EfG – Edizione VITELLI – IL CIELO A BOCCA APERTA
L’ottava sezione della prima parte di E’ fatto giorno, IL CIELO A BOCCA APERTA, ha il titolo di una delle poesie che la compongono.
Numerose differenze distinguono l’edizione Vitelli da quella di Levi: in quest’ultima mancano cinque poesie e sono presenti due che mancano invece nell’edizione Vitelli; una poesia presente nelle due edizioni, infine, è diversamente titolata. In dettaglio: le poesie dell’edizione Vitelli sono tredici, quelle dell’edizione Levi dieci, di cui due (L’agosto di Grassano e Andare a vedere una giovane), come accennato, mancano nell’edizione Vitelli; la poesia Tra quattro pareti dell’edizione Vitelli è titolata Di noi fissi nell’edizione Levi.
Le sei poesie presenti nell’edizione Vitelli e mancanti nell’edizione Levi sono: 1. Di gioventù cresciuta a suon di jazz. (E’ stata pubblicata in «La Fiera Letteraria», 19 marzo 1950), 2. Anche una pietra. (Il titolo originario era « Pensieri autunnali »), 3. Da vetri opachi, 4. I lucani cantano monotoni, 5. Estiva, L’uomo si sente chiamato. (E’ stata pubblicata in « Epoca », 7 giugno 1953. Tra le carte un dattiloscritto autografo attesta una versione in più punti diversa.
I testi di queste sei poesie sono:
DI GIOVENTÙ CRESCIUTA A SUON DI JAZZ
Ci ronza un motore
Stamane nella nostra scorribanda.
E a noi tormento il bacio meccanico
Della corriera con le acacie,
queste cicale che riprendono
ai confini dei campi di lino,
azzurro mare in quest’arsa terra,
e la presa diretta del Fiat
è musica nel piano tra gli ulivi.
Gioventù cresciuta al lamento del jazz!
Amammo io e te, ragazza, la vita
come due docili passeri in gabbia
dietro le tende dei nostri balconi.
Subito il jazz come anima ci agttenne,
e adesso, a nostra amaro consenso,
quelle note hanno dato una trama
alla nostra segreta vicenda,
ci han segnato un destino di noia,
cara, con musica ossessa.
[1947]
ANCHE UNA PIETRA
Anche una pietra che frange
l’aria, scagliata alla campagna,
è un’anima che cade
è un’anima che piange.
Pure la croce di ferro che stride
della chiesa a picco al monte,
i vestiti sulle canne,
l’albero smilzo
coi rami allividiti.
E un gallo riprende
da una guglia sulla valle.
E l’autunno, un uomo riverso,
volge le foglie gialle
alle salme composte delle tombe
e la terra può non riverdire desolata.
Grida la guerra lontana sui treni.
1943
DA VETRI OPACHI
Questa fuga non cessa
di fiocchi spersi nell’aria
comparsa folle di marzo.
Ogni inutile giorno
Abbiamo rivisto le nevi
da vetri opachi.
Il turbine rabbioso
non ci ha toccati.
1944
I LUCANI CANTANO MONOTONI
Urla la nostra canzone araba
perché solo agli zingari
noi abbiamo creduto.
Gli zingari rubano
le mandrie ai padroni
e noi cantiamo cantiamo
nella notte con loro.
Il re degli zingari è con noi
mangia con noi la carne rubata.
E noi cantiamo le lodi
solo al re degli zingari.
La donna zingara è la più bella
di quante donne che ci hanno guardato.
E noi cantiamo le grazie
delle femmine belle.
Gli animali degli zingari
hanno l’occhio mansueto
dei compagni di viaggio..
E noi compriamo i cavalli
che ci vendono gli zingari.
E solo gli zingari
ci fanno ridere e piangere
così per diletto.
Il fuoco degli zingari nel petto
le notti che il nostro tamburo
aduna i cafoni lucani
battendo nel viottolo scuro.
ESTIVA
Il pendolo scande l’uggia del tempo
e i battiti del cuore nell’insonnia.
Ruotano intanto i monti per lo spazio
immenso frullando d’armonia.
Sento lo stesso soffio
del loro cammino nella stanza.
E l’Estate appoggia le chiome sulle mensole
le membra stende tra le luci sparse.
Vi è un trainiere che dà strappe
ai cavalli nelle curve
vi è un carro che tentenna
L’ora che si vada verso il giorno
quanto l’estate appena si risvegli
per abbruciare i campi già mietuti.
L’UOMO SI SENTE CHIAMATO
Le mulattiere svolgono coi sorbi.
L’uomo si culla nel basto,
nei punti morti grida sulle bestie
e parla di niente e di nessuno
al ventilare di orridi mosconi.
Mi chiama un vecchio, il vignaiuolo,
che vuole da me?
Gli faccio cadere la sua parte,
due cicche appena nelle mani a barche.
Tossisce, si allontana,
ripete che le ciliegie
il padrone le ha già colte,
dispiaciuto che non ne può dare.
Ma come se ne va con passi indietro,
già che era venuto
qualcuno a visitarlo!
Mangia il pane col cane che lo lecca
nella casetta delle tegole rosse:
i falchetti fischiano nei nidi di roccia
come pulcini nel cuore del caldo;
la zappa cade in giro alle pietre del pozzo
fa il rumore che risponde nelle quercie.
Io faccio, se mi muovo, sgretolare
la bara della breccia del cantone
dove sono andato a stare.
Passa un campanello di bronzo
Nel collo dell’asino, fa una canzoni.
Il sole ha toccato il ventre alle cicale,
il treno è sgusciato dalla dolomite
e il rombo è duro nel bosco di Cognato.
Cade in un silenzio pieno di chiamate.
Le otto poesie comuni alle due edizioni, a cui bisogna aggiungere, per completare l’omologa sezione dell’edizione Levi, «L’agosto di Grassano» e «Andare a vedere una giovane», mostrano varianti di date e conservazione della vocale i, nell’edizione Vitelli, dei sostantivi con desinenza – cia e – gia. Vitelli, inoltre, propone il titolo Tra quattro pareti alla poesia titolata Di noi fissi nell’edizione Levi. Il titolo così proposto è la correzione nella terza copia scotellariana, mentre nella prima e nella seconda è rimasto Di noi fissi, titolo conservato anche da Levi.
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