A Tricarico è in corso la presentazione del libro “Il prezzo della libertà – Lettere da Portici”, in merito al quale pubblicai su Rabatana tre “recensioni”. Le ripubblico con la speranza che si stia proclamando la verità. (a.m.)

 Rocco Scotellaro non ha mai detto o scritto parole sbagliate

Il libro «Il prezzo della libertà lettere da Portici», in ottima e ben curata edizione Giannatelli di Matera, a cura di Pasquale Doria, ha due esergo che, come una sorta di hastag, annunciano l’ingiusta carcerazione patita da Rocco Scotellaro nella camerata n° 7 delle carceri giudiziarie di Matera per quarantacinque giorni dall’otto febbraio al 25 marzo del 1950. Non sarebbe, peraltro, giusto ignorare i preziosi contributi forniti da Emanuele Festa, storico segretario del PSI cittadino, dell’artista Nicola Filazzola, dall’architetto Biagio Lafratta della soprintendenza ai beni culturali e dal sociologo Gilberto Marselli.

Il primo esergo è un hastag del libro di Erri De Luca, pubblicato da Feltrinelli, «La parola contraria» #STOCONERRI «Sul banco degli imputati mi piazzano da solo, ma solo lì potranno. Nell’aula e fuori, isolata è l’accusa».

Il titolo della poesia di Rocco Scotellaro «Pozzanghera nera il 18 aprile» e i primi otto versi, col primo verso «Carte abbaglianti e pozzanghere nere … » in grassetto, costituiscono il secondo esergo, erroneamente datato 1952 e non 1948. Non è il solo errore non scusabile, come ad esempio l’aver datata la morte di Scotellaro il 12, e non 15, dicembre 1953.

Sono due esempi di vita e d’impegno civile, politico e culturale che hanno in comune l’ingiusto risvolto giudiziario, ma non il lessema.

Bisogna quindi prendere posizione. Io la prendo affermando che la parola di Erri De Luca non è una parola solo contraria, ma una parola sbagliata; le parole di Rocco Scotellaro sono parole contrarie ai luigini ma non sono parole sbagliate. Mai Rocco Scotellaro ha adoperato parole sbagliate. Accetto la comunione dei due esergo se si legge quello di Scotellaro «Je suis Erri».

I fatti sono noti. Lo scrittore Erri De Luca è processato (il processo è tuttora in corso) per le frasi pronunciate agli inizi di settembre 2013: «La Tav va sabotata» (all’Huffington Post ) e «Si può sabotare un’opera inutile e nociva, che in previsione distruggerà acqua, aria, suolo di quella valle. Si tratta di un necessario sabotaggio e di una necessaria ostruzione» (alla trasmissione radiofonica La Zanzara ). La pubblica accusa sostiene che, in seguito alle parole dello scrittore, a partire dal settembre 2013 sono aumentate le violenze ai cantieri della Tav. Erri De Luca si dice invece convinto che dopo le sue parole gli atti di violenza sono diminuiti.

Egli rischia cinque anni di prigione. Il processo, come ho già detto, è ancora in corso, e la prossima udienza si terrà il 20 maggio.

Io ritengo che Erri De Luca, se dice che la Tav va sabotata, dice una cosa sbagliata (contraria e sbagliata). Ma non commette un reato. Il punto è che la distanza tra le parole e le cose è l’essenza di una vita culturale libera. Con le parole si esprimono opinioni. Se dico che la Tav va sabotata (ma io personalmente non voglio dirlo, dico il contrario) esprimo un’opinione, che nessuno deve e può soffocare, non commetto un reato. Se invece compio un concreto e violento atto di sabotaggio, sì che commetto un reato.

Non dovrebbe essere difficile da capire. E invece non si capisce. Distingue frequenter et numquam errabis, ma pare che restare nella confusione sia comodo e riposante. Dunque, distinguiamo Rocco Scotellaro da Erri De Luca. E diamo all’ingiusta carcerazione di Scotellaro il suo esergo, la poesia Pozzanghera nera il 18 aprile, parola contraria ai suoi amici (Rinascita si rifiutò di pubblicarla e Carlo Muscetta la criticò duramente) e, ovviamente, ai vincitori del 18 aprile 1948.

 

Si stampi al più presto l’edizione riveduta e corretta del libro

«Il prezzo della libertà»

     Rocco Scotellaro Sindaco sanzionò un dirigente del Comune, che ricopriva uno dei ruoli più alti dell’amministrazione, per gli errori di ortografia, grammatica e sintassi di cui erano infarciti i suo atti. C’era molta ironia nel gesto di Rocco, ben sintonizzato col temperamento del soggetto censurato. Che, infatti, reagì ironicamente in pubblico, nel caffè Scardillo nell’ora di punta: – Ninù, un caffè al Sindaco. Mi raccomando che sia cor-ret-to. Hai capito? Cor-ret-to! – Poi, rivolgendosi a Rocco, disse: – Rocco, ricordati: i Sindaci passano, ma i ***** restano -.

Chissà. Forse e senza forse una censura a Pasquale Doria per il libro «Il prezzo della libertà – lettere da portici», pieno di errori, alcuni anche madornali, Rocco l’avrebbe comminata.

Immagino il travaso di bile che ha avuto Carmela Biscaglia – e assumo il suo caso come esempio – nel vedere pubblicata una sua misteriosa «Nota bibliografica», dove non si parla di libri di o su Scotellaro, ma della sua vita dalla nascita alla morte. La nota è pubblicata senza firma sul sito del Centro di documentazione Rocco Scotellaro, di cui Carmela Biscaglia è la direttrice. Si tratta, quindi, di un editoriale del Centro e certamente Carmela Biscaglia avrebbe voluto che fosse pubblicato come tale e non come un suo articolo, che tale, formalmente, non è, anche se lo ha scritto lei. Esso, nel libro, peraltro, non è pubblicato come articolo «di» ma «a cura di Carmela Biscaglia», un’espressione che, detta dell’autore – ufficiale o di fatto notorio che sia – non ha alcun senso.

Carmela Biscaglia non avrebbe mai e poi mai dato l’ordine «si stampi» se lei non avesse visto, rivisto e controllato l’articolo e corretti tuti gli errori e i lapsus logici. So qualcosa del suo rigore e del suo scrupolo e, sia detto con tutto il rispetto, della sua pignoleria, giacché sono tre anni che tiene in ballo sul filo un mio articolo; con l’età che mi trovo, temo oramai, che, quando darà l’ordine di pubblicarlo, dovrà aggiungere un commosso mio necrologio.

Mi fermo qui, con un consiglio: si stampi una «seconda edizione riveduta e corretta» del libro, immacolata come se uscisse dall’Accademia della Crusca, e liberata di ogni aporia. Lo richiede il rispetto che si deve ai lettori e a Rocco Scotellaro in particolare.

Le copie anastatiche dei documenti e delle due pagine dell’ «Avanti» del 29 agosto 1954 giustificano, nel frattempo questa prima edizione, che, pertanto, secondo me, nonostante tutto, può utilmente circolare ed essere diffusa.

Io ho due motivi personali per perorare questa moratoria.

Il primo riguarda la suddetta copia anastatica dell’«Avanti». Essa fu affissa a una improvvisata bacheca sulla cancellata della cappella di San Pancrazio, dove la lessi la prima volta, e poi ne comperai una copia, che sono riuscito a conservare per molti anni, ma infine è andata smarrita. Ora è come se l’avessi ritrovata e ne sono felice.

Il secondo motivo riguarda l’accurata dimostrazione del rapporto che Rocco aveva col partito socialista nel 1952 e delle sua ripetuta opposizione alla proposta della sua candidatura per la prima elezione del Consiglio provinciale di Matera dopo la caduta del fascismo. Rocco, come è noto, dovette infine accettare. Le elezioni andarono male, «come forse aveva preventivamente intuito» (pag. 14). Antonio Albanese, al contrario, nelle sue «Memorie» inedite, delle quali conservo una copia, scrive che «Rocco risentì molto di questa sconfitta, come mi disse francamente, una sera, a Napoli, dove, allora, io mi trovavo…».

Quel periodo lo vissi a stretto contatto con Rocco e della candidatura al Consiglio provinciale si parlò molto. Io allora ero a pensione con Antonio Albanese – amico fraterno di Rocco – presso una tale signora Innamorato, in via San Domenico Soriano, alle spalle di piazza Dante. Rocco, «scendendo» a Napoli da Portici – come si dice a Napoli -, veniva a trovarci spesso e talvolta si fermava a dormire. Era una ospitalità clandestina, all’insaputa della padrona, senza disponibilità di letto: due dovevano sacrificarsi a capo e a piedi. Quando io tornai a Tricarico, Rocco dava ancora per certo che non avrebbe accettato la candidatura. A Tricarico trovai una situazione “rivoluzionaria” nella Democrazia Cristiana. Io, cattolico, non iscritto ad alcun partito e non avendo ancora votato per ragione d’età, simpatizzavo per quel partito. La “rivolta”, ispirata da ragioni altamente ideali e non mossa da alcun interesse personale o di gruppo, aveva tra i maggiori ispiratori il mio carissimo amico Benito Lauria, studente all’Università cattolica, che era tornato a Tricarico per trascorrere un periodo di convalescenza a seguito di una grave malattia. Non potetti che unirmi a quell’operazione, la sezione del partito fu sciolta e io, pur non essendo iscritto, fui nominato commissario straordinario. Improvvisamente fu annunciata la candidatura di Rocco e io mi trovai come imbottigliato in quella vicenda elettorale.

Dico la verità. Se avessi saputo della candidatura di Rocco non avrei votato per lui ma per il candidato della D.C., Ciccio Menonna, ma non mi sarei impegnato nella campagna elettorale né pronunciato. Insomma, per tutto l’oro del mondo non avrei voluto compiere la scelta che invece feci. Me ne rammarico tuttora e mi giustifico dicendomi che fui vittima delle circostanze. Passati decenni e decenni, mi prende il dubbio che la memoria mi inganni per darmi un alibi. Ora, il libro di Pasquale Doria mi serve la prova su un vassoio d’argento che la memoria non m’inganna.

 

Le dimissioni di Scotellaro nel libro «Il prezzo della libertà» e il vescovo Delle Nocche

     Il libro a cura di Pasquale Doria commenta le dimissioni da Sindaco di Rocco Scotellaro nel 1948 con impareggiabile tecnica di confusione e mistificazione di fatti e logica.

Il commento, ignorando il contesto storico delle dimissioni, commenta non sapendo che cosa, per addossare la responsabilità, come si vedrà, al vescovo delle Nocche con un racconto che ricorda la favola del lupo e dell’agnello.

Le dimissioni le spiega lo stesso Scotellaro con poche e semplici parole: «Sono sindaco dal 1946. Dopo il 18 Aprile le dimissioni dei repubblicani e indipendenti riducevano il gruppo di sinistra e l’amministrazione era sciolta» (Carlo Muscetta,rocco scotellaro e la cultura dell’uva puttanella, in Omaggio a Scotellaro, Lacaita editore, Manduria, 1974). Scotellaro allude al 18 aprile del 1948, una data cruciale nella storia repubblicana, ma che in altre parti del libro rischia di spostarsi in avanti al 1952. Rocco si era schierato, prendendo parte attiva allo storico scontro elettorale, per il Fronte popolare, che uscì pesantemente sconfitto, mentre consiglieri repubblicani e indipendenti della sua stessa maggioranza, avevano compiuto la scelta opposta e, pertanto, rassegnarono le dimissioni da consiglieri comunali. Il collante politico della giunta Scotellaro si era sciolto e le dimissioni del Sindaco furono inevitabili.

Con un salto logico e cronologico la responsabilità delle dimissioni di Scotellaro, avvalendosi della relazione di uno zelante funzionario della prefettura di Matera, dal Doria è invece addossata alla manovre da politicante «di vecchia data» del Vescovo Delle Nocche, «padrone di vaste terre in provincia e fuori» che «dirige[va] le fila (dell’opposizione) aiutato nel compito da un astutissimo segretario», da individuare nel vicario generale mons. Pietro Mazzilli. La relazione è del dott. Vincenzo Macioce e porta la data del 29. 9. 1946. Le elezioni del Consiglio comunale si tennero a Tricarico 21 giorni dopo, il 20 ottobre, con la vittoria della lista capeggiata dal giovanissimo Rocco Scotellaro. La quale lista, politicamente, non fu una lista di sinistra, in quanto ne facevano parte esponenti repubblicani e indipendenti (qualcuno di essi si qualificava liberale). A maggio del 1947, con la formazione del IV Governo De Gasperi, il PCI e il PSI furono espulsi dal governo, determinandosi quindi una rottura politica durata mezzo secolo. I conti furono saldati con le elezioni del 18 aprile 1948, producendo inevitabili effetti anche all’interno della maggioranza che aveva eletto Scotellaro sindaco, dove scoppiarono le contraddizioni e alcuni consiglieri uscirono dal consiglio comunale. Scotellaro trasse le conseguenze e, con le sue dimissioni, determinò lo scioglimento della giunta.

Tanto per precisare.

Ora alcune repliche, che sono eventualmente in grado di motivare con prove documentali.

  1. Il Venerabile Vescovo delle Nocche non possedeva vaste terre in provincia e altrove. Egli apparteneva a una famiglia benestante del napoletano e durante il lungo suo ministero episcopale nella diocesi di Tricarico, vendette alcune proprietà per far fronte alle necessità delle sue straordinarie opere benefiche.

2.L’era fascista si è svolta interamente quando egli era vescovo di Tricarico, essendo stato nominato Vescovo qualche mese prima della marcia su Roma. I tricaricesi hanno conosciuto il suo operato e di esso sono consultabili inconfutabili documenti. L’aspirazione più profonda del Vescovo fu il bene delle anime affidate alle sue cure spirituali, ideale al quale, nella sua scala di valori, tutto doveva essere subordinato. Sapeva però che l’uomo si salva nella storia, vivendo la sua appartenenza alla città terrena con tutte le implicazioni e le responsabilità che questo comporta. Delle Nocche non fu fervente fascista al punto da essere proposto per una medaglia come benemerito del regime e svolse un ruolo attivo nello scontro tra la Chiesa Italiana e il regime fascista sull’educazione dei giovani.

  1. Per inquadrare la relazione del commissario prefettizio Macioce, passo in rapida rassegna le vicende dell’amministrazione del comune di Tricarico dalla caduta del fascismo. Ricopriva allora la carica di podestà il perito agrario Tommaso Gigli. Una legge transitoria pose fine al regime podestarile fascista con un regime di sindaci e giunte di nomina prefettizia. La prima giunta fu quella dell’avv. Carlo Grobert. Ad essa seguì la giunta di Vito Brandi. Con la crisi di questa, si susseguirono nell’amministrazione del Comune, dal gennaio 1946, tre commissari prefettizi: i primi due furono tricaricesi (Nunzio Riccardi e Nicola Toscano), il terzo, in vista delle elezioni, che, come ho già detto, si tennero il 20 ottobre 1946, fu il citato funzionario di prefettura dott. Vincenzo Macioce. Allora i prefetti erano di nomina politica e il prefetto di Matera, Aurelio Ponte, fu di spettanza comunista, che, in vista delle elezioni, sostituì il commissario Nicola Toscano con un suo funzionario. Non erano tempi facili, quelli. Il dott. Macioce tre anni prima andava in prefettura in camicia nera e, quando conferiva col prefetto, batteva i tacchi e si irrigidiva nel saluto fascista; tre anni dopo doveva dar conto a un prefetto comunista. Non c’è quindi da sorprendersi se, a tre settimane dalle elezioni, ebbe lo zelo di inviare al suo prefetto una relazione che metteva le mani avanti per giustificare l’eventuale sconfitta della lista gradita al prefetto stesso, addossando la colpa al vescovo con quella verve anticlericale che, egli immaginava, a S.E. il compagno prefetto sarebbe stata gradita.

4.Chiudo ricordando che Scotellaro nei «Contadini del Sud» parla del vescovo Delle Nocche come di «uno dei vescovi moderni che attivizza il clero della diocesi e lo impegna in istituzioni benefiche, dagli asili ai mendicicomi e manda in Italia e all’estero fino in Brasile le Suore di Gesù Eucaristico, congregazione da lui creata. A Tricarico ha dato muri nuovi e impianti moderni alla vecchia casa vescovile, ai monasteri di Sant’Antonio e di Santa Chiara già morti ruderi per colombi e cornacchie, ora squillanti di campanelli elettrici e voci femminili delle suore, delle convittrici del magistrale parificato, delle allieve delle scuole di taglio e di cucito e di ricamo e ha dato energia, gentilezza ed eleganza ai sacerdoti, sebbene molti di questi, i vecchi, ancora impenetrabili come contadini, altri, i giovani, diplomatici e faziosi».

 

 

2 Responses to Presentazione del libro “Il prezzo della libertà – Lettere da Portici”

  1. BASILICATA ha detto:

    13 dicembre 2015 ore 5,17. Ha senso questo blog? Questo bla bla? Questo far finta di non capire che nel tempio consacrato non ci si accorge che Rocco Scotellaro è morto il 15 dicembre e non il 12? Che “Pozzanghera nera il 18 aprile ” è una poesia del 1948 e non del 1952? Che Rocco Scotellaro scriveva parole contrarie ai luigini e talvolta anche ai suoi amici, ma mai ha detto o scritto parole sbagliate? Non avrebbe senso leggere, come una preghiera, ogni mattina, come quando pareva che Rocco non fosse mai esistito, una sua poesia o una sua pagina? E non unire il proprio strumento stonato al “frastuono” che gli fanno? E chiudere con l’ultima poesia?

    Colei che non mi vuol più bene è morta.
    E’ venuta anche lei
    a macchiarmi di pause dentro.
    Chi non mi vuol più bene è morta.
    Mamma, tu sola sei vera.
    E non muori perché sei sicura.
    (13 dicembre 1953)

  2. RABATANA ha detto:

    Ma non vedi, cara Basilicata, che non gliene frega niente a nessuno ? Glielo dico ad Antonio Martino di non perdere tempo con me e di tornare alle sue antiche e più riflessive letture ! Domani sarà l’anniversario, per lui intensamente e in egual misura triste della morte di Rocco Scotellaro e di Giuseppe Dossetti, e non vorrà mancare di ricordarlo. L’Ars poetica, epistola ai Pisoni di Orazio, è l’ultimo componimento della piccola antologia giannottiana “Orazio si confessa”: per rispetto dell’impegno preso con la memoria di Giuseppe Giannota, Antonio Martino non potrà mancare di pubblicarla. Dopo mi mandi in pensione e con me mandi in pensione le bagatelle tricaricesi e si goda i cammei ticaricesi e non solo tricaricesi.

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