Paolo Mieli, sul Corriere della Sera di martedì scorso, 15 settembre 2015, ha pubblicato un articolo dal titolo «Ebrei nemici degli ebrei», col quale recensisce il saggio di Roberto Curci «Via San Nicolò 30. Traditori e traditi nella Trieste nazista», che ricostruisce tradimenti e drammi durante la Shoah nella città della famigerata Risiera di San Sabba, e l’attività delatoria del triestino Mauro Grini, nonché le sconcertanti invettive antisemite del poeta triestino Umberto Saba, padre della compagna di Carlo Levi Linuccia.

     Antonio Debenedetti, giornalista e critico letterario sulle orme del padre, il grande Giacomo, è intervenuto con una testimonianza in difesa del poeta triestino, resa in una lettera a Mieli pubblicata sul Corriere di giovedì 17.

     Debenedetti premette che egli considerava Saba una specie di nonno, al quale voleva bene anche osservando la considerazione e la premura con cui lo trattavano i suoi genitori quando, nell’immediato dopoguerra, fu a lungo ospite in casa loro.

     Nella sostanza, la testimonianza asserisce che Saba era un grande provocatore, che provocava per essere poi perdonato e, quindi, nel perdono, più amato.

     Qualche esempio.

     Sapendo che Giacomo Debenedetti, cui è dedicata la «Storia e cronistoria del Canzoniere» (il Canzoniere è l’opera poetica di Saba), aveva scritto una serie di conferenze sui profeti, un giorno gli disse, anzi gli sparò in pieno petto queste parole: «I profeti portano sciagura».

     Ancora. Una sera, a casa dei genitori di Antonio, Umberto Saba si trovò in compagnia di Togliatti. Anziché rendergli omaggio, come altri convitati, il poeta del Canzoniere gli si avvicinò recitandogli una sua poesia sulle mani della Duchessa d’Aosta. Gelo in sala. Togliatti, divertito, conquistò viceversa Umberto tenendogli una lezione sulla casata sabauda.

     Di personale Debenedetti aggiunge che, andando a prenderlo a scuola, nell’immediato dopoguerra, un giorno Saba gli disse: «Ricordati, stupidello, tutto ciò che è nero è cattivo. I preti, i fascisti», sapendo che lui era cattolico per volontà di sua madre di antica famiglia cattolica. Lo provocava perché gli voleva bene.

     E conclude che l’ebraicità è un privilegio che si sconta vivendo, aggiungendo, a proposito dei mezzi ebrei, come lo era Saba e come è anche Mieli, che Umberto diceva: «I mezzi ebrei sono due volte ebrei perché si vedono essere ebrei». A proposito di ebraicità, semi ebraicità e doppia ebraicità, su cui osserva Debenedetti, va detto che si tratta più di psicoanalisi e dintorni, che di ebraismo. La legge ebraica ortodossa non prevede l’effettuazione di matrimoni misti, e se di fatto questi avvengono vige il principio della matrilinearità. Non c’è quindi dubbio che dal punto di vista della halakhah (legge ebraica) Saba sia ebreo non solo perché tale era la madre, ma anche perché pare che il padre si fosse convertito all’ebraismo per sposare la madre (che poi abbandonò). Di Mieli non so, il cognome è ebraico, ma potrebbe essere figlio di madre non ebrea come nel caso di Debenedetti, la cui madre, come si è visto, è cattolica.

     Ho forse divagato per introdurre due madrigali di Umberto Saba, scritti dieci anni uno dopo l’altro, dedicati alla Duchessa Anna d’Aosta.

     La Duchessa d’Aosta – Anna d’Orléans – fu una principessa di origine francese, che il 5 novembre 1927, a 21 anni, sposò Amedeo di Savoia-Aosta, che fu viceré di Etiopia e si rese famoso per la strenua difesa all’Amba Alagi. Morì in prigionia in Kenia il 3 marzo 1942 per malaria e tubercolosi.

      (Se vuoi, leggi su questo blog: «Quando i galli si davano voce – L’incubo dell’oscuramento», con altre notizie sull’argomento, che per comodità di chi intende dedicare un paio di minuti del suo tempo, riporto di seguito. ”     Marzo 1941. La Cirenaica era stata occupata dalle truppe brittaniche e la Tripolitania era sotto attacco. L’Impero, che solo cinque anni prima Mussolini aveva annunciato dal balcone di Palazzo Venezia che si era affacciato sui colli fatali di Roma, era perso. Il 5 maggio l’imperatore Haile Selassie rientrerà trionfalmente ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia, lo stesso giorno, cinque anni dopo, in cui ad Addis Abeba era entrato il maresciallo Badoglio. Tredici giorni dopo il principe Amedeo di Savoia-Aosta, viceré d’Etiopia e comandante in capo delle forze armate in Africa Orientale, chiederà la resa definitiva dopo una strenua ed eroica resistenza ad Amba Alagi, sulle montagne etiopi, dove il principe aveva radunato per l’estrema resistenza il resto delle forze italiane ( 7.000 uomini, una forza composta da carabinieri, avieri, marinai, 500 soldati della sanità e circa 3.000 militari delle truppe indigene). La resistenza ad Amba Alagi è una pagina gloriosa e dimenticata, come se ci dovessimo vergognare delle belle pagine della guerra mussoliniana scritte dai nostri soldati. Ricordarla è doveroso. Lo schieramento italiano venne ben presto stretto d’assedio dalle forze britanniche che contavano 29.000 uomini. I soldati italiani, inferiori sia per numero che per mezzi, diedero prova di grande valore, ma, rimasti stremati dal freddo e dalla mancanza di munizioni, acqua e legna, si dovettero arrendere. Poco prima della resa il duca Amedeo autorizzò gli indigeni della sua truppa a tornare nei propri villaggi , ma risulta che gli abbandoni non furono superiori alla quindicina di casi. I militari di Sua Maestà Britannica, non solo in omaggio del comandante nemico appartenente alla migliore nobiltà europea, ma anche in segno di ammirazione per la fermezza mostrata dai soldati italiani, resero ai superstiti l’onore delle armi, facendo conservare agli ufficiali la pistola d’ordinanza. Amedeo d’Aosta sopravvisse meno di un anno. Morì il 3 marzo 1942 debilitato dalla malaria e dalla tubercolosi. Ai suoi funerali anche gli ufficiali britannici indossarono il lutto al braccio. In quel periodo io frequentavo la scuola media a Napoli: raggiungevo il mio istituto con un tram che aveva una fermata proprio davanti al cancello d’ingresso della villa reale di Capodimonte, residenza della madre del duca d’Aosta, Elena d’Orléans. Davanti al cancello c’era un assembramento di gente silenziosa e commossa, molte donne piangevano. Così apprendemmo della morte del duca d’Aosta. Con la mia sana civiltà lucana mi sentii partecipe del rito del vicinato che piangeva la morte del vicino di casa ).

     Alla data dell’armistizio (8 settembre 1943) Anna d’Aosta risiedeva a Palazzo Pitti in Firenze. Arrestata, venne deportata in Austria.

     Pare, si dice che l’imperatore d’Etiopia Haile Selassie, durante la sua visita ufficiale in Italia, nel 1953, invitò la Duchessa per un tè, ma, quando il governo italiano lo informò che ricevere la Duchessa avrebbe offeso la repubblica, Haile Selassie fu costretto a cancellare l’incontro.

     Umberto Saba ha dedicato alla Duchessa due madrigali nel suo “Canzoniere”. Il primo la ricorda giovane nel parco di Miramare, dove i due giovani sposi avevano la loro residenza (“Così giovane sei, così leggera/cammini incontro alla dubbia fortuna,…”), il secondo la sua deportazione ad opera dei tedeschi dopo l’8 settembre (“Penso le mani, le tue belle mani./Sono passati per farle duemila/anni di storia di Francia. Le fila/del destino il destino rompe. Ostaggio/sei -dicono- al tedesco…”.)

     La Duchessa morì a Sorrento nel 1986. È sepolta nella Basilica dell’Incoronata Madre del Buon Consiglio di Napoli insieme alla suocera Elena d’Orleans.

 

                          UMBERTO SABA

DUE MADRIGALI PER LA DUCHESSA D’AOSTA

Così giovane sei, così leggera

cammini incontro alla dubbia fortuna

che se non fossi una

principessa, saresti una ragazza

Trieste, 1934

Penso le mani, le tue belle mani.

Sono passati per farle duemila

anni di storia di Francia. Le fila

del destino il destino rompe. Ostaggio

sei – dicono – al tedesco dalla pancia

deforme, dallo scheletro odioso.

Forse appena ti regge un mesto orgoglio.

 

Altro di te non so, né saper voglio.

Firenze, 1944

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