LE RAGIONI DELLA SCELTA (I)

PREFAZIONBE DI CARLO LEVI (II)

È FATTO GIORNO (III)

 I

     Assumo l’edizione pubblicata nel 1954 a cura di Carlo Levi nello Specchio mondadoriano come esclusivo riferimento per la (ri)lettura della raccolta E’ fatto giorno delle poesie di Rocco Scotellaro.

Rileggere contestualmente due edizioni sensibilmente diverse di E’ fatto giorno (Levi 1954 e Vitelli 1982) si rivela fonte di disagio, come se si trattasse dell’opera di due poeti diversi e mi sono convinto che bisogna leggere o l’una o l’altra o entrambe, ma separatamente. Io le ho lette, trascritte e commentate contestualmente entrambe, ho provato l’accennato disagio e ho quindi deciso di privilegiare l’edizione a cura di Carlo Levi. Non ho dubbi al riguardo (non perché azzardi giudizi, che non mi competono per la mia incompetenza) sul maggiore o minore grado di attendibilità filologica dell’edizione di Vitelli, ma per il mio personale rapporto con la poesia di Scotellaro ( che iniziai a conoscere nel 1944 ). Suppongo che l’edizione Vitelli sia oggettivamente favorita per la sua maggiore disponibilità nelle librerie di famiglia e nelle biblioteche del servizio pubblico. Proponendo la (ri)lettura di E’ fatto giorno tramite questo blog, mi parve quindi doveroso procedere con la contestuale lettura di entrambe le edizioni, perché non potevo non tener conto delle parole adoperate dallo stesso Vitelli nella presentazione del suo lavoro, di aver voluto restituire Scotellaro a Scotellaro. Ma il sentimento m’impediva di rinunciare all’edizione Levi. Io ho qualche anno meno di Rocco, ho avuto rapporti non sporadici con lui e ci univa il fatto che il mio “migliore amico”, Antonio Albanese, fosse anche il suo “migliore amico”. Quando Rocco morì, avevo letto su varie riviste alcune sue poesie e prose, altre me le aveva passate lui dattiloscritte e altre le avevo ascoltate direttamente dalla sua voce. Non ricordo tutto, ma di alcune poesie o prose ricordo momenti e circostanze in cui ne venni a contatto con la lettura o l’ascolto, e sono momenti che rivivo emozionalmente. A giugno del 1954 vivemmo una grandissima emozione nel leggere finalmente il libro delle poesie di Rocco nello Specchio di Mondadori, e di rileggerle ancora a dicembre nel primo Specchio illustrato con le dieci tavole di Aldo Turchiaro, che, da allora, ho letto, riletto e consunto.

Il disagio e l’imbarazzo, che ho provato trattando contestualmente su Rabatana le due edizioni, mi hanno indotto a rileggere qualche intervento critico sull’opera di Vitelli, a cominciare dalla Storia e preistoria dell’edizione leviana di E’ fatto giorno di Gigliola De Donato, in Scotellaro trent’anni dopo, Atti del Convegno di studio Tricarico – Matera 27 – 29 maggio 1984, Basilicata Editrice, pp. 311 – 340. Nello stesso volume (p. 187) si può leggere anche l’imbarazzo del prof. Ennio Bonea (1924-2006), professore di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Lecce, nella sua relazione «Le ideologie di Scotellaro». « Era tempo – scrive Bonea – che, a circa trent’anni dalla prima pubblicazione, si provvedesse a ripresentare un libro divenuto introvabile; sia lode dunque a Vitelli; ma non posso nascondere il mio imbarazzo, quando ho rilevato che l’«Oscar», anziché essere riproduzione in veste più modesta e a prezzo più contenuto di un testo più elegante tipograficamente e più costoso[1], è un’edizione «accresciuta» e, sul piano filologico, atipica: non è critica né diplomatica. Dico queste cose, avendo sperimentato la pratica difficoltà di studio nello svolgere il mio corso universitario, perché a uno studente in possesso della vecchia edizione, non ho potuto opporre l’autorità non indiscutibile della nuova, per la prevalenza scientifica di un’edizione rispetto all’altra».

Molto severo il giudizio che si può leggere in uno scritto online di Giovanni Caserta, scrittore e storico materano  (http://www.miglionicoweb.it/santagnese/scotellaro_caserta.htm). Scrive Casera: « Questa nuova edizione di E’ fatto giorno, purtroppo, dette della poesia di Rocco Scotellaro un’immagine assai diversa e molto lontana da quella conosciuta per il tramite di Carlo Levi, poiché non teneva conto del fatto, assai normale, e persino ovvio, per cui l’opera che conta è quella che esce dalla casa editrice e non già quella presentata dal poeta. La nuova edizione di E’ fatto giorno, perciò, se da un lato aprì una vivace e interessante querelle di natura filologica, dall’altro decretò la morte letteraria di Rocco Scotellaro, che scomparve da tutti i manuali di letteratura e persino dagli studi specifici riguardanti il Novecento. Questo silenzio si vorrebbe oggi rompere, in occasione del cinquantenario della morte e dell’ottantesimo della nascita; ma l’operazione di rilancio e recupero, se vuole avere successo, deve partire proprio dalla riproposizione dell’edizione leviana di E’ fatto giorno, che ormai è opera di antiquariato e assolutamente irreperibile. Lì è lo Scotellaro che conta: quello che può tornare a vivere, e che si conobbe per primo e per vero ».

Se l’edizione leviana è opera di antiquariato irreperibile, può essere rilanciata sul web, pur sine auctoritate.     Non si dimentichi, tuttavia, la lode resa a Vitelli dal prof. Bonea per la sua edizione, che io voglio qui ricordare per l’impostazione tipografica escogitata, che consente di recuperare l’edizione leviana, e utile per le accurate note che la impreziosiscono. Ma va resa grande lode a Vitelli anche per aver recuperato e donato tutto  Scotellaro, circa 500 poesie con datazione completa, a fronte delle 130 di E’ fatto giorno.

Nella nota alla bellissima Prefazione di Carlo Levi alla sua edizione si legge: « La presente raccolta delle poesie di Rocco Scotellaro rispetta sostanzialmente quella che egli stesso aveva fatto nel 1952, a cui sono state aggiunte le poesie posteriori. Nelle sue carte abbiamo trovato un gran numero di altre poesie, di frammenti, di varianti: ci proponiamo di pubblicare al più presto la raccolta completa della sua opera poetica ». Quel “al più presto” annunciava, forse Levi stesso inconsapevole, un tempo troppo lungo non solo per la nostra ansia di conoscere tutto Rocco. Va resa (ancora) lode a Franco Vitelli (e a Giovanni Battista Bronzini) di aver preso in carico tutto il materiale disordinatamente lasciato da Rocco, con appunti su scatole di cerini, risvolti di ricette e di pacchetti di sigarette e materiali analoghi, di averlo ordinato, studiato, commentato e pubblicato. Passarono ventiquattro anni, era il 1978, quando Vitelli pubblicò, ancora nella collana « Lo Specchio » la raccolta Margherite e rosolacci, della cui gestazione mi parlava spesso Mazzarone e talvolta mi accennava lo stesso Vitelli. Apprezzai molto la sensibilità di Vitelli nel pensare a quel titolo per la nuova raccolta di poesie, titolo legato a quello di una sezione di E’ fatto giorno, che evoca un gioioso squarcio di campagna tricaricese con i papaveri (rosolacci) e le margherite. Ritenni che E’ fatto giorno e Margherite e rosolacci costituissero il corpus poetico completo di Scotellaro. Il corpus si è infine completato con la pubblicazione nell’Oscar Mondadori del 2004 di tutte le poesie di Scotellaro successivamente rinvenute (ma Vitelli non si chiude alla speranza che altre poesie possano essere scoperte).

 II

PREFAZIONE

La poesia di Rocco Scotellaro, che oggi soltanto, lui morto, qui appare nella sua commovente e originale bellezza, è legata alla sua vita, che essa racconta ed esprime; e non tanto alle vicende e agli avvenimenti, quanto alla qualità, alla condizione, allo sviluppo singolare ed esemplare di quella, che nei versi ha trovato, con la rara misura del genio, la sua forma più diretta. Poiché Rocco Scotellaro è una di quelle nature per cui l’espressione poetica (il linguaggio del verso, del ritmo, ecc.) è la prima forma d’espressione, la più vicina al sentimento e al moto profondo della vita, la più immediata. Verrà poi, costruita su quei ritmi e modi naturali dell’animo, su quel denso e già chiaro primo mondo poetico, la prosa, più complessa e adulta.

     Ma questa forma immediata, intrisa di verità e del senso dell’esistenza, e così identica alla persona, non nasce come tale dapprincipio. È essa stessa una conquista, una scoperta, ogni giorno, ogni volta, preziosa e difficile. Rocco Scotellaro deve farsi da sé, deve inventare sé stesso, e la forma del proprio mondo poetico; non ha radici colte, se non quelle dell’antichissima e ineffabile cultura contadina. Perciò, finché egli è ancora adolescente, nelle poesie precedenti, all’incirca, al 1946, finché i suoi sentimenti sono ancora vaghi, generici, simbolici (il bivio, la strada, l’amore sognato, ecc.) non può ancora esistere una forma se non presa a prestito, se non letteraria. E tuttavia, sotto le derivazioni evidenti, già si sente la potenza di una personalità per la quale quei modi letterari non sono che abiti provvisori.

     Gli anni ’46-’47 segnano la sua maturazione, in senso umano e in senso poetico. Rocco è ancora un ragazzo, ma è finita in lui, e nel mondo della sua vita, l’indeterminata adolescenza. È finita la guerra, il Mezzogiorno pare si sia destato da un lunghissimo sonno, è cominciato il moto contadino, che è l’affermazione dell’esistenza di un popolo intero. In questo popolo risvegliato per la prima volta, per la prima volta vivente e protagonista della propria storia (con quali difficoltà e delusioni, e scoraggiamenti e dolori) Rocco vive la propria giovane vita; ed è il fiore di quella terra solitaria, perché il suo sviluppo di uomo è tutt’uno con il nuovo germogliare di quel popolo contadino. Con la naturale, spontanea scelta da cui nascono i capi e gli eroi popolari, egli è riconosciuto dai suoi: il piccolo ragazzo dai capelli rossi, dal viso imberbe di bambino, è il primo sindaco di Tricarico, per volontà dei contadini. L’attività politica e amministrativa non è allora per lui un’esperienza esterna e pratica, ma un’esperienza, nel pieno senso della parola, poetica.

     (Risale a quel tempo, al maggio del ’46, il nostro primo incontro, e la nostra amicizia, che a me fu, più di ogni altra, preziosa; e che forse contribuì, in qualche modo, alla sua presa di coscienza del mondo contadino di cui faceva parte, e al suo guardarlo per la prima volta con distacco e amore, al suo fame poesia, attraverso un linguaggio libero, personale, non letterario.)

     Questa sua maturazione e liberazione nell’ azione (un ospedale, una strada, una occupazione di terre, una discussione sindacale, sono, in un mondo nuovo, profonde verità poetiche) creano il grande periodo della poesia di Rocco del ’47-’48, con le poesie contadine, le poesie di ispirazione politica e sociale, tutte bellissime; alcune di esse sono, a mio avviso, grandi poesie, eccezionali nella nostra letteratura [« Sempre nuova è l’alba», questa Marsigliese del movimento contadino, « Pozzanghera nera», « Il massaro » ecc.). Con queste poesie egli si afferma non soltanto come poeta, ma come l’esponente vero della nuova cultura contadina meridionale, la cui espressione e il cui valore primo non può essere che poetico. (Allo stesso modo con cui, ma su un piano razionale, storico e critico, un altro giovane, Piero Gobetti, lo era stato, nel primo dopoguerra, per il mondo operaio e intellettuale del Nord.)

     Poi, dopo questo primo sbocciare di espressione compiuta, comincia per Rocco un’esperienza piu larga, e spesso angosciosa e difficile e dolorosa. È la vita, con i suoi complessi, i suoi problemi, le sue contraddizioni. È la lotta quotidiana nel piccolo paese, la caduta dei primi entusiasmi contadini, dopo la dura svolta del 1948; le donne, tutte, in un certo senso, straniere; il contatto con la città, difficilissimo; con un mondo già tutto fatto, incomprensibile, chiuso nella sua estranea molteplicità. Sono prove dure, culminate con un periodo di prigione, per ragioni politiche, nel 1950; e poi con le sue dimissioni da sindaco; e con la sua andata a Napoli, liberazione insieme ed esilio. È un periodo di lotta e di conoscenza, di assimilazione e di ritegno, di aperture e di rifiuti. È l’uscita da un nido tanto più materno quanto piu povero e desolato, il contatto con l’altro mondo. Questi anni di varie esperienze ci danno poesie, alcune bellissime, altre più direttamente legate alle oscillazioni sentimentali di questo processo di maturazione.

     Ma Rocco, in questo processo, si apre sempre più a grandi interessi umani, impara sempre più a contemplare il mondo partecipando continuamente (con quale fatica tuttavia, e dolente entusiasmo) alla vita; e sente in sé la capacità e la necessità di una grande e lunga strada, di una alta traiettoria che lo riporterà al mondo contadino da cui è partito, con coscienza ormai piena. Sono gli anni 1952 e 1953: è, credo, il secondo grande periodo della sua poesia; dove il senso universale della vita riempie i suoi versi, arricchiti di amorosa intelligenza; dove pure, in quella pienezza, è il presentimento della morte, e la grandezza di un destino breve; fino alle ultime poesie, quelle dell’ultimo giorno [« O mio cuore antico, / topo solenne che non esci fuori » … … « Mamma, tu sola sei vera »];

     Cosi, con questa altezza poetica raggiunta ed espressa, finisce la sua poesia e la sua vita, cosi breve per troppa intensità umana. Il cammino percorso da Rocco Scotellaro in cosi pochi anni, da un muto mondo nascente a una piena espressione universale, era quello di secoli e secoli di cultura: troppo rapido per il suo piccolo, fragile cuore contadino.

CARLO LEVI

Roma, aprile 1954.

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La presente raccolta delle poesie di Rocco Scotellaro rispetta sostanzialmente quella che egli stesso aveva fatto nel 1952, a cui sono state aggiunte le poesie posteriori. Nelle sue carte abbiamo trovato un gran numero di altre poesie, di frammenti, di varianti: ci proponiamo di pubblicare al più presto la raccolta completa della sua opera poetica.

III

È FATTO GIORNO

 

È fatto giorno, siamo entrati in giuoco anche noi
con i panni e le scarpe e le facce che avevamo.
Le lepri si sono ritirate e i galli cantano
ritorna la faccia di mia madre al focolare.

 

I

(1940 – 1949)

 E’ FATTO GIORNO

Nota. Nei successivi post. selezionando la Sezione Rocco Scotellaro – E’ fatto giorno, si possono leggere le poesie del poema E’ fatto giorno pubblicato a cura di Carlo Levi nella collana “Lo Specchio” – I poeti del nostro tempo, di cui furono stampate due edizioni (giugno e dicembre 1954)

 

2 Responses to Rileggiamo “E’ fatto giorno” secondo l’edizione a cura di Carlo Levi

  1. Laura Botti ha detto:

    Grazie

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