Don Natale e le sorelle, nel loro avito palazzetto, facevano una vita da mënùrk (per la scrittura di questa parola dialettale mi avvalgo del Dizionario del dialetto tricaricese di Domenico Langerano, augurandomi che sia di aiuto). Ricavavano sostanziose rendite e le risparmiavano al centesimo. Le gente si chiedeva: – Non hanno figli e parenti prossimi. A chi andranno tutte le loro ricchezze? – Ma don Natale e le sorelle sentivano come valore di casta il loro modo di vivere. Pativano il freddo per risparmiare il riscaldamento, mangiavano poco e male, si avvelenavano non buttando medicine scadute; per il vero il medico lo consultavano, perché non lo pagavano, ma le medicine non le comperavano. Poi c’è anche chi, dietro a una filosofia dell’austerità contrabbandata come valore, cerca di nascondere la propria grettezza e moltiplica i disagi, arrivando talvolta alla perversione di andare perfino contro i propri bisogni primari. Don Natale e le sorelle questa perversione non l’avevano del tutto. Avevano cura nel vestire con sobria eleganza, nell’apparecchiare la tavola, nel tenere i letti sempre in ordine e puliti, tutto con biancheria finissima, di prim’ordine, e coperte pregiate tessute a Firenze, che non si vedevano in nessun’altra casa di signori. Ma nella loro casa non si faceva mai il bucato.

Don Natale e le sorelle, una volta l’anno, in estate, si concedevano una vacanza presso una delle loro masserie. Durante la vacanza le mogli dei contadini facevano il gran bucato di tutta la biancheria personale, della tavola e dei letti adoperata durante l’anno. L’acqua del pozzo non costava nulla, ma l’acqua del rubinetto di casa costava. Un bel risparmio, non c’è che dire.

Un brutto giorno, anzi una brutta sera Don Natale morì d’improvviso. Il vicinato accorse premurosamente per rendersi utile. Le sorelle, affrante, chiesero di lavare per bene e profumare il corpo del caro defunto e di vestirlo col tight. Chiesero? No, comandarono, benché non avessero alcun diritto, ma il diritto era una questione che non si poneva nessuno, né chi comandava né chi ubbidiva, e nessuno pensava in quel triste momento alla loro tirchieria, alla loro boria. Questo è il vicinato.

Nessuno sapeva cosa fosse un tight. Ci fu chi non seppe trattenere l’abusata stupida battuta: – E’ una cosa che si mangia? Qualcuna (il buon senso femminile!) suggerì di guardare negli  armadi: forse, ispezionando il guardaroba, si sarebbe riusciti a capire che cos’è un tight.

In un armadio c’erano molti vestiti di diverse fogge e di diverse epoche. Alcuni li riconobbero, perché don Natale li sfoggiava la domenica e le feste comandate, quando usciva di casa e si faceva una passeggiata fino in piazza. Due vestiti attrassero l’attenzione. Il tight non poteva essere che uno dei due.  Ma quale?

Uno dei due vestiti aveva una giacca di lana di colore grigio antracite con un solo bottone. Corta davanti, finiva in una falda larga operata a spina di pesce. Sulle maniche c’erano quattro bottoni. I pantaloni erano fatti in lana grigia spinata e a righine lievemente gessati, non avevano il risvolto in fondo. Il panciotto era un monopetto a cinque bottoni in panno leggero, dal colore che era una via di mezzo tra il giallo e il beige.

Si accese un’accanita discussione, che non trovava soluzione. Quale camicia, cravatta, quali bretelle e scarpe erano adatti a completare il tight, se quello era un tight?

L’altro vestito era indossato da un manichino, sul cui capo era poggiata una parrucca bianca incipriata. Il manichino era vestito di tutto punto, dalle calze, alla scarpe, alla camicia, alla cravatta: non mancava nulla. Quell’abito lo conoscevano, perché avevano visto tante volte uno uguale nei film addosso  al re di Francia e ai suoi cortigiani. E non ebbero dubbi: il tight era quello. E con esso, parrucca compresa,  vestirono don Natale, dopo averlo lavato e profumato e avergli indossata la biancheria intima.

Le sorelle, quando videro il caro estinto così conciato, cacciarono un grido ed ebbero un mancamento. Quando si ripresero, pensavano a uno sfregio, a una miserabile vendetta dettata dall’invidia, e sbraitavano: – Delinquenti, screanzati, senza timore di Dio! Andrete tutti all’inferno …! _.

Ci volle del bello e del buono per chiarire l’equivoco. Intanto si era giunti nel cuore della notte, la sfuriata delle sorelle si placò ed ebbe inizio l’operazione di spogliare don Natale del vestito seicentesco e vestirlo col tight, che, ora era chiaro, era l’abito prima scartato. L’impresa non fu facile a causa del sopravveniente rigor mortis, ma, come Dio volle, quando il gallo cantò don Natale era adagiato, bello nel suo tight, sul suo letto a due piazze con la coperta raso di seta grigio antico. Lo guardavano contenti: una notte di dubbi, problemi, ingiurie, maledizioni e fatica era stata ben spesa. E si dissero: – Avete capito? Il tight è il vestito di un conte! – Ma don Natale era un conte?, sichiedevano maliziosamente altri.

Di ben mattino la notizia della morte di don Natale si diffuse rapidamente in tutto il paese. – E’ morto don Natale! L’hanno vestito come un conte.

Tutto il paese si recò al palazzo, premurosamente e con aria afflitta, a dare la mano alle due sorelle. Dopo sfilarono mestamente in processione davanti al cadavere di don Natale, si facevano il segno della croce e si passavano la voce: – Come è bello don Natale è vestito col tight, come un conte -.

 

Come si dice? Ah! Questo racconto è frutto di mera fantasia. Ogni riferimento a fatti e a persone è puramente casuale e non voluto.

 

2 Responses to Il tight

  1. Langerano ha detto:

    Mënòrkjë – Mënùrkjë, Detto di situazione o di persone che si rinchiudono, rannicchiate, che si isolano dal contesto, con una connotazione di buio, oscurità, di male. Gr. μέν– veramente + ὂρϕεος buio
    ——————-
    carissimo Antonio, avendoti inviato la versione word, puoi ‘copiare’ (tasto destro del mouse) le parole dal Dizionario e ‘incollarle’ dove vuoi tu, così come ho fatto io riportandole (e modificandole a piacere) in questo spazio. Un affetuoso abbraccio da Mimmo o Mimì che ti scriverà più a lungo appena possibile. Ciao

  2. D. Jankovich ha detto:

    Nostro carissimo A. M. ci sorprende quotidianamente con i suoi indovinati racconti e commenti tricaricesi.
    Grazie di cuore, ci fa sopportare meglio questo caldo certamente non lucano.

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