Il passero, Albert Einstein e i fratelli Hans e Sophie Scholl
La Rosa Bianca
Monumento all’Università Ludwig Maximilian di Monaco dedicato al gruppo della Rosa Bianca.
Ho visto su FB il post del passero di Ulm, città sulle sponde del Danubio, nota soprattutto per aver dato i natali ad Albert Einstein. Impossibile non notare i passeri a Ulm, vi sono dappertutto, di ogni dimensione, fatti di ogni specie di materiali.
Si narra che qualche centinaio di anni fa, mentre erano in atto i lavori per la costruzione della grandiosa cattedrale di Ulm, col campanile più alto del mondo, alcuni cittadini stessero trasportando dei lunghi tronchi di legno necessari per la costruzione del Duomo. I tronchi erano adagiati di traverso su un carretto da cui fuoriuscivano ai lati. Una volta giunti alle porte della città, i trasportatori si accorsero però che il cancello era troppo stretto e pertanto l’unica soluzione per entrare era quella di abbattere la porta. Mentre si discuteva sui modi di demolizione del cancello un passero attirò l’attenzione degli uomini. L’uccello stava volando verso una piccola apertura nella porta, una nicchia stretta e angusta dove presumibilmente stava costruendo un nido. Nel becco teneva infatti un lungo filo di paglia e per infilarsi nell’apertura, il passero aveva semplicemente girato la testa. I cittadini ebbero dunque una rivelazione. Girarono i tronchi sistemandoli per lungo ed entrarono in città senza fatica. Per dimostrare la loro gratitudine al passero, i cittadini fecero costruire un gigantesco passero di pietra che venne posizionato sul tetto della cattedrale. Ogni storia che si rispetti ha la sua morale ed è facile immaginare quale sia la morale del passero di Ulm: «E se non funzionerà a diritto, faremo girare la cannuccia fino a che non funzioni». E così i concittadini di Einstein, che una bella figura non fecero, salvano la faccia.
La vista del passero di Ulm postato su FB fece improvvisamente scoccare nella mia mente l’associazione, nonché con Einstein, col movimento della resistenza antinazista tedesco denominato «La Rosa Bianca», costituito da un gruppo di studenti cristiani (cattolici e protestanti) all’Università Ludwig Maximilian di Monaco, che si oppose in modo non violento al regime della Germania nazista. Il gruppo fu composto da cinque studenti cristiani (cattolici e protestanti): i fratelli Hans e Sophie Scholl (25 e 21 anni), evangelici, Alexander Schmorell (25 ani) di confessione ortodossa, Willi Graf (25 anni), cattolico, e Christoph Probst (23 anni), educato da un padre appassionato delle religioni orientali e battezzato soltanto un’ora prima di essere consegnato nelle mani del boia. A essi si unì un professore, Kurt Huber (49 anni), che con loro condivise il tratto finale del cammino. I fratelli Hans e Sophie Scholl erano di Ulm.
Operativo a Monaco di Baviera, i cinque studenti alzarono la loro voce di persone libere in un’epoca che vedeva il trionfo dell’urlo delle folle irretite da Goebbels, il ministro della propaganda tedesco, che, giunto il momento della resa dei conti, si avvelenò col cianuro e avvelenò la moglie e i sei bellissimi figli, bambini innocenti. Testimoni loro malgrado del regno dell’Anticristo, credettero di risvegliare la coscienza della Germania diffondendo sei volantini di appello ai tedeschi, di denuncia dei crimini della dittatura. Ma la riappropriazione della parola nella Germania di Hitler era alto tradimento, per una dittatura che sulla falsificazione della parola aveva fondato il suo potere.
«Ogni parola che esce dalla bocca di Hitler – si legge nel quarto volantino – è una menzogna. Quando si parla di pace pensa alla guerra, quando egli in modo blasfemo pronuncia il nome dell’Onnipotente, si riferisce invece alla potenza del Male, agli angeli caduti, a Satana. La sua bocca è come l’ingresso fetido dell’inferno».
Ed ecco che, di fronte a quella voce diabolica, la Rosa Biianca leva la sua voce, lancia un appello.
«Noi non taceremo, noi siamo la voce della vostra cattiva coscienza. La Rosa Bianca non vi darà pace».
È un appello che giunge dall’esterno, perché la voce della propria coscienza va ascoltata, ma a volte occorre che giunga da fuori una parola che la ridesti. Lasciata a se stessa la coscienza non basta, perché essa, come tutto il resto nella vita, è cammino e non un dato. Tutto accadde nel breve arco di tempo che va dal giugno 1942 al febbraio 1943: prima e durante questi otto mesi ci furono esperienze di guerra sul fronte orientale e sul fronte occidentale.
Sei sentenze di condanna a morte, pronunciate tra il febbraio e l’ottobre 1943, non riuscirono a fermare la diffusione del loro messaggio, e altre persone, giovani e adulti, in altre città tedesche, pagarono con la vita o con severe pene detentive l’aver collaborato alla diffusione e alla ristampa dei volantini.
Si resta stupefatti ad analizzare il retroterra etico e culturale dove la decisione della resistenza era cresciuta, miracolosamente sopravvissuto all’alluvione della follia nazista, incomprensibile a chi considerava il Mein Kampf di Hitler il libro per eccellenza, anzi l’unico libro che valesse la pena leggere.
Il rapporto tra le letture e la maturazione, la riflessione culturale e la decisione di intraprendere attività illegali di resistenza, è eloquentemente dimostrato dai numerosi passi, nelle lettere e nei diari dei protagonisti, in cui si parla di autori letti e di interrogativi o propositi emersi a partire da queste letture.
Rischio di essere estremamente limitato e unilaterale – anzi lo sono -, citando solo Romano Guardini, più familiare al cattolico Graf che ai protestanti fratelli Scholl, ma l’amicizia tra loro divenne un canale di scambi e intrecci culturali. La limitazione dipende da due ragioni specifiche. Una è che Romano Guardini è il solo degli autori che contribuirono alla formazione culturale, civile e spirituale dei ragazzi della Croce Bianca, del quale io abbia una sia pur minima conoscenza. La seconda è che a Guardini, nel novembre del ’45, venne chiesto – tra le poche voci a non essersi piegate al nazismo – di ricordare, a Tubinga la Rosa Bianca, e ancora a lui, nel 1958, fu affidata un’altra commemorazione dall’Università di Monaco, in cui i fratelli Scholl e i loro amici avevano studiato e maturato la scelta antinazista.
Riporto alcune annotazioni dal diario di Graf:
Sul fronte russo: «18.9.1942. Smette di piovere. Eppure mi riesce oggi, nelle tranquille ore de mezzogiorno, di leggere Guardini. Poi comincio con gli eserci di russo…»
E il 17 novembre, in vista ad amici di Bonn per conquistare nuovi compagni per la causa:
«Nel primo pomeriggio porto l’icona a Marita. Ci guardiamo questa bella raffigurazone, Marita ne è molto felice. Passeggiata attraverso la città con Marita e Hein, confrontiamo Jünger e Guardini, come afferrano il mondo tutto intero e ci riflettono».
E il 24 novembre, a Monaco, in casa di amici:
«La sera ne arrivano altri, leggiamo Guardini e parliamo della preghiera. Torno a casa nella notte, ho da camminare un bel tratto nella chiara, fredda e limpidissima notte lunare».
Furono stampati e ciclostilati e spediti per posta sei opuscoli, che chiamavano i tedeschi a ingaggiare la resistenza passiva contro il regime nazista. Un settimo opuscolo, che potrebbe essere stato preparato, non venne mai distribuito perché il gruppo cadde nelle mani della Gestapo (polizia segreta del terzo Reich).
Essi rigettavano la violenza della Germania nazista di Adolf Hitler e credevano in un’Europa federale che aderisse ai principi cristiani di tolleranza e giustizia. Citando estensivamente la Bibbia e gli Autori che consideravano l’intellighenzia tedesca, credendo che si sarebbe intrinsecamente opposta al Nazismo.
In un primo momento, gli opuscoli vennero spediti in massa verso differenti città della Baviera e dell’Austria, poiché i membri ritenevano che la Germania meridionale fosse più ricettiva nei confronti del loro messaggio antimilitarista. In seguito la Rosa Bianca prese una posizione più vigorosa contro Hitler nel febbraio 1943, distribuendo gli ultimi due opuscoli e dipingendo slogan anti-hitleriani sui muri di Monaco, e addirittura sui cancelli dell’università.
Il sesto opuscolo venne distribuito nell’università il 18 febbraio 1943, in coincidenza con la fine delle lezioni. Quasi tutti i volantini vennero distribuiti in luoghi frequentati, Sophie Scholl prese la coraggiosa decisione di salire in cima alle scale dell’atrio e lanciare da lì gli ultimi volantini sugli studenti sottostanti. Venne individuata da un bidello nazista che la bloccò e la consegnò assieme al fratello alla polizia di regime. Gli altri membri attivi vennero subito fermati e il gruppo, assieme a tutti quelli a loro associati, venne sottoposto a interrogatorio da parte della Gestapo (la polizia segreta del terzo Reich). I fratelli Scholl si assunsero immediatamente la piena responsabilità degli scritti sperando, invano, di proteggere i rimanenti membri del circolo; i funzionari della Gestapo che li interrogarono rimasero stupiti per il coraggio e la determinazione dei due giovani (Sophie Scholl venne torturata per quattro giorni. Non fece alcuna rivelazione, ma disse: «Quello che abbiamo detto e scritto, lo pensano in molti. Solo che non osano dichiararlo»).
I fratelli Scholl e Probst furono i primi ad affrontare il processo presso il «tribunale del Popolo»). Nel corso di un breve dibattimento, durato cinque ore, furono reputati colpevoli e ghigliottinati il giorno stesso. Ghigliottinati per aver distribuito manifesti!
L’ultima parola scritta da Hans Scholl nel cortile del carcere, l’ultima parola scritta da Sophie Scholl sul retro della sua condanna a morte, in bella caligrafia ornata fu: Fraiheit, «Libertà»
Con la caduta del regime nazista, la Rosa Bianca divenne una rappresentazione della forma più pura di opposizione alla tirannia, senza interesse per il potere personale o l’autocelebrazione.
La loro storia è diventata patrimonio condiviso dell’Europa. In Italia il nome della Rosa Bianca è stato fatto conoscere sia attraverso il racconto diretto di alcuni genitori che segnati dalla tragedia nazista, come nel caso Vittorio Emanuele Giuntella, padre dell’ispiratore della nascita della Rosa Bianca italiana Paolo Giuntella, consegnarono insieme al ricordo dei campi di sterminio e di lavoro, anche la memoria viva dei pochi dolorosi tentativi di resistenza, oppure attraverso qualche saggio consiglio di lettura come quella delle rare prime edizioni tradotte sulla vita dei fratelli Scholl.
A partire dalla fine degli anni 70 il “noi non taceremo” dei martiri anti nazisti ed il grido “viva la libertà” cominciarono a diventare le parole d’ordine di un gruppo di giovani cattolici impegnati nell’associazionismo (Azione cattolica, Fuci, Agesci, Acli…), in movimenti ecclesiali e politici, che decisero di ritrovarsi periodicamente per confrontarsi sulla realtà, progettare iniziative, scambiarsi letture formative, costruire stili di vita alternativi a quelli consumisti e “rampanti” che cominciavano a crescere nell’Italia dei primi anni ’80.
Erano gli anni di uscita dal terrorismo, dopo il rapimento e la morte di Aldo Moro, del mancato rinnovamento della Democrazia Cristiana, dei molteplici tentativi di coniugare il solidarismo cristiano con gli ideali socialisti, del diffondersi dei movimenti femministi. Tempi in cui la Chiesa italiana, dopo l’entusiasmo del convegno “Evangelizzazione e promozione umana”, nel solco delle speranze suscitate dal Concilio, ritorna su se stessa.
Qui mi fermo. Mi dispiace molto non parlare ancora (non so farlo in due parole) di Romano Guardini e della sua christliche-katholische Weltanschauung cristiana («Visione cattolica del mondo», che è –dice Guardini – comr Cristo vide il mondo dall’alto della croce.
Aggiungo il link dei testi in pdf delle due commemorazioni fatte da Guardini a Tibinga nel ’45 ( DISCORSO PRIMO ) e a Monaco nel ’58 ( DISCORSO SECONDO ).
Primo discorso di GUARDINI : La bilancia dell’esistenza
Secondo discorso di GUARDINI : «Viva la libertà»
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Ottimo lavoro, Antonio!
Sophie fu la prima. Eretta e fiera attraversò il cortile, scortata dalle guardie. Tre ore dopo la conclusione del processo, alle 5 del pomeriggio, fu ghigliottinata. Stessa sorte toccò al fratello e ai compagni. I loro volantini furono ristampati, a migliaia di copie, e lanciati dagli aerei alleati sulle città tedesche.
Sì, proprio i loro volantini!