Nove poesie, una in più dell’edizione Levi, formano la nona e ultima Sezione della Prima Parte di E’ Fatto giorno, MARGHERITE E ROSOLACCI, dell’edizione a cura di Franco Vitelli: Attese, Trilla l’allarme, Mietitori, Giovani spose, Dopo la vendemmia, Ottobre, Il muro di cinta dei frati, Così passeggiano i carcerati, Biglietto per Torino.
      Le otto poesie comuni alle due sezioni, con i relativi commenti, si possono leggere, su questo blog, nella Categoria E’ fatto giorno.
     Mi permetto di segnalare, per le informazioni riportate, il commento alla poesia I mietitori.

Nell’edizione Vitelli è aggiunta la poesia Dopo la vendemmia. Eccone il testo :

DOPO LA VENDEMMIA

Una finestra (due scarpe scucite

un cesto di vimini

un fiore marcito) chiusa.

Quando il sole tremava alle porte

col suo battito enorme!

Ferisce l’aspro gusto di pioggia,

cala sull’ombra dei cesti svuotati,

gli uccelli si ammalano sotto il tegolo.

 1941

     I testi nelle due edizioni presentano lievi varianti di date e di formazione del plurale dei sostantivi con desinenza –cia e gia, dove Levi sopprime la vocale i, conservata da Scotellaro secondo la ricostruzione critica di Vitelli. Ho sentito qualche volta affermare che Levi avrebbe corretto errori di scrittura commessi da Scotellaro, il che talvolta è accaduto davvero, per cui non si comprende quale senso abbia ripristinare un errore, atteso che il testo di Scotellaro non è un testo definitivo. Invero, la formazione del plurale dei nomi in –cia e –gia è più complessa della regoletta che ritiene un errore la conservazione della vocale. Nel plurale di detti sostantivi, con accento sulla penultima sillaba (camìcia, valìgia ecc.) la i non ha valore fonetico (ossia non corrisponde a un suono effettivamente pronunciato: lo stesso vale per il singolare) e non serve a indicare la pronuncia della consonante precedente, come avviene invece per il singolare (i grammatici dicono che non ha valore diacritico). La vocale potrebbe dunque essere eliminata senza danno. In alcuni casi potrebbe però far comodo conservarla per distinguere due omografi (le camicie che si portano sotto la giacca e il camice che porta il medico); in altri la vocale tende a sopravvivere per il prestigio della corrispondente forma latina (provincie come il latino PROVINCIAE); in altri ancora (faccie, foggie: di faccie si ha un esempio nella poesia Biglietto per Torino) sarebbe considerata erronea da qualsiasi insegnate (Luca Serianni, Italiano –Grammatica, Sintassi, Dubbi, Garzanti 1997, p. 561.) (Credo che qualsiasi editore professionalmente attrezzato e culturalmente attento avrebbe corretto le forme plurali adottate da Scotellaro e che l’acribia di Vitelli di conservarle non ha alcuna giustificazione e nulla aggiunge, se mai toglie, alla forma poetica del testo). Per mettere un po’ d’ordine, alcuni hanno proposto una norma ragionevole, che consente di orientarsi in ogni caso e di evitare forme universalmente giudicate scorrette. La i va mantenuta quando la c e la g sono precedute da vocale (acaciaacacie, ciliegia ciligie, va eliminata quando la c e la g sono precedute da consonante (goccia gocce, spiaggia – spiagge, e quindi anche provincia – provincie. (Serianni, ivi)

 

 

 

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