Rabatana si tiene lontana dalla politica e persino dalle questioni istituzionali, che hanno impegnato gran parte della mia attività lavorativa e di studio. Ho taciuto lo sdegno provato per l’indegna sceneggiata posta in atto dal presidente del consiglio Matteo Renzi a proposito della legge sull’omicidio stradale, passata tra l’indifferenza generale, segno gravissimo del calo dell’etica civile. Leggo oggi sul Resto del Carlino l’editoriale critico della politologa Sofia Ventura e ho deciso di pubblicarlo. Voglio far notare che io non sono iscritto ad alcun partito ma ho sempre votato per il partito di cui Matteo Renzi è segretario e per uno dei movimenti che hanno dato vita al detto partito. Non posso fare a meno di dire che mi pare  benevolo il giudizio della prof. Ventura, secondo cui si tratta almeno di una scortesia istituzionale.

POLITICA VIRTUALE

di Sofia VENTURA

 

Il 9 marzo Matteo Renzi ha ricevuto a Palazzo Chigi rappresentanti dei parenti delle vittime della strada e in loro presenza ha “firmato” la legge che istituisce il reato di omicidio stradale, per la quale si era impegnato sin dall’esordio del suo governo.

Senza entrare nel merito del provvedimento, è chiaro che di questo testo si è voluto fare una bandiera della capacità decisionale del governo e della sua prossimità alla “gente”. Si comprende, dunque, il perché di una cerimonia celebrativa. Tuttavia, pare che nessuno si sia accorto che quella cerimonia, da un lato ha messo in scena una vera e propria finzione, dall’altro, con quella finzione, ha di fatto operato una pressione sul Capo dello Stato. La Costituzione prevede non la firma, ma la “controfirma” (atto dovuto) del Presidente del Consiglio, che viene dopo la firma del Presidente della Repubblica, che promulga la legge.

Ma la firma di Mattarella non è stata ancora apposta. Dunque, la firma di Renzi a Palazzo Chigi non era nemmeno una controfirma, non era nulla; l’atto è stato, piuttosto, un “facciamo finta che”: facciamo finta che ho il potere di promulgare la legge e così ci viene un bel servizio per i tiggì.

Lo stesso Renzi, in quella occasione, ha pronunciato queste parole: “Le pene fino a ieri, anzi fino ad oggi… Aspetteremo la firma e la pubblicazione”. Ha, cioè, ammesso che è necessaria una firma successiva, ma con quell’oggi ha, in modo ambiguo, creato l’aspettativa che qualcosa di formalmente significativo fosse accaduto.

Il sito di Palazzo Chigi ha contribuito all’ambiguità, con il riferimento a una firma non meglio definita e con la pubblicazione di una foto che mostra l’ultima pagina del testo della legge. La data è in bianco, la firma del Presidente della Repubblica assente; c’è la firma di Renzi e la dicitura a mano “Visto il Guardasigilli”. Ma che significato hanno firma e visto senza l’autografo del Presidente? Nessuno, se non quello di una “rappresentazione”, non negata, ma neanche resa esplicita come tale.

I media hanno perlopiù fatto da eco a Palazzo Chigi, in molti casi lasciando intendere che dopo quella cerimonia il testo fosse diventato legge dello Stato. Partiti e istituzioni sono rimasti in silenzio, ad eccezione del Vicepresidente della Camera Simone Baldelli (Forza Italia), che in Aula ha denunciato la messa in scena.

Da un punto di vista comunicativo, si è fatto un passo ulteriore rispetto alla più tradizionale “alterazione” della realtà che, con omissioni, edulcorazioni, parzialità, può caratterizzare lo storytelling. Il passo ulteriore consiste nell’aver creato un evento per celebrare qualcosa che non esiste, ma che acquista apparenza di esistenza proprio in virtù dell’evento creato. Nel caso specifico: si è fatto “come se” la firma di Renzi, priva di valore, fosse il momento conclusivo di un processo. L’esigenza comunicativa era quella di porre il Presidente del Consiglio, con la sua potestà decisionale, al termine di un processo da lui voluto.

Così Renzi ha giocato a fare il Presidente francese; ha giocato con prerogative costituzionali che non ha. “Giochiamo a che io ero il Presidente e tu mi filmavi”, come direbbero bambini che cominciano un gioco. Come si notava più sopra, però, con questa messa in scena si è, di fatto, prodotta una potenziale pressione, si è creata l’aspettativa del “fatto compiuto” attorno alla legge. In altri termini, si è rappresentato l’evento come se la promulgazione da parte del Capo dello Stato fosse un atto scontato (non facevano forse intendere questo le parole di Renzi riportate?), mentre, come è noto, questi può non firmare e rinviare il testo alle Camere. Non siamo, forse, di fronte almeno a una scortesia istituzionale? In questo caso, l’imperativo della comunicazione sembra, dunque, aver spazzato via ogni altra considerazione, come se realtà e finzione pari fossero al cospetto della sacralità del messaggio; come se norme, regole e galateo istituzionale fossero inutili orpelli. Nella generale indifferenza.

 

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