EPODI

     L’antologia giannottiana «Orazio si confessa» consiste in una non ampia scelta di 14 odi, 1 epodo, 2  satire e 1 epistola. Col precedente file su Rabatana è stata completata la pubblicazione delle 14 odi e, quindi, ora è il turno dell’unico epodo che fa parte della raccolta.

     Gli epodi sono la prima opera scritta di Orazio (41-30 a.C.). Epodo deriva dal latino  epōdo(n) o dal gr. epōdós, composto di epí ‘sopra’ e ōdḗ ‘canto’, quindi propriamente. ‘canto aggiunto’.- Negli Epodi si riflettono le prime esperienze giovanili di Orazio, alla quali conviene quindi accennare. Il giovane Orazio si arruola nell’armata di Bruto, che combatteva insieme a Cassio contro Ottaviano e Antonio in difesa della libertà repubblicana, e riceve addirittura il comando di una legione, ma nel 42 a.C. l’esercito repubblicano viene sconfitto a Filippi. Un anno dopo Orazio torna a Roma, dove comincia la sua carriera di poeta e viene presto ammesso nel circolo di Mecenate, potente protettore di poeti e letterati. Si dedica quindi alla composizione degli Epodi, una raccolta di 17 componimenti che alternano quasi tutti un verso più lungo e uno più breve (quest’ultimo detto appunto epodo) e che si ispirano alla poesia lirica del greco Archiloco. I temi sono i più vari: invettive contro personaggi immaginari o reali, lamento sulle guerre civili, celebrazione del vino e dell’amore. Rispetto alle opere successive, gli Epodi si caratterizzano per il tono spesso polemico e violento, estraneo alla più sobria poesia della maturità.

     L’occasione di questo sedicesimo epodo – composto di 66 versi, di cui Giannotta  sceglie e ne traduce 5 (10 -14) col titolo Le ossa di Quirino – è la guerra civile di Perugia, la medesima del settimo epodo. Orazio manifesta orrore per le guerre civili, che egli vede come un delitto che aveva origini lontane, addirittura nel fratricidio che Romolo consumò su Remo, ma che nel settimo epodo diventa esemplare della sua generazione. In questo epodo, un po’ troppo gonfio di oratoria, l’orrore del sangue fraterno versato genera la proposta della fuga come unico rimedio: andarsene alla ventura oltre i lidi etruschi in cerca delle isole felici, che non rappresentavano solo un luogo di beatitudine, ma soprattutto di virtù ritrovata. Nei versi scelti da Giannotta ritorna l’orrore del fratricidio nell’immagine del cavallo del barbaro che, sceso dai monti, cavalcherà la città e scalcerà persino la tomba di Romolo Quirino.

     Quirino (lat. Quirinus) e una Divinità romana, eponimo fittizio (soprannome) dei Romani, detti appunto Quiriti. Sull’origine del dio sono fiorite diverse leggende, ma certamente le sue origini sono sabine. Aveva carattere guerriero e nella leggenda delle origini di Roma fu identificato con Romolo.

LE OSSA DI QUIRINO
Ep. 16, vv. 1014

Ferisque rursus occupabitur solum.

Barbarus, heu, cineres insistet vietar, et urbem

eques sonante verberabit ungula,

quaeque carcnt ventis et solibus ossa Quirini,

(nefas videre) dissipabit insolens.

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Traduzione di Giuseppe Giannotta

Il nostro suolo

verrà ancora schiantato da belve.

Un barbaro, ahimè, siederà sul fumo

dei morti e, strepitoso, percorrerà col cavallo la [città;

persino le ossa di Quirino,

mai violate dal sole e dal vento,

(disgrazia a sentirsi) l’empio scalcerà.

 

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