TOCCA APPENA CLOE
Carm. 3,26

Vixi puellis nuper idoneus

et militavi non sine gloria;

nunc arma defunctumque bello

barbiton hic paries habebit,

laevom marinae qui Veneris latus

custodit. Hic, hic ponite lucida

funalia et vectis et arcus

oppositis foribus minacis.

 

O quae beatam diva tenes Cyprum et

Memphin carentem Sithonia nive

regina, sublimi flagello

tange Chloen seme! arrogantem.

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Traduzione di Giuseppe Giannota

Non senza gloria in guerra

sono vissuto amato da fanciulle,

ora le armi e la veterana cetra

dovrò appendere a questo muro,

che protegge a sinistra Venere marina.

Qui, qui ponete le fiaccole fiammeggianti

e gli archi, odiati dalle nemiche porte,

con le leve violente.

 

Ma tu dea, che sei sovrana

a Cipro felice e a Menfi inviolata

dalla neve, con la punta

della frusta, tocca appena Cloe,

ragazza altezzosa.

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     Carm. 3, 26 (a Venere marina). Due strofe compongono la breve ode (12 versi) con dedica a Venere marina, così nominata nella prima strofa. Giannotta, colpito dalla mitezza con cui il poeta chiede a Venere di punire Cloe, ha intitolato l’ode «Tocca appena Cloe».

     Come un soldato o un gladiatore al termine della carriera Orazio appende le armi della guerra d’amore, che con tanto onore ha condotto nella sua vita, alla parete del Tempio di Venere marina e le consacra alla dea. Augusto aveva posto nel tempio di Cesare la Venere di Apelle, nell’atto di uscire dal mare. Questo tempio e questa immagine probabilmente immaginava il poeta.

     Quindi (seconda strofa) Orazio rivolge una supplica a Venere, affinché, prima della sua definitiva rinuncia, la dea esaudisca il suo desiderio di vedere punita (semel, almeno una volta) Cloe che, con arroganza, gli ha resistito (sublimi flagello / tange Chloen semel arrogantem).

Di Venere il poeta dice che la dea difende la felicità e le dolci stagioni di Cipro e di Menfi, luoghi di culto della dea.

A Cloe è dedicata l’ode 1, 23, dove il poeta dice che la fanciulla lo evita come un cerbiatto impaurito, che cerca la madre. La rassicura che egli non l’insegue per sbranarla come un leone o una tigre selvaggia e la incita a dimenticare la madre, perché ora è l’età dell’amore (tandem desine matrem  /tempestiva sequi viro – Dimentica tua madre / è l’età dell’amore).

Vi è chi ha visto nell’ode un addio alla poesia erotica per impegni più alti e si ritiene che l’ipotesi sia suggestiva e forse vera, anche se testualmente non trova riscontri.

 

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