FINCHE’ RESISTA GIOVINEZZA

 

Carm. 1,9 vv. 17-24

donec virenti canities abest

morosa. Nunc et Campus et areae

lenesque sub noctem susurri

composita repetantur hora,

nunc et latentis proditor intumo

gratus puellae risus ab angulo

pignusque dereptum lacertis

aut digito male pertinaci     

Traduzione di Giuseppe Giannotta

Finchè la giovinezza resista

alla vecchiaia, tutto venga:

il Campo, le piazze, nella notte

il sussurro degli amanti,

e la ragazza che gradito riso

non soffoca nell’angolo nascosto,

un pegno che prendi dalle braccia

o dal dito che si fa benevolo.

 

La nona ode del libro primo (a Taliarco: nome fittizio, che probabilmente significa, dal greco, “colui che guida alla gioia della festa”) … .

     Prima diciamo delle Odi in generale. Verso il 33 a.C. Mecenate dona a Orazio un podere nella Sabina,  grazie al quale il poeta può godere fino alla morte di tranquillità economica e di un rifugio dallo stress della vita cittadina. Negli anni seguenti (30-23 a.C.) egli lavora ai primi tre libri delle Odi, 88 componimenti nei quali prende a modello i lirici greci (soprattutto Alceo, ma anche Saffo, Anacreonte, Pindaro) per cantare, spesso in forma di meditazione filosofica, una grande varietà di temi: la brevità della vita e la necessità di godere del presente (carpe diem «cogli il giorno» prima che sia passato, secondo i precetti della filosofia dell’epicureismo), l’amore, l’amicizia, la campagna, la poesia e, insieme, la celebrazione di Roma e del regime di Ottaviano Augusto. Lo stile è allo stesso tempo semplice per la limpidezza dell’espressione ed elevato per l’elaborata costruzione delle frasi: sarà imitato da tutti quei poeti lirici – da Petrarca fino a Leopardi, a Carducci e a Pascoli – che cercheranno di riprodurre nelle loro opere la perfezione formale dei classici.

Nell’ultima parte della sua vita (23-28 a.C.) Orazio scrive il quarto libro delle Odi, contenente altri 15 componimenti, e il Carmen saeculare («carme cantato nel corso dei giochi secolari» che si celebravano, cioè, ogni cento anni), un inno agli dei commissionato da Augusto per una celebrazione religiosa ufficiale.

     Il primo libro contiene 38 odi. Da esso Giannotta ha scelto cinque odi: tre integralmente e parzialmente le altre due.

«Orazio si confessa» inizia con 8 versi della nona ode del libro primo. E’ un’ode di motivo conviviale. Le prime due strofe sono ispirate ad un testo di Alceo, conterraneo e contemporaneo di Saffo. L’incipit invita a spingere lo sguardo su un’immagine invernale candida per la neve che imbianca ogni cosa, subito però collegata all’idea della fatica e del dolore in quei pini che a stento ne sorreggono il peso ed ancor più, nell’irrigidimento forzato dei fiumi, dove laborantes e geluque consistant sono due metafore, rispettivamente delle angosce e dei dolori della vita e dell’immobilità della morte. La seconda strofe riprende l’invito, questa volta a preparare un bel fuoco che riscaldi ed a versare vino puro di quattro anni proveniente dalla Sabina. Segue un altro invito a lasciare tutto il resto agli dei e a non pensare al futuro. Continua la sequenza degli esortativi che invitano Talliarco a godere degli amori,  delle danze e dello sport fintanto che è giovane.

Nei versi scelti da Giannotta si accende la luce di una grande intensità sentimentale, che la traduzione ermetica di Giannotta richiede uno sforzo in più perché la si intenda.

Smettila di chiederti che cosa sarà domani, esorta il poeta.Se la fastidosa vecchiaia è ancora lontana dalla tua verde età non disprezzare, ragazzo, gli amori teneri e le danze. Ora ti chiamano l’arena, le piazze e i dolci sussurri di un convegno la sera. Leneseque sub noctem susurri / composita repetantur hora (E i dolci sussurri nella notte, si ripetano, all’ora stabilita). Poi c’è una fanciulla che gioca a nascondino con l’amato. Si rannicchia in un angolo. Ma il riso la tradisce. La ragazza stringe nel pugno un pegno d’amore. Il giovane la costringe a cederglielo. E lei se lo lascia portar via: « nunc et latentis proditor intumo / gratus puellae risus ab angulo / pignusque dereptum lacertis / aut digito male pertinaci». Il poeta sembra voler dire di non far rumore, moltiplicando le allitterazioni della “s” nel verso 19 (leneseque sub noctem susurr). Quale sublimazione dell’Eros in quel pegno d’amore nel pugno chiuso e vuoto, che combatte per perdere. Un’ode bellissima, per me la più bella.

Con ciò avrei svolto il mio “compito a casa”, che, per l’appunto, deve limitarsi a presentare il contesto del brano scelto e tradotto da Giannotta quanto basti per inquadrarlo e comprenderlo. Invece divagherò. Non posso lasciar passare sotto silenzio i primi otto versi, che conoscevo indipendentemente da Giannota e amo particolarmente per la loro straordinaria bellezza – ma tutta l’ode è poesia su poesia -, per motivi sentimentali e per una fantasiosa lettura di Beniamino Placido.

Leggete lentamente l’accennato incipit dell’ode. Chi, come me, non ricorda più il latino, li legga dopo aver dato una rapida scorsa alla loro traduzione (Guarda la neve che imbianca tutto il Soratte e gli alberi che gemono al suo peso, i fiumi rappresi nella morsa del gelo. Sciogli questo freddo, Taliarco, e legna, legna aggiungi al focolare, poi senza calcolo versa vino vecchio da un’anfora sabina).

 

Vides ut alta stet nive candidum

Soracte, nec iam sustineant onus

silvae laborantes gelusque

flumina constinterint acuto.

dissolve frigus ligna super foco

large reponens atquae benignius

deprome quadrimum Sabina,

o Thaliarche, merum diota.

 

Il monte Soratte, posto a destra del Tevere a circa 50 chilometri da Roma, caratteristico per il suo isolamento e per i versanti ripidi e rocciosi, domina quella regione della valle del Tevere. Lì conosco due paesi: Civitella San Paolo e Torrita Tiberina.

A Civitella San Paolo, fuori del paese, isolato, sorge un Monastero – fondato dall’allora Abate della Basilica di San Paolo fuori le Mura Idelfonso Schuster, futuro cardinale di Milano – nel quale mia nipote Rosanna, figlia di mia fratello Michele, ha deciso di vivere la sua vita di clausura monastica col nome di suor Maria Gabriella, interrompendo gli studi di medicina quasi ultimati. Il nome Maria Gabriella ricorda il nome di mia cognata (la madre di mia nipote, Annunziata: – l’Angelo di Dio Gabriele recò l’annuncio a Maria -). Sono suore benedettine e il convento è dedicato a Santa Scolastica, sorella di San Benedetto. La regola di San Benedetto ha tra i suoi comandamenti l’obbligo dell’ospitalità, e perciò, esterna al monastero, c’è una foresteria. Per non pochi anni, fin quando le forze e la mia indolenza me l’hanno consentito, io e mia moglie abbiamo partecipato due volte l’anno a incontri frequentati da oblati e da amici del Monastero. La Superiora, Madre Francesca, prima di prendere i voti, era stata Presidente nazionale della FUCI femminile, del cui ramo maschile erano stati presidenti, nell’ordine, Andreotti e Moro. Gli oblati e la oblate erano appartenuti a quel mondo, compresa la vedova Moro, signora Eleonora, che ha frequentato gli incontri per tutta la sua lunga vita. Nel monastero, sottratta al regime di clasusa, c’è una bellissima biblioteca con alcune decine di migliaia di volumi. La sera, dopo cena, quando per le monache scatta il tempo del silenzio notturno, noi ospiti ci concedevamo una breve pausa per conversare. Erano conversazioni con testimoni della storia religiosa, ecclesiale e politica del mondo cattolico. Il tempo, come aveva cancellato e stava cancellando quella storia, ha man mano cancellato chi ne testimoniava la memoria. Senza alcuna particolare intenzione, lontana da me, voglio riferire un particolare che riguarda una figlia di De Gasperi, che poi prese i voti, se non ricordo male, col nome di suor Lucia. Giovanissima, partecipò a una Tre giorni di esercizi spirituali, alla quale partecipava anche una oblata più grande, che si chiamava Giovanna. La prima sera la figlia di De Gasperi le disse: – Mia madre, la sera, prima di andare a dormire, mi da la benedizione. Queste sere, Giovanna, la benedizione dammela tu.

 Nel cimitero di Torrita Tiberina è sepolto Moro. La sua tomba è posta nella parte opposta all’ingresso del cimitero, che si protende come un promontorio su un’ansa del Tevere, che scorre girando attorno al monte. Si ammirava ( e si ammira) un bel panorama – un monte e un’ansa del Tevere – dal posto dove Moro è sepolto, che andavamo a visitare tutte le volte che andavamo a Civitella. Una volta trovammo costruito, nello stretto spazio tra la tomba e il muro di contenimento, un loculario stretto e largo, una brutta fabbrica che toglieva la vista dell’ansa del Tevere.

Si sa che le tombe sono fatte assai più per i vivi che per i morti. Il carme foscoliano s’apre con l’affermazione dell’inutilità delle tombe per i morti, basata sulla negazione di ogni trascendenza, ma afferma l’utilità per i vivi.

A egregie cose il forte animo accendono

l’urne dei forti, o Pindemonte; e bella

e santa fanno al peregrin la terra

che le ricetta

Più che l’ansa del Tevere, oramai tolta allo sguardo, il panorama che ho sempre preferito è stato il monte Soratte. Carlo Emilio Gadda – traggo la citazione dal “Divertimento” di Beniamino Placido, che ho citato nel primo file per la presentazione di questa categoria, diceva che certe poesie di Orazio sono più belle del modernissimo Bateau ivre di Rimbaud. (Una stupenda traduzione di Rocco Scotellaro, sia pure parziale, del Bateau ivre è pubblicata su questo blog. Per comodità di chi intenda leggerla, questo è il link https://www.rabatana.it/?p=4182975).  Diceva Gadda  «Come la misura dell’arco è perfetta (Gadda era ingegnere), così perfetta e impeccabile è la tecnica di Orazio. Si voglia rileggere, se non la si sa a memoria, la nona ode del libro primo: “Vides ut alta stet nive candidum / Soracte”».

     Federico Nietzsche – sempre citando da Beniamino Placido – ha scritto pagine mirabili sulla “quantità” e musicalità del latino e ha detto: «Non ho mai provato finora per nessun poeta un entusiasmo paragonabile a quello che provai alla prima lettura di un’ode oraziana».

La fantasiosa lettura di Beniamino Placido, infine, fa del Soratte il simbolo di una “presenza lucana” che domina e veglia sulla tomba di Moro. B. Placido immagina di essere stato incaricato di condurre un servizio televisivo. Il servizio si svolge a bordo di un Intercity partito da Roma Termini per le Calabrie. B.P., accompagnato da un figlio immaginario, Michele, nella finzione letteraria si reca a Potenza e a Venosa in occasione del “Grande Convegno internazionale per il bimillenario della morte di Orazio”.

Il viaggio è un divertimento, accade di tutto, e in questo spasso si dice, e si impara tutto di Orazio. A un certo punto si discute se Orazio fosse lucano o pugliese. Il punto di contesa sono i versi 34 e 35 della prima satira del libro II («Lucanus an apulus anceps / nam Venusinus arat finem sub utrumque colonus».

La discussione è costruita come uno sketch dell’indimenticabile programma televisivo Quelli della notte ideato e condotto nella primavera del 1985 da Renzo Arbore. In un clima scherzoso, Arbore condusse la trasmissione, che iniziava verso le 23,  e alternava brani musicali con scherzi e sketch di comici oltre che musicisti e fantasisti. L’intento di Arbore era chiaramente satirico nei confronti di un certo tipo di televisione, prendendo di mira principalmente la moda del salotto televisivo, spesso vacuo raccoglitore di chiacchiere senza costrutto, in un maldestro assortimento dei più svariati personaggi che dicono la loro a ruota libera su qualunque argomento. Celebri sono rimaste la sigla di apertura e quella che accompagnava i titoli di coda: rispettivamente, Ma la notte no e Il materasso.

Sono tentato di riferire tutta la discussione, ma est modus in rebus (Satire, I, 1,106) frena Orazio – ‘Mba Orazio, compare Orazio come lo chiamava Lichinchi, storico professore di latino e greco al liceo Quinto Orazio Flacco di Potenza, nato a Palazzo San Gervasio, paese prossimo a Venosa e, come ‘Mba Orazio “lucanus an apulus anceps”. Pure come me, d’altronde, se è vero come sostiene Giannotta che il carattere si forma nel primo anno di vita.

Dirò quali personaggi del suddetto programma televisivo presero parte alla discussione e dirò come Renzo Arbore e Beniamino Placido la conclusero. A parte “il grande attore Michele Placido” che alla discussione dette l’avvio, ad essa parteciparono: Riccardo Pazzaglia, il  filosofo che a notte fonda si interroga sul senso della vita, sul chi siamo e da dove veniamo tentando di confutare con caparbietà la teoria del “brodo primordiale”, Roberto D’Agostino, “lookologo”, un critico di costume ed esperto di look, e Massimo Catalano, dispensatore di “perle di saggezza” nel salotto di Arbore & co., tipo “è meglio sposare una donna ricca, bella e intelligente che una donna brutta, povera e stupida”.

E’ doveroso ricordare, a queto punto, che Giannotta sostiene nell’Introduzione al suo studio, con ferma determinazione, che Orazio giovinetto apprende gli umori, le speranze, le attese, il pensiero dei lucani e, nei primi anni di vita, non può sperimentare per vie diverse da quelle che gli offre la comunità, in mezzo a cui vive. E conclude: Egli  è un lucano, uno dei più autentici.

Beniamino Placido dà la  “dimostrazione geometrica” della nascita e indole lucana di Orazio.  Egli osserva che il momento,  il punto più alto della  poesia oraziana si trova naturalmente in cima ad un’alta montagna. Dove c’è la neve: «Vides ut alta stet nive candidum». Arbore ribatte che, se si va al verso successivo, si trova «Soracte». E’ il monte Soratte – precisa – che si trova vicino a Roma, mica il monte Vulture, alla cui sacra ombra il suo contraddittore è nato. B.P. risponde: «Ma poteva benissimo essere anche il «Vultur», caro ad Orazio. perché il Vulture è una montagna e la neve ce l’ha. Nella vostra Apulia la neve l’avete vista mai? «In nive lucana dormis (terza Satira del libro II, v. 234») – dice Orazio: tu dormi nella neve lucana. Avrebbe mai potuto dire: «In apula nive dormis? No. Quindi: Orazio era lucano. C.V.D.»

Andiamo ora alla conclusione del viaggio, da Battipaglia a Potenza, non sull’Intercity ma su un pullman targato FF.SS., perché da due anni la linea ferroviaria era interrotta per lavori. Tra Beniamino Placido (il padre) e il figlio immaginario si svolge il seguente dialogo.

Il figlio: Papà il Vulture! Guarda il Vulture!

Il padre: E che ci fa il Vulture fra Battipaglia e Potenza?

Il figlio: E’ tutto ammantato di neve.

Il padre: La neve a giugno, ma se non la fa più nemmeno d’inverno. Scherzi?

Il figlio: Ma no, è vero. E’ proprio il Vulture, è pure bello.

Il padre: E’ Vero, Che stranezza. «Vides ut alta stet nive candidum». Forse è vero che c’è un po’ di Vulture oraziano anche fuori della Lucania: «Me fabulosae Volture in Apulo».

 

 

21 Responses to “Orazio si confessa” – Omaggio a Giuseppe Giannotta – Finché resista giovinezza (Carm. 1,9)

  1. Amatore Salatino ha detto:

    Il 5 novembre del 2018 ho terminato la traduzione in versi del Libro I dei Carmina. Il !6 dicembre scorso ho finito di tradurre L’Inno dei secoli, sempre in poesia. Ho cercato di mantenere inalterata la quantità dei versi e delle strofe di ogni Ode di Orazio anche in Italiano. Ho cercato di mettere Orazio all’aria aperta per poterlo fare respirare a tutti, ma specialmente a quelle persone che non sanno nulla di latino. Orazio è per Tutti e mi spiace che molta gente non sappia chi sia e che grande Maestro di vita egli possa essere ancora per ciascuno di noi. Specialmente per la cultura disomogenea di questi tempi. Commosso, ringrazio per le vostre informazioni.
    Vedi il Soratte
    Vedi come il Soratte d’alta neve candida s’alzi
    e appesantiti i rami gli alberi cedano al suo peso
    e i fiumi non scorrendo diventino
    compatti e ghiaccino per l’intenso gelo?

    O Taliarco, ravviva il fuoco con abbondante legna
    così sconfiggi il freddo, poi tira su quel vino, vecchio
    di quattro anni, molto generoso
    e mèscitelo dall’ànfora sabina.

    Metti che a fare il resto sian gli dèi, ch’appena placato
    avran l’ira dei venti, lottanti tra loro sul mare
    furioso, vedrai che anche i cipressi
    e i vecchi orni subito si calmeranno.

    Fuggi dal domandare che cosa ti serbi il futuro
    e quel che a te la sorte porterà coi giorni a venire,
    fai conto sia un dono e con gioia vivi,
    ragazzo, i dolci amori e le allegre danze,

    finché la giovinezza contrasterà l’inceder lento
    della vecchiezza. Ora ben vengano gli incontri al Campo
    Marzio, le tranquille passeggiate
    e a sera i sussurri, all’ora convenuta,

    e poi il caro sorriso traditore della fanciulla
    che in segreto rifugio con malizia s’opporrà a darti
    quel pegno d’amor che dalle braccia
    o dal dito con forza le sfilerai.

    Trad. di Amatore Salatino – Milano 17-19 novembre 2017

    Spero sia di Vostro gradimento. Cordialmente

    • Antonio ha detto:

      Complimenti vivissimi e grazie per l’informazione. Come sarebbe possibile accedere alle sue traduzioni?
      Cordialmente, Antonio Martino

  2. Nazario ha detto:

    Complimenti amico mio, sei grandioso. Spero che molti giovani raccolgano il tuo sapere.

    • Antonio ha detto:

      Ringrazio sentitamente del troppo generoso complimento.

      • Amatore Salatino ha detto:

        Egregio Signor Antonio Martino, ma è lei che ha tradotto la poesia di Orazio? Dalla risposta che ha dato al Signor Nazario, sembra che l’Autore sia lei. In merito, poi, alla sua volontà di accedere alle mie traduzioni, mi hanno consigliato di non riportarle sulla rete, prima di avere allestito un mio sito.
        Grazie comunque per i complimenti.
        Cordialmente Amatore Salatino

  3. A ha detto:

    9

    Vedi il Soratte

    Non vedi come ‘l Soratte candido
    stia di neve alta ed ormai cedano
    al peso le selve infiacchite
    e i fiumi ghiacci l’intenso gelo?

    Sconfiggi il freddo col fuoco prodigo
    di tanta legna e quel vin benevolo,
    o Taliarco, già di quattranni,
    mèsciti dall’ànfora sabina.

    Di quel che resta, sì, se ne occupino
    gli dèi, che appena nel mare fervido
    placato avranno i venti irati,
    cipressi e vecchi orni saran calmi.

    Del tuo futuro non è ben chiedere,
    quel che la sorte ti darà prendilo
    come dono e con gioia vivi,
    ragazzo, i dolci amori e le danze,

    finché lontano tardi l’incedere
    della vecchiezza. Ora incontratevi
    al Campo e nelle piazze e a sera
    i leni sussurri, all’ora data,

    e poi il sorriso grato e fedifrago
    di bimba ascosa che molle e debole
    s’opporrà a te che dalle braccia
    o dal dito le sfilerai il pegno.

    Amatore Salatino
    Milano, 17 – 19 novembre 2017

  4. Amatore Salatino ha detto:

    Egregio Signor Antonio Martino, buongiorno. Ho avuto piacere di riportare sul suo blog ancora un’altra versione dell’Ode IX di Orazio, tradotta con la stessa quantità, sillabica nei versi e nel numero delle strofe. Mi sono cimentato a tradurre in Italiano con strofe alcaiche le 10 Odi del Libro I scritte da Orazio in sistema alcaico. Per far questo mi sono servito dei suggerimenti del Poeta G. Carducci, che prevede, in ogni strofe, nei primi due versi due decasillabi sdruccioli, entrambi divisi in un quinario piano e in uno sdrucciolo. Nel terzo verso un novenario e nel quarto un decasillabo, anch’essi rigorosamente piani. Gliel’ho inviata, perché Lei aveva apprezzato la mia precedente traduzione. Comunque appena avrò pubblicato le traduzioni del Libro I e del Carme secolare, mi farò vivo per donarLe una copia. Cordiali saluti A. Salatino

    • Antonio Martino ha detto:

      Egregio Signor Amatore Salatino, Mi perdoni il ritardo con cui La ringrazio sentitamente e con riconoscenza per l’invio della nuova versione dell’Ode IX di Orazio e per le informazioni che mi comunica. Ho avuto piacere di leggerLa solo pochi minuti fa. Mi permetta una domanda: E’ Lei l’Autore del volume di poesie “E la vita dura, s’infuria” ?
      Ancora grazie. Cordiali saluti, A. Martino

      • Amatore Salatino ha detto:

        Gentilissimo Signor Antonio Martino, La ringrazio per i Suoi complimenti. Sono io l’autore di ‘E la vita dura, s’infutura…’. Oltre a quella raccolta, ho pubblicato anche ‘Dalle Terre di Ofir’.In questo secondo volume di poesie mi cimentai a scrivere ‘Il vescovo di Tour’, San Martino, ma, mi creda, richiese grande impegno linguistico, per via della ricerca dei termini sdruccioli, inerenti e congrui ai concetti della vita reale del Santo. Ritornando all’Amico Orazio, ho dovuto prima capire il suo pensiero, e ci sono voluti vari anni, poi mi sono gettato a capofitto e credo di avere fatto una buona cosa. Ora ho il dilemma se pubblicare le Odi con sistema alcaico tradotte con strofe alcaiche italiane oppure nella traduzione della prima versione. Se ha piacere di ricevere le mie raccolte di poesie, mi indichi dove spedirgliele. Grazie ancora e cordiali saluti A. Salatino

        • Antonio Martino ha detto:

          entilissimo Signor Amatore Salatino, La ringrazio per le informazioni che mi fornisce e che suscitano un vivo mio interesse. Io ho un’età molto anziana e una vita impegnata in studi giuridici, che fui costreto a lasciare giunto quasi all’80.mo anno, potendo quindi dedicare più tempo ad altre letture e alla gestione di questo blog senza pretese, mero passatempo. L’interesse che lei ha accesso concerne la metrica. Ho sempre pensato che non si scrive poesia andando ogni tanto a capo (e infatti io non mai scritto un verso), ma non ho competenza alcuna sulla struttura metrica: mi piace ciò che mi piace. Ciò che lei mi scrive mi lascia incantato e desideroso di approfondire l’argomento per comprendere l’indispensabile. Io sono lucano, come si comprende da questo blog, ma vivo in Emilia-Romagna, e a Ferrara, da circa 60 anni, in attesa di riposare, come si dice, nel cimitero di Tricarico.
          Grazie per la sua offerta. Il mio indirizzo è: corso Giovecca, 132 – 44121 FE. Per favore,mi comunichi il suo indirizzo. Cordiali saluti. A. Martino

          • Amatore Salatino ha detto:

            Gentilissimo Signor Antonio Martino, Lei mi commuove. Comunque io, anche se sono stato costretto ad abbandonare i miei studi giuridici, per raggiungere la Laurea in Giurisprudenza, ho sempre avuto in me quella scintilla mai spenta della Poesia. Io fui nel 1960, all’Università di Bari, alunno di Aldo Moro, al primo anno della Facoltà di Giurisprudenza, ma a marzo del 1961 mi trasferii a Milano, nuova mia patria accogliente. Oggi io e mia moglie abbiamo tre figli, due donne e un uomo con quattro Lauree, tra cui, la secondogenita, Avvocato, e quattro nipotini, due maschi e due donne. Cominciai a scrivere poesie nel 1955 e smisi di scriverne nel 1965, quando, preso dal mio nuovo lavoro mi dedicai anima e corpo all’attività di venditore sperando di poter dare un futuro sereno ai miei figli. Terminato di lavorare e ormai libero da doveri verso l’Azienda, che mi deve ancora liquidare, dopo quasi 18 anni, quella famosa scintilla mi si è ravvivata e poi stufo di quei versi moderni di colleghi che con me partecipavano a vari concorsi letterari, ho voluto cimentarmi con Orazio, con cui mi sto trattenendo dal febbraio del 2013. E devo dare ragione a Dante che lo annovera dopo Omero. I miei versi sono quasi tutti versi predefiniti nella loro quantità metrica, ma ho voluto scrivere anche i cosiddetti versi ermetici, dando un po’ di conforto all’Ermetismo, perché tali miei versi hanno un contenuto. Spero di non averLa annoiata. Le spedirò quanto promesso, appena potrò uscire di casa, i miei figli non vogliono che io e mia moglie si esca. La ringrazio ancora e le invio cordiali saluti.
            Amatore Salatino
            Via Perugino, 27
            20135 Milano
            tel. 348 2624786

  5. Antonio Martino ha detto:

    Gentilissimo Signor Amatore Salatino, Se non ho male interpretato la sua biografia, della quale la ringrazio di avermela fatta conoscere, io ho lasciato i miei studi di giurisprudenza a una età che lei non ha ancora raggiunto. Credo di avere circa una dozzina di anni più di lei. La ringrazio di avermi comunicato il suo indirizzo postale, glielo domandai per poterle far spedire il mio primo libro di carattere non giuridico pubblicato alla soglia dei 90 anni: Con la prima e l’ultima – Selezione di poesie di Rocco Scotellaro annotate. Rocco, di Tricarico come me, è stato mio carissimo amico. La ringrazio molto sentitamente, Antonio Martino

    • Amatore Salatino ha detto:

      Gentilissimo Signor Antonio Martino, buongiorno.
      L’11 novembre di quest’anno compirò 82 anni. Nacqui il giorno di San Martino, l’illustre Vescovo di Tours a cui ho dedicato due mie poesie, che Le anticipo.

      L’Estate di San Martino

      Da Martino ch’ebbe cura
      Di donare metà manto
      Fu destata la premura
      A stimarlo subito santo.

      Il bel gesto di Martino,
      Che del manto si spogliò
      Per donarlo al pellegrino
      Che con quello si scaldò,

      Piacque molto al Creatore
      Che, in ricordo di quel dì
      Senza luce né tepore,
      Cambiò l’uggia e, lì per lì,

      Compiacendo il donatore,
      Nuovo sole suscitò
      Che con vivido splendore
      Tutto ‘l Mondo illuminò!

      E da allora a quelle gesta
      E in ricordo di quel dì
      Manda ‘l sole a fare festa
      Prima o dopo di quel dì.

      E’ così che il Signore,
      Tutti gli anni in verità,
      Dice grazie con fervore
      Per quell’atto di bontà

      A quell’uomo santo e buono
      Pien d’amore e carità
      Che in vita dona al dono
      Assoluta qualità.

      Può far nascere un bel sole
      Che può tutto illuminar,
      Far fiorire nuove aiuole
      Ed altra estate nominar.

      E’ una poesia scritta in 8 strofe quartine anacreontiche, i cui versi sono ottonari a rima alternata.

      ———
      Il vescovo di Tours

      Te la Pannonia rimirò nascere
      in su la riva del fiume cerulo
      tra gladii, clipei, cavalieri,
      aquile romane e generali.

      Te, quasi implume,l’equestre ordine
      varcare attese nell’età splendida
      di poche primavere, quando
      dolci i sogni menano all’oblio

      e la speranza d’azzurro scalpita
      suscitar mète future, consoni
      all’animo d’un giovinetto
      che l’età verde a viver s’appressa.

      I tuoi colloqui spandevi vigile
      all’imbrunire, le stelle vivide
      mirando o la silente luna,
      nel caldo tepor della Natura,

      sotto l’intensa brunita cupola
      del cielo, donde beatitudini
      in te scendeano per nutrire
      la carità e l’amor tuo futuro.

      L’esperimento sapiente ed inclito
      ti crogiolava le virtù eroiche,
      che in te germogliaron leggiadre
      come bimbi amati d’una madre.

      Bene si vide, dopo il Battesimo,
      come, d’amore ricolmo, l’opera
      tua traboccava nel parlare
      di Cristo alle menti desolate.

      Ed anche Ilario, l’illustre vescovo,
      quando ti vide, comprese subito
      che trepidavi di dolcezza
      e consolar volevi ogni gente.

      La leggendaria vita tua fulgide
      ci narra imprese, perciò l’aureola,
      che già in terra ti cinse tanto,
      ti fece chiamar subito santo.

      Tu riscaldasti le notti gelide
      di quelle genti, le aduste anime
      irrigando con l’acqua viva
      di Gesù che lor ormai nutriva.

      Con giusta cura la loro tenebra
      squarciasti dura, nel cuore, l’intimo,
      stillando semi di giustizia,
      di bontà, d’amore e di letizia.

      Col tuo fervore rendesti liberi
      gli animi scuri di tanti popoli
      da faide antiche e fratellanza
      lor coltivaron nella Speranza.

      A loro scudo costruisti eremi
      alla preghiera: come in esercito
      novelli apostoli forgiasti
      ad anelar vita da casti.

      La bella fama delle tue opere
      in un baleno s’espanse nitida
      oltre i confini ed addolciva
      il cuore d’ognuno che l’udiva.

      Molto ammirato pur papa Simmaco
      volle nomarti nel quinto secolo
      la Chiesa San Martino ai Monti
      già avviata da San Silvestro papa,

      con cui ti piace dal nono secolo
      spartire onori, titoli e gloria,
      per voler di Sergio secondo,
      in tante chiese sparse nel Mondo.

      Per i cronisti contemporanei
      tu sarai stato grande miracolo,
      se alcune storie tramandate
      di leggenda sembrano velate.

      Quando venni a conoscenza di tutte quei racconti della vita del Santo e per la felicità di essere nato il giorno della sua festa, mi volli cimentare ad onorarLo con queste due composizioni. La seconda ha richiesto oltre due anni e mezzo di rifiniture, per soddisfare la mia anima. Le strofe sono quartine alcaiche secondo i criteri del nostro grande Poeta G. Carducci. come Le ho già riferito nella seconda versione dell’Ode IX di Orazio. Spero di non averLa annoiata, ma comunque Le auguro una buona lettura. Io mi ritengo un continuatore della poesia classica italiana, e questa veste non riesco a dimettermela. Ce l’ho attaccata alla mia pelle.Qualcuno dirà che sono magari un trapassato, ma io sono nato e vissuto in quella cultura, con maestri che a scuola ci hanno educato alla vita. E visto che tale cultura ti dà anche uno stile di vita, perché non aderire liberalmente, anche se ci impone regole, che poi si traducono in gesti di vita che non si prefiggono di far male a nessuno? Carissimo Signor Antonio, scusi l’invocazione amichevole, io vivo secondo quanto suggerisce questo arazzo scolpito sul frontale del Palazzo di Giustizia di Milano: ‘IURIS PRAECEPTA SUNT HAEC: HONESTE VIVERE,ALTERUM NON LAEDERE, UNICUIQUE SUUM TRIBUERE’. Ma di angherie nella mia vita sia da studente che da lavoratore ne ho accettate tante. Ma quelle regole non le ho mai violate. Tutte le scritte riportate intorno al Palazzo di Giustizia di Milano hanno una loro poesia, ma quando le ho inviate a qualche Concorso letterario, che qualche giurato abbia detto alcunché? Il mio raccontare, in poesia, è stato sempre propedeutico. Ma quella nostra cultura sembra dimenticata, ignorata, però io non dispero, la mia cultura dice che l’Uomo è tale perché ha un sentimento, e tale portento non può morire per opera di quei quattro indifferenti. Un carissimo saluto.
      Amatore Salatino

      • Antonio Martino ha detto:

        Grazie. Io il 18 giugno (per l’ufficio anagrafe il 20) compirò 90 anni. Un carissimo saluto, Antonio M.

  6. Amatore Salatino ha detto:

    Gentilissimo Signor Antonio Martino, erano circa le 10:00, stamattina, quando, finito il mio Rosario quotidiano, mi bussa il corriere che mi ha recapitato il suo prezioso volume. Innanzi tutto mi complimento per la bella Edizione, splendida, che ho rilevato tale anche nella sue nostalgiche annotazioni e nelle belle, e solo ora conosciute, poesie del suo grande amico Rocco Scotellaro, lasciatoci in età, veramente giusta per cominciare a realizzare i sogni giovanili, dissolti nell’ombra di una triste e prematura morte. Ero allora un ragazzino. Stamattina ho lasciato un po’ in disparte Orazio per meglio conoscere Lei e devo dire di essere felice di questo incontro, colmo di tanta e dolce nostalgia della nostra Terra che ci accomuna nell’averla abbandonata, affidando i nostri affetti verso genitori, parenti, amici, paesi e luoghi allo scrigno del nostro cuore, che di tanto in tanto ci rimanda a quei ricordi. Mi piace come scrive il suo amico Rocco, mi piacciono i suoi versi nitidi, semplici, leggeri che, proprio perché tali, si sentono salire dal cuore ed appagano il lettore per l’anelito sociale cui aspirano: il riscatto della dignità dell’Uomo. La lettura di quei versi è avvolgente come quella del Commentatore. Le prometto che appena terminerò l’Opera di Orazio, mi dedicherò con piacere alla lettura completa. Mi piace il suo stile. Ancora complimenti e buona giornata.
    Amatore Salatino

    • Antonio Martino ha detto:

      Sono felice di aver messo in concorrenza presso un amante della poesia come lei i versi di Rocco Scotellaro e quelli di Mba Orazio.
      Grazie della lettura, giustamente a suo tempo, e complimenti per la sua Opera.
      Antonio Martino

      • Amatore Salatino ha detto:

        Peccato che Rooco Scotellaro ci abbia lasciato presto. Per quel poco che ho letto di lui, penso che avrebbe raggiunto alte vette di Poesia. Mi spiace di non aver mai sentito accenno su di lui. Come già promesso, anche perché mi piace il suo verseggiare, cercherò di leggerlo al più presto. Noi del Sud amiamo la nostra Terra e la nostra gente e ciò è già sinonimo di ‘Beltade’. Cari saluti.
        Amatore Salatino

        • Antonio Martino ha detto:

          Non ha mai sentito nessun accenno di Scotellaro? Ma veramente, a parte la sua indiscutibile notorietà, i due terzi di Rabatana sono dedicati a lui, e io preferisco definire Rabatana blog tricaricese e scotellariano.
          Cordialmente, Antonio Martino

          • Amatore Salatino ha detto:

            Non sento di farmi colpe. Al liceo classico, frequentato a Molfetta, i miei Prof ed il Preside, pregni di cultura umanistica, non l’hanno mai menzionato, forse non è capitata l’occasione. A Milano dal 1961 sino a quando ho conosciuto Lei e anche durante la frequenza scolastica dei miei tre figli e durante i loro studi universitari mai abbiamo sentito parlare di R. Scotellaro. Io ho anche collaborato dal 1963 al 1965 quando persi il lavoro con la Rivista Voci Nuove, quaderni di Poesia contemporanea con la collaborazione di Poeti noti, come Evtuscenko, Lionello Fiumi, Nino Salvaneschi ed altri, ma su quella rivista mai è apparsa, sia pur presentata da altri, una Poesia del suo Amico Rocco. Che, mi creda, ho subito apprezzato già da ‘Lucania’, la prima poesia commentata da Lei. E Lei poi assomiglia molto ai quei grandi Commentatori classici, che noi tutti abbiamo perduto, perché Lei stesso dice che il libro, che ha regalato a me, è l’unico da Lei pubblicato. E me ne dispiace. Lei è veramente grande. Io non ho scritto più poesie dal settembre 1965, perché i soldi che avevo dovevo destinarli al mantenimento di mia moglie e della mia prima bimba. Allora le poesie si dovevano spedire inserendo nella busta anche i francobolli, per eventuali risposte. Ho abbandonato il mio mondo e ho ripreso a scrivere nel novembre del 2007, dopo alcuni anni che ero andato in pensione. il suo libro con R. Scotellaro merita di essere letto, perché per me forse è un epigono classico.
            In questi giorni farò di tutto per spedirLe le mie raccolte.
            Un caro saluto
            A. Salatino

  7. Amatore Salatino ha detto:

    Gentilissimo Signor Antonio Martino, buongiorno. Perché non risponde alla mia mail? Mi creda, desidero sapere della sua salute. Anche se personalmente non La conosco ‘de visu’ ho una grande ammirazione per Lei. La prego mi dica che sta bene in salute. Sarei molto amareggiato se dovessi perdere questi incontri on line con Lei. Mi dia Sue notizie. Avrei intenzione di proporLe la lettura della traduzione delle Odi di Orazio, ma non sono rifinite e pronte come dico io. Che Dio benedica Lei e la Sua Signora. Un calorosissimo saluto. Amatore
    Salatino

    • antonio-martino ha detto:

      Gent.mo Signor Amatore Salatino, Leggo ora, alle ore 22.20 circa dell’8 ottobre, la sua mail. Rinvio di necessità la risposta, anticipando soltanto che non ricordo a quale Sua mail non ho risposto. Ad ogni buon conto le chiedo scusa. Le auguro la buona notte, Antonio Martino

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