Il vino Sabino

 

              Carm. 1, 20

 

Traduzione di Giuseppe Giannotta
Vile potabis modicis Sabinum

cantharis Graeca quod ego ipse testa

conditum levi datus in theatro

cum tibi plausus,

clare Maecenas eques, ut paterni

fluminis ripae simul et iocosa

redderet laudes tibi Vaticani

montis imago.

 

Caecubum et prelo domitam Caleno

tu bibes uvam: mea nec Falernae

temperant vites neque Formiani

pocula colles.

 

Berrai in minute tazze

un vino sabino di pregio minimo

che io misi in anfora sigillata

quando ti giunse in teatro

mio amato cavaliere Mecenate

un plauso che invase le rive tiburtine

e il giocoso monte Vaticano.

 

Tu abitualmente

bevi il Cécubo e il vino prodotto in Cales,

ma le mie coppe

non contengono Falerno

e l’uva che è principessa in Formia.

 

 

Carm. 1, 20 (a Mecenate), da Giannotta intitolato Il vino Sabino.

     Mecenate, nel 30 a.C., dopo una malattia, ricevette un tributo di applausi al suo ingresso nel teatro di Pompeo nel campo Marzio. In quello stesso anno Orazio aveva sigillato vino sabino in anfore greche, che, come dice il poeta, non era vino di gran pregio.

     L’ “amato” cavaliere Mecenate, che il poeta invita a bere il suo vino sabino, è abituato a bere il Cècubo, uno dei più pregiati vini italiani, che si produce sule coste del Lazio, tra Terracina e Formia. I torchi dove il cécuo è spremuto, sono detti ‘di Cales’, nella Campania, altro luogo famoso per il vino. Il Falerno si produceva sulle falde del monte Massico in Campania.

     L’invito a Mecenate è ovviamente posteriore al tributo di applausi a lui reso, lo stesso anno in cui Orazio aveva sigillato in anfore greche il vino sabino che ora offre a Mecenate. Non sappiamo quanto tempo è passato. Se il vino sabino non è di gran pregio, come dice Orazio, non doveva tenere il tempo e il raffronto con i vini pregiati che Mecenate era abituato a bere ha evidentemente il sapore dell’ironia (che Giannota coglie e mette in rislato col titolo), il che fa pensare che il vino sabino doveva essere tutt’altro che di scarso pregio.

 

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