E’ fatto giorno – Edizione Vitelli – SALUTO
La prima Sezione di E’ FATTO GIORNO dell’edizione a cura di Franco VITELLI (1982) è intitolata SALUTO (invece che INVITO, com’è il titolo dell’edizione LEVI del 1954) ed è introdotta dal seguente proemio (che manca nell’edizione del 1954.
Mariarosa statti bona
io te lascio e t’abbandono
(da un canto popolare)
La sezione presenta 10 poesie, elencate nella riga di sinistra dello schema che segue, mentre nella riga di destra sono elencate le poesie della sezione INVITO dell’edizione del 1954 e sono segnalate le differenze. Gli spazi vuoti nella colonna di destra indicano che le poesie presenti nell’edizione Vitelli mancano nell’edizione Levi.
Saluto | |
Campagna | Campagna |
Il giardino dei poveri | |
Le viole sono dei fanciulli scalzi | Le viole sono dei fanciulli scalzi. (Datata 1948, mentre nell’edizione Vitelli è datata 29 febbraio – 1 marzo 1948) |
Lucania | Lucania |
Tarantella | Tarantella (L’edizione Levi non è datata. La data dell’edizione Vitelli è Tricarico, 18 febbraio 1948) |
Le nenie | Le nenie (L’edizione Levi data 1947, l’edizione Vitelli 1945. Il verso 2 nell’edizione Levi è “i mulinelli nella via” e nell’edizione Vitelli è: “i mulinelli spirati nella via”; il verso 23 “come per lo scherzo ai traditori”, presente nell’edizione Vitelli, manca nell’edizione Levi. |
E’ un ritratto tutto piedi | E’ un ritratto tutto piedi |
Il Primo addio a Napoli | Il Primo addio a Napoli |
Invito | Invito |
Di seguito sono pubblicate, con brevi commenti, le due poesie mancanti nell’edizione Levi.
SALUTO
Non sentirai mai più la maggiolata,
la figlia della quercia e della macchia.
Vestivi dei fiori delle ginestre
ridonate all’incolto pendio.
Inviolata eri e chiusa
come un acerbo fiorone.
Avevi l’occhio bianco dei faveti
spaurito, simile alle lepri
prese nel laccio delle mute.
Io quando t’assalii
sentii il tuo ventre ridere.
E le tue guance arrossate
erano un altro selvatico fiore
lasciato al pascolo.
Io non ti rivedrò mai più
la figlia della quercia e della macchia.
Né ora che ricorre la tua festa,
la festa dei ceri e le contorte nicchie
e dentro il viso nero
di Maria di Fonti
che pare tua madre giovane.
Sei la prima voce,
sei alla testa del corteo
delle vergini in veli,
e vai spargendo dai cesti
vessilli di ginestra, e madreselva
profumata d’incenso.
Io non ti voglio dire
quante strade odorose ho da rifuggire.
(22 maggio 1948)
Franco Vitelli, nel volume Rocco Scotellaro, Tutte le poesie, Oscar Mondadori, Milano 2004, p. 340, si sofferma sugli ultimi versi – Io non ti so dire / quante strade odorose ho da rifuggire – suscettibili di interpretazioni molteplici. «Levi, in un primo tempo, condizionato da “odorose”, aggettivo pregnante, aveva pensato ai profumi sempre suadenti dell’«eterna Arcadia italiana», salvo poi a deviare sulle «infinite possibilità alternative di vita». La quale ipotesi a me sembra – è Vitelli che scrive – più convincente, perché a cominciare dal 1948 prende piede in Scotellaro insofferenza, dirò disagio a ritrovarsi nella realtà del paese; «vi sono molte strade a chiamarmi: io devo fuggire da questo mondo», scrive il 4 ottobre 1948 a Vittoria Botteri». E su questo motivo insistono ancora molte righe di Vitelli.
IL GIARDINO DEI POVERI
E’ cresciuto il basilico
nel giardino dei poveri
hanno rubata l’aria alle finestre
su due tavole hanno seminato.
Verranno i passeri
verranno le mosche,
nel giardino dei poveri.
Ora quando non sai che fare
prendi la brocca in mano,
io ti vedrò cresciuta tra le rose
del giardino dei poveri.
(Potenza, 21 0ttobre 1948)
Ah! Quei davanzali di tavole di vecchie casse retti dal fili di ferro, con scatole grandi di tonno e di sarde avute dal proprio negoziante, dove si coltivava il basilico, il prezzemolo e il peperone, il garofano e la rosa. La poesia è dedicata a Giuseppe (Antonello) Leone. Giuseppe Antonello Leone, nato a Pratola Serra (Av), è stato un intellettuale poliedrico, che ha segnato la storia della cultura e dell’arte italiana del Novecento. Con Scotellaro, Manlio Rossi Doria, Carlo Levi, Tommaso Pedio e Concetto Valente, è stato partecipe del movimento di riscatto culturale, che negli anni ’50 interessò la Basilicata e tutto il Mezzogiorno, diventando un meridionalista «indigeno originario di Montemurro», come di lui diceva Leonardo Sinisgalli, con cui aveva lavorato per la rivista «Civiltà delle macchine». Nel 1957, insieme con Remigio Claps, Francesco Ranaldi, Carlo Levi e Luigi Guerricchio ha aderito ad una delle prime retrospettive di pittori lucani organizzata a Napoli. Marito di Maria Padula, pittrice e scrittrice di Montemurro, furono entrambi molto legati al vescovo di Tricarico, mons. Raffaello delle Nocche, di cui nel ’54 dipinsero ciascuno un ritratto.
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Questa poesia mi piace molto, mi riporta molto alla mia infanzia e alla vita contadina dei miei nonni, che hanno faticato duramente e con dignità, senza avere mai nulla… Ricordo con tristezza l’emigrazione di mio padre, che grazie al suo sacrificio mi sono realizzata. E’ tra le poesie meno note del poeta. Grazie, per averla citata.Tina
Sono felice del piacere da lei provato. Il giardino dei poveri e Vico Tapera sono due poesie espunte da Carlo Levi che amo moltissimo, dico che sono l’anima di Tricarico (della Tricarico della mia lontanissima giovane età). Penso che Levi le abbia escluse per ragioni “politiche”, ritenendo che non sarebbero state capite, per l’appunto politicamente.