo urbano, come la zampogna, fatta di pelle di capra, e il tamburo della cupa cupa, fatto di pelle di coniglio, sono i segni lavorativi del tempo festivo, nella medesima poesia che così continua e conclude:

 Oh! Qui non si può morire!
Venite chi vuol venire:
suoneremo la nostra zampogna
soffiando nella pelle della capra,
batteremo sul nostro tamburo
la pelle del tenero coniglio.

 

 

 

3 Responses to Rocco SCOTELLARO, INVITO

  1. Antonello Baranta ha detto:

    Ho cantato nel 1973, in un cabaret di Silvano Spadaccino, questi versi di Scotellaro

  2. Antonello Baranta ha detto:

    Li ricordo ancora a memoria sebbene ho paura, non essendoci più registrazioni, di perderne traccia!

    • Antonio ha detto:

      Non ho ben capito di che cosa teme di perdere traccia. Le sarò grato se potrà aiutarmi. Cordialmente, Antonio Martino

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