Dell’amante immacolata – Ricordi – Le girandole occhieggiavano a noi – Domanda d’impiego – Una fucsia – Passeggiate – Il vilucchio – Ce ne dovevamo andare

 

DELL’AMANTE IMMACOLATA

I colombi han raccolto le ali

sul torrione chiuso dall’ombra

ora devo picchiare più forte

la porta del suo cuore di pietra

 

RICORDI

Ho le mani legate

a un ramo secco e le foglie

sono ingoiate nell’asfalto.

Ho atteso di succhiarti,

mandorla vizza

sepolta ai piedi del vecchio tronco.

D’un tratto di queste sere

nelle silenziose campagne

ponente crollerà sui fili rotti,

le nubi scenderanno alle finestre

e noi andremo in cerca di un tizzone

per ritrovarci nelle strade buie.

 

LE GIRANDOLE OCCHIEGGIAVANO A NOI

Le girandole occhieggiavano a noi

dal ciglione ove la stuzzicava

il fuochista arrossato dalla miccia.

Oggi sei partita, mia compagna

forestiera, con la festa finita.

La notte di ieri i clarini

al tempo degli scoppi e le voci

delle famiglie sedute alla piazza

e le nostre fitte e calde

sul margine buio della villa.

Ridirle l’altra festa di Settembre,

il gualanello troverà padrone,

avrà la giubba nuova nella fiera.

Quanti giocolieri e merciai

non sono venuti a frugare le tasche

dei cafoni abbelliti!

Tu pure ti porti arreso il mio cuore.

Per me il tuo volto bianco di città

ripete il gioco di queste luci:

hanno disfatto di fretta gl’impianti,

i camion scappano alla deriva,

i ragazzi si affannano a cercare

è da stamane la bomba viva.

 

[settembre 1947]

 

DOMANDA D’IMPIEGO

Sono io la più giovane procaccia

che cammina i viaggi solitari e proibiti

dalle macchie del paese al nero casotto della stazione.

E vorrò sentire le stagioni

variare sullo scialle e sulle mie gambe nude

cogliendo il fiore di maggio e la foglia d’autunno.

E tanti figli avrò quanti ne voglio;

coscritti e carcerati ancora nasceranno,

per rimettere mandati e cartoline.

E lettere nere, io porto

le lettere nere e le lettere rosa

 

perché io sono la mamma di tutto il paese.

 

UNA FUCSIA

Una fucsia in mano avevi

come tengono i gigli

le immagini di Sant’Antonio.

Per un simile fiore che mi desti

si svegliarono in me le feste

massacranti del paese

quando le banche vengono chiamate

da un colpo sul luogo dei fuochi

accesi nel cielo e vince la gara

l’incendio più fresco di fucsia.

Anche mi ricordo un anno fa

i pennacchi della pula sulle aie.

Ecco, il paese ti porto in città.

 

PASSEGGIATE

I nostri passi ricamano le luci

le luci d’oltre Isarco di Bolzano,

io e la Trude andavamo felici

tutte le sere di là mano a mano.

 

IL VILUCCHIO

Ricrescerà il vilucchio sui balconi

con la corolla che si chiude a sera,

io ti rivedo nella primavera

sei quella che mi prende e mi abbandoni.

Che mi abbandoni e te ne vai sul mare:

dove lascio gli agnelli a pascolare?

[1950]

 

 

CE NE DOVEVAMO ANDARE

Tu non te ne volevi più andare,

contammo le luci dell’anfiteatro

deboli occhi attorno a noi.

Per i densi profumi della menta

Levandoci dicesti:

– Lascia che guardi ancora questo posto. –

E come lo dicesti

i capelli ti scesero sul viso.

Ce ne dovevamo andare

perché nascemmo altrove

sotto le mura di cingta lontane

di due sante cittadelle.

Il suo carcere spettava ad ognuno,

ad ognuno il suo vagone

ci portarono in traduzione.

A Rimini campo neutro

crescemmo il nostro amore

dove i putti del tempio

ignari si toccano i nudi

sul mare turchino.

Nelle tue piane del Nord

dove ti sei fermata?

A chi risolvi la tua gioia di amare?

Io mi sono lasciato andare

nei sentieri affollati dai carri.

Ora noi ci parliamo tra le sbarre.

 

 

 

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