Un’antistorica gaffe su una intensa giornata scotellariana a Tricarico
Oggi 3 ottobre a Tricarico due impegnative e lodevoli Iniziative. Una Giornata di studio con inizio alle ore 11 presso l’Auditorium Comunale, alla quale è stato dato il titolo «La collina materana da Rocco Scotellaro alla nuova Europa». Sono previste, con la presidenza di Mario Trufelli, tre relazioni introduttive, delle quali non posso non ricordare quella di Gilberto Antonio Marselli, otto interventi di autorevoli studiosi e la recita di poesie da parte di studenti di istituti scolastici tricaricesi.
In serata, in piazza, con inizio alle ore 21 avrà inizio alle ore 21 una Manifestazione intitolata «Rocco Scotellaro, Giovane tra i giovani», con la partecipazione di Antonio Infantino.
Io sono informato di queste densissime e scotellariane Giornata e Serata tricaricesi con due mail: una di Rocco Franchino e la seconda, sulla Serata, da una mail di Paolo Fedele, che non conosco e ringrazio, mail che è il prodotto scheletrito, che riesce a ricevere il mio antidiluviano portatile, di una diabolica App moderna, di cui ignoro persino il nome e la funzione.
L’informazione di Paolo Fedele reca in calce un breve brano tratto dalla recensione pesantemente critica di Giorgio Napolitano su «I Contadini del Sud» di Rocco Scotellaro, pubblicata nel 1954. Si tratta del saggio dell’ex presidente della Repubblica «Personaggi nuovi delle campagne del Sud » pubblicato nel 1954 in «Incontri oggi – sett. 1954» e ripubblicato in «Omaggio a Scotellaro », Lacaita, Editore in Manduria, nel 1974, vent’anni dopo, quando il gelo antiscotellariano cominciava a sciogliersi e il poeta di Tricarico cominciava a riemerge dal silenzio tombale in cui era stato cacciato.
La pubblicazione del breve brano sulla mail di Paolo Fedele è una gaffe che risente di un’impostazione antistorica e così flaubertianamente antipoetica, utilizzata per strumentalizzare Rocco Scotellaro in una polemica attuale degenerata, con la partecipazione grillina, in un coro di insulti a una Personalità autorevole della Repubblica.
Il saggio di Napolitano io e Antonio Albanese lo leggemmo e commentammo con intendimenti diversi, già in quel lontano 1954 e fu tuttavia una lettura amara e irritante per entrambi, che ci spinse, per ragioni non coincidenti, a cercare le ragioni profonde e lontane di quell’aspra polemica, che non fu personale, ma ebbe un’ ispirazione marxista di scuola comunista, che incontrava unità di accenti sia nella maggioritaria corrente amendoliana sia nell’intelligente e organica opposizione del geniale giovane studioso Guido Piegari. Credo che nella delusione provata per la lettura non solo del saggio di Napolitano, ma di tutta la campagna antiscotellariana scatenata dall’intellighentia marxista-comunista (precisazione necessaria, perché allora si professavano ancora marxisti anche i socialdemocratici) ha inizio la crisi politica di Antonio Albanese, che con Rocco Scotellaro collaborò alla inchieste sui contadini e si trovava a Irsina con Rocco, quando questo fu colpito dal primo grave sintomo della malattia che lo uccise dopo un settimana. Antonio, infatti, due anni dopo, lasciò il PCI e aderì a movimenti di ispirazione socialista.
Non solo le poesie della sezione Capostorno, a cui è stata prevalentemente attribuita valenza politica, e non solo le poesie in generale, ma anche le prose – Contadini del Sud in primo luogo, per la penna del non ancora trentenne Giorgio Napolitano, e Contadini del Sud e L’Uva puttanella a cura di Alberto Asor Rosa –furono il pretesto di una critica quasi totalmente negativa basata su elementi politici dell’opera di Scotellaro (ad esempio, la scarsa considerazione in Contadini del Sud dei contadini attivi, dei contadini rivoluzionari). Si aprì un capitolo, che non si può ignorare. Nella polemica si impegnò tutto lo stato maggiore del partito comunista del Sud e dei suoi più raffinati chierici, da Carlo Salinari a Alberto Asor Rosa a Mario Alicata e persino a Carlo Muscetta, che peraltro per Rocco, che definiva «ilare folletto lucano», ebbe grande ammirazione e lo aiutò molto nel fallito tentativo di pubblicare le sue poesie presso Einaudi. La polemica fece cadere sull’opera di Scotellaro un silenzio tombale durato vent’anni; da quel silenzio l’opera di Rocco emerse tuttavia per forza vitale propria e impose la sua verità. I giovani leggono Scotellaro; lo scrupolo conservativo di Rocco Mazzarone e l’acribia filologica di Franco Vitelli hanno permesso la pubblicazione di tutte le poesie; nelle Università si discutono tesi di laurea su Scotellaro poeta, saggista, amministratore; giovani studiosi, avendo deciso di studiare Scotellaro, sentono il bisogno di visitare Tricarico in lungo e in largo per «rileggere» nei luoghi cantati il canzoniere di Scotellaro; e ancora c’è in Europa chi sente il bisogno, come il prof. Allen Prowle e la professoressa Caroline Maldonado, di tradurre nella lingua del loro Paese le poesie di Rocco.
Smettiamola, dunque, di strumentalizzare Scotellaro – e tutto quanto egli oggi rappresenta – per la una fantasmagorica polemica antinapolitaniana allargatasi in un fronte che si estende a Grillo e a Forza Italia.
La polemica politica già si appuntava, con la penna di Carlo Muscetta, su una poesia in cui Rocco piange la morte di un amico assassinato. Ma già nel senso di languore che si intonava misuratamente a una lirica tanto ispirata, secondo Muscetta, affiora il limite del fiato poetico di Rocco. Troppo intimista il pianto per l’amico assassinato. Limite, questo, che si esprimerebbe comprensibilmente con la poesia Pozzanghera nera il 18 aprile. Il 18 aprile è quello del 1948, che vide la sconfitta del fronte democratico popolare costituito dal partito comunista e dal partito socialista, oltre che da altre liste minori. Per Muscetta, riferendosi appunto al senso di languore notato per Ti rubarono a noi come una spiga, riesce comprensibile, perché preso dal panico della sconfitta, che Scotellaro invocasse soccorso a una retorica tutt’altro che contadina e sfociasse in un grido di superficiale veemenza, che nasceva in realtà come avvilito e come sommerso dal trionfo della parte politica avversa. La disperazione di Rocco, scrive Muscetta, era la disperazione di un piccolo borghese, «che eternava in duemila anni la durata di una breve sconfitta episodica» (Oggi e ancora duemila anni / porteremo gli stessi panni. /Noi siamo rimasti la turba / la turba dei pezzenti, / quelli che strappano ai padroni / la maschera coi denti». Si tratta, per Muscetta, di violenze verbali e letterarie. ( E non vale la pena continuare a citare questa critica, su cui ha fatto giustizia il corso ultra sessantennale della storia).
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Parole sante!!! Dai racconti che mio zio Antonio mi citava, si evince che le cose sono proprio andate così.
Grazie per il ricordo sempre vivo che hai dello
zio Antonio Albanese.
Rocco Albanese