“Orazio si confessa” – Omaggio a Giuseppe Giannotta – LA FONTANA DI BANZI
LA FONTANA DI BANZI
(Carm. 3, 13)
O fons Bandusiae splendidior vitro,
dulci digne mero non sine floribus
cras donaberis haedo,
cui frons turgida cornibus
primis et venerem et proelia destinat.
Frustra: nam gelidos inficiet tibi
rubro sanguine rivos
lascivi suboles gregis.
Te flagrantis atrox hora Caniculae
nescit tangere, tu frigus amabile
fessis vomere tauris
praebes et pecori vago.
Fies nobilium tu quoque fontium
me dicente cavis impositam iJkem
saxis, unde loquaces
lymphae desiliunt tuae.
___________________________________________________________________
Traduzione di Giuseppe Giannotta
O fontana di Banzi, luccicosa come il vetro,
che chiedi fiori e il forte vino,
ti daremo domani un capretto
col turgore delle corna sulla fronte
scelto a guerre e canti d’amore.
Invano: invero il figlio
del lascivo gregge
tingerà col sangue il tuo flutto freddo.
Non ti sfiora il caldo soffocante.
Un amabile fresco
tu offri ai buoi
stanchi d’arare e al gregge che pascola.
Anche tu sarai una nobile fonte,
perchè io canto il leccio
posto sopra la tua grotta
da cui fuoriesce loquace la tua linfa.
____________________________________________________________________
Carm. 3,13 (alla fonte Bandusia).
Dell’ode «O fons Bandusiae» – intitolata da Giannotta La fontana di Banzi – esiste una traduzione di Rocco Scotellaro, pubblicata nella rivista «Botteghe Oscure» quad. XI, 1953 e in «E’ fatto giorno», Sezione «Amore e disamore» (questo è il link per chi voglia leggerla https://www.rabatana.it/?s=la+bella+fontana+di+banzi). Rocco Scotellaro ha altresì tradotto poesie di Mimnermo, Arthur Rimbaud, Robert Louis Stevenson, Edgar Lee Master, Edwin Arlington Robinson, Catullo e Johann Wolfang Goethe, che sono raccolte nel volume «Tutte le poesie» degli Oscar Mondadori, 2004, pagg. 289-294. Sono altresì pubblicate su questo blog nella categoria “Rocco Scotellaro _ Traduzioni”; «O fons Bandusiae» è pubblicata anche in altre Categorie del blog ed è la sola traduzione pubblicata nel poema scotellariano Premio Viareggio 1954.
La descrizione dei luoghi del carme ha sempre dato la netta sensazione, di essere realistica, di rimandare cioè a una topografia vera e precisa, non di maniera. Anche il sacrificio del capretto rientra nel rituale religioso (Fonte Bandusia, splendida come luce di cristallo, con vini dolci e corone di fiori domani ti consacrerò un capretto che, al primo gonfiore delle corne già fantastica contese d’amore e non può credere che arrosserà le tue acque gelide di sangue, spensierato figlio del gregge. Non sfiorata dall’arsura violente dell’estate, tu sai offrire un fresco delizioso alle pecore smarrite, ai tori sfiniti dall’aratro. E sempre si ricorderà il tuo nome, se ora canto le querce che crescono su quella rupe, dove tra la fessure scendono mormoando le tue acque).
Sono stati versati fiumi d’inchiostro per individuare la localizzazione della fonte. La questione può essere ridotta all’alternativa che la fons Bandusia fosse accanto alla villa sabina di Orazio ovvero una fonte omonima presso Venosa. Fanno propendere per la prima tesi alcuni versi dello stesso Orazio. «Hoc erat in votis: modus agri non ita magnus, / hortus ubi et tecto vicinus iugis aquae fons / et paulum silvae super his foret. …», sesta satira del libro I, vv. 1-3. (Questo il mio desiderio: un pezzo di terra non tanto grande, dove ci fossero un orto e vicino a casa una fonte d’acqua perenne con qualche albero che la sovrasti» ). Desiderio che Orazio realizzò. La sua villa sabina doveva essere verso le sorgenti della Digentia (poi Licenza), alle quali avrebbe dato il nome di Fons Bandusiae (vedremo meglio più avanti), e così (traduzione in prosa) la descrive a Quintio nei primi 14 versi della sedicesima epistola del I libro: Per evitare che tu mi domandi, impagabile Quinzio, del mio fondo, se è il seminato a sostenermi o le sue olive a rendermi ricco, piú che i frutteti, i pascoli o le viti che rivestono gli olmi, ti descriverò lungamente l’aspetto e il luogo della mia campagna. Montagne ininterrotte, tagliate in due dall’ombra di una valle, che al suo sorgere il sole illumina sul fianco destro e al tramonto col suo carro veloce nella bruma riscalda sul sinistro: un clima da sognare. E immagina cespugli generosi coperti di prugne e rosse corniole, querce e lecci che agli animali forniscono mangime in abbondanza e al padrone tutta l’ombra che vuole: diresti che qui è venuta Taranto con il suo verde intenso. C’è anche una sorgente in grado di dare al suo corso un nome: piú pura e piú fresca dell’Ebro che attraversa la Tracia, scorre benefica per i malanni del capo e per quelli del ventre. Dolcissimo rifugio e ridente, come ora sai, che per te mi conserva sano e salvo in questo scorcio di settembre.
Fa invece propendere per la tesi che la Fons Bandusaie sorgesse nei luoghi dell’infanzia e dei giochi giovanili del poeta la considerazione che, secondo una tradizione medievale per indicare Banzi si usava il toponimo fons Bandinus. Questa tradizione trae origine dalla descrizione, alla metà del Settecento, da parte dell’erudito marchigiano Domenico Pannelli, autore delle «Memorie del monastero Bantino» del sito e di una fons bandina, a pochi chilometri dall’attuale confine con la Puglia, fra Palazzo San Gervasio (paese d’origine della mia famiglia, dove io sono nato) e Genzano di Lucania, nei pressi di Venosa, nel territoio di Banzi. Qui, dunque, si trovava la fons Bandusaie.
Gli studiosi convinti della localizzazione sabina della sorgente – ammessa l’obiettiva veridicità della notizia che presso Venosa esistesse una fons bandina – fanno due ipotesi: il poeta potrebbe aver dato a quella sabina il nome della fonte presso Venosa, sollecitato dai ricordi affettivi dell’infanzia; oppure la gente di Venosa, proprio in onore del loro grande concittadino, avrebbe potutto assegnare sin dall’antichità a una fonte del luogo il nome reso famoso da questa ode.
Sia Rocco Scotellaro sia Giuseppe Giannotta sposano nettamente, senza alcuna esitazione, la tesi della localizzazione bantina, rendondo l’espressione «O fons Bandusiae» con «Fontana di Banzi». A pag. 33 del volume di Giuseppe Giannotta, che Rabatana sta facendo conoscere, in calce alla poesia «O fons Bandusiae» è pubblicata la foto della fonte con la disacalia O FONS BANDUSIAE – LOCALITA’ BANZI. Escludo senz’altro che essi abbiano sposato questa tesi a occhi chiusi e mente inattiva, in quanto lucani, anche se il motivo campanilistico ha esercitato un ruolo. Sta di fatto che Rocco Scotellaro frequentò il primo liceo presso il Liceo-Ginnasio «Quinto Orazio Flacco» di Potenza ed ebbe come professore di latino e greco il prof. Lichinchi. Credo, ma non sono sicuro di ricordare bene, che Lichinchi fu anche insegnante di Giannotta. Ora bisogna considerare che Lichinchi, originario di Palazzo Gervasio, paese prossimo a Banzi e a Venosa, che ho innanzi nominato, era stimato grande oraziano ed egli sentiva un trasporto particolare per il poeta di Venosa, da chiamarlo, nella sua attività didattica, affettuosamete e amichevolmente ‘mba Orazio (compare Orazio). Non può esservi dubbio che egli abbia studiato approfonditamente la questione del collocamento del fons Bandusiae e che abbia trasmesso ai suoi discepoli il risulato dei suoi studi. Sono in particolare certo che il prof. Lichinchi abbia fatto conoscere il pensiero di Giustino Fortunato sulla localizzazione della fonte, espresso nella lettera-prefazione al nipote citata nel commento all’ode Carpe Diem. Un pensiero documentato e rigoroso, che non semplifica la questione e lascia tuttavia al cuore dei lucani pensare alla localizzazioe bantina. Lo riporto:
Che Orazio amasse Venosa e i dintorni, da lui cosÌ affettuosamente descritti, nessun dubbio. Dal lato di ponente, le « venosine selve », – che contennero forse il podere che Cicerone possedè e visitò, – ascendenti su su fino alle sette cime del Vulture, lungo le quali, otto secoli dopo, aleggerà pure la leggenda del cavallo d’Orlando; a mezzogiorno, i fertili campi dell’allora «pianeggiante» Forenza, vigilati dall’ « eccelso nido» di Acerenza, che rimarrà pagana con Giuliano l’Apostata, e sarà ultima rocca de’ longobardi di Salerno; ad oriente, l’ampio saliscendi del bosco di Banzi, con l’omonima fontana « più tersa del cristallo », che una delle più brevi odi del poeta etemerà; e in ultimo, a tramontana, iOfam o, « che lllllgi risuona », e il Gargàno, tutto un querceto « battuto dall’adriaco aquilone»: o non ci tornano dinnanzi, sempre più amabili e familiari, negli armoniosi suoi versi?
Ma, a farlo apposta, ecco qui un secondo caso di stupefacenti arzigògoli, in virtù di non meno stupefacenti chiosatori, – che il compianto nostro Racioppi, ognora vivo nel devoto cuor mio, bollò come meritavano, – circa la ubicazione della misteriosa vena d’acqua de’ bantini balzi … Occorsero nientemeno che diciassette secoli perchè finalmente un bizzarro abate francese, preso da irrequieta sim- patia per Orazio, e letto in una pergamena medievale il nome di Bandusia, sita tra Palazzo san Gervasio e Venosa, si partisse da Roma, e recatosi Dio sa per quali vie e in che modi nell’estremo angolo nord-est della Basilicata, tornato sicurissimo di avere rinvenuta la ignota fonte, si affrettasse ad annunziarne, l’anno 1796, con apposita stampa, la scoperta. Ma la sua parola, ahimè, fu seme di nuovi e maggiori dubbi! Orazio, se aveva serbato pio ricordo della tremula e gàrrula sorgente natia, non aveva mai più riveduta Venosa, – poi che dopo la rotta di Filippi, il tenue asse paterno gli era stato inesorabilmente confiscato, e. per ciò, non a quella fonte egli avrebbe potuto la dimane, secondo la sua espressione, andare per il sacrificio. Nè basta: chè già non pochi eruditi locali si accapigliavano per accertare se l’abate avesse colpito bene nell’ubicar quella, e non altra, delle molte fontane del bosco, venute nel frattempo a luce … Bisognò aspettare altri novant’anni perchè un secondo e più autorevole francese, Gastone Boissier, in un delizioso libro di sue passeggiate archeologi che, rompendo, come suoi dirsi, le uova nel paniere, mostrasse che la celebre ode il poeta aveva intitolata, non alla fonte lucana (Banzi fu sempre della Lucania) ma ad un’altra, pochi passi distante dalla redditizia sua villa sabina, e alla quale piacquegli imporre il bene augurante nome medesimo.
Ovviamente anch’io coltivo nel mio intimo uguale certezza per un motivo non solo campanilistico lucano, ma soprattutto personalmente sentimentale. Avevo quattro anni quando visitai la fontana di Orazio e bevvi la sua fresca acqua. Allora non lo sapevo, ma capii non pochi anni dopo. Ricorreva nell’anno 1934 il secondo millennio della nascita di Orazio. Io avevo quattro anni. La mia famiglia (i miei genitori e i tre figli allora nati: Maria, io e Michele di quasi due anni) partecipò a Venosa alle celebrazioni oraziane. Per noi figli fu un dramma: una stanchezza e una noia infinite. Sballotolati di qua e di la, senza capire niente, in attesa di conoscere finalmente questo Orazio, che supponevo fosse un amico molto importante e autorevole di mio padre. Orazio qua, Orazio la, la fontana di Orazio, la casa di Orazio …, la stanchezza e le delusioni, ma Orazio non si faceva vedere. La balilla a tre marce, che ci conduceva a Venosa, fece una sosta a Banzi, per visitare la “fontana di Orazio”. Tutti l’ammiravano estasiati e bevvero la sua acqua. Ne bevvi anch’io. Chi ora può togliermi dalla testa che la fons Bandusiae si trova a Banzi, chi la può togliere a me, che posso giurare di aver visto a quattro anni, a Banzi, la fontana di Orazio e di aver bevuto la sua fresca acqua?
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Stavo cercando del materiale per la mia tesina di maturità classica sul paese in cui sono cresciuta ,Banzi, e imbattendomi in questo scritto, l’ho trovato molto utile e allo stesso tempo coinvolgente. Grazie Mille
Lieto di esserle stato utile, grato di aver suscitato ricordi di oltre 80 anni fa. Auguri per la sua maturità e il suo avvenire.