Mery Carol è lo pseudonimo che su FB copre (non maschera) una signora di origini tricaricesi, che sa giocare sulle rifrazioni del velo con racconti, poesie e pitture col paint. Su Rabatana è una voce genuina che, col racconto di seguito pubblicato, concorre per la seconda volta alla narrazione corale del romanzo di Tricarico della prima metà del secolo scorso. E’ importante la voce, sono belli e autentici i racconti, anonime le bagatelle di Rabatana, corale, come ho detto, è il contributo di Mery Carol alla narrazione. Rabatana e io le chiediamo che ci mandi altri racconti, non ci importa sapere chi lei sia”.

MIO NONNO CERCATORE  DI  LIBERTÀ

«Devo alla moglie di mio padre, la mia matrigna, se non sono diventato un ladro e devo a mia moglie Mariuccia se sono una persona perbene. Queste due donne sono state la bussola della mia vita. A loro va tutta la mia riconoscenza».
Mio nonno ripeteva spesso queste parole ed io ero curiosa di saperne sempre di più.
Piccolissimo aveva perso la mamma ed era cresciuto trascurato dal padre e dai fratelli, presi, dagli affari il primo e dagli studi gli altri.
La presenza in casa della seconda moglie del padre non migliorò, ma neanche peggiorò le cose.
Il bambino, in pratica, viveva in strada e tutti lo conoscevano e lo intrattenevano. Qualcuno gli affidava qualche piccola commissione, in cambio di un modesto regalo.
Il nonno non amava la scuola. Per dirla tutta, odiava andare a scuola. Il maestro, con il suo lungo giunco, era il nemico numero uno. I compagni erano avversari da schivare o affrontare a seconda delle circostanze. Che andasse o meno a scuola, una volta uscito da casa, nessuno controllava e del resto non aveva molto da imparare. Diceva che sapeva già leggere e scrivere alla nascita e presto, da solo, aveva imparato a far di conto. Io non avevo alcun motivo per non credergli.
Preferiva andare a curiosare nelle botteghe degli artigiani ai quali, senza darlo a vedere, rubava i segreti del mestiere. Amava scorazzare per i vicoli del paese scoprendone gli angoli e gli anfratti più remoti. Frequentava le vigne e gli orti prediligendo quelli con la frutta più matura e, per coglierla, s’inerpicava tra i rami, fin dove altri non sarebbero mai arrivati. Era campione nella caccia alle lucertole, rane e rospi che custodiva in contenitori di fortuna.
A proposito delle lucertole, riteneva che fossero creature privilegiate, visto che potevano avere una coda nuova o, addirittura, una zampa nuova , dopo averne persa una.
Così sarebbe dovuto essere anche per gli uomini. Purtroppo, il Signore, con dovuto rispetto, non ci aveva pensato! Ed elencava i nomi di tutti i suoi commilitoni  amputati, destinati a chiudere tragicamente i loro giorni.
La scuola era una noia mortale e, se accadeva qualche diversivo, il maestro se la prendeva con lui, che era il più piccolo: tanto valeva non andarci. Del resto, con tutti i libri che c’erano in casa sua e con la memoria formidabile di cui era dotato, avrebbe potuto imparare qualsiasi cosa senza intermediari.
Una mattina accadde il fattaccio che avrebbe segnato la fine di qualsiasi rapporto con la scuola e con il padre.
Uscito da casa, si trovò tra i piedi un gatto morto e, senza pensarci due volte, lo afferrò da una zampa e corse verso la scuola. Aspettò che i compagni e il maestro fossero entrati nel locale al piano terra adibito ad aula e, dalla finestra, lanciò la carcassa contro il maestro. I bambini ridevano a crepapelle mentre il maestro era fuori dalla grazia di Dio!
Il nonno, soddisfatto per la bravata compiuta, impegnò il resto della mattinata girovagando per  i vicoli e, all’ora di pranzo, si presentò a casa con una indicibile aria innocente.
L’accoglienza in famiglia fu delle peggiori. Il padre lo portò nello scantinato e, armato di un nerbo di bue, gliene dette tante da lasciarlo tramortito a terra. Serrò la porta a chiave e ordinò di tenerlo chiuso, senza cibo né acqua.
L’Angelo custode del nonno prese le sembianze della matrigna, la quale verso sera, contravvenendo agli ordini del marito, lo soccorse e lo ristorò amorevolmente. Gli allestì un giaciglio con delle vecchie coperte e foglie secche di pannocchie per materasso. Gli fece bere del latte con pane rammollito e dopo averlo segnato tre volte sulla fronte con il crocifisso della sua corona d’argento, lo lasciò, esortandolo a dormire tranquillo.
Il nonno dormì a lungo, forse uno o due giorni, grazie ad un pizzico di papavero che la donna aveva messo nel latte!
Al risveglio non sentiva più alcun dolore e, guardandosi attorno nella semioscurità del locale, capì subito dove si trovava. Con soddisfazione notò su uno sgabello una terrina con della pasta al sugo e una fiaschetta di legno piena d’acqua. Bevve e mangiò avidamente, poi decise il da farsi, ma non fece alcunché dato che non riusciva a capire se fosse mattino o pomeriggio. Soprattutto non capiva che cosa avesse fatto di tanto grave per meritare quella punizione!
Di lì a poco sentì la chiave girare nella serratura e apparve la sua  matrigna, che gli sorrise portandosi un dito davanti alla bocca.
In quel momento, tra i due, si stabilì un tacito accordo: lei lo avrebbe accolto in casa, accudito e nutrito durante l’assenza del padre e dei fratelli più grandi, che studiavano in seminario, lontani da casa, e lui non avrebbe cavato gli occhi  al neonato fratellastro Vituccio. Tutto questo con la complicità della sorellina, che mai si lasciò scappare una parola.
L’adolescenza accentuò in lui il bisogno di esplorare altre realtà e fare nuove conoscenze. Cominciò ad allontanarsi dal paese per poi fare rientri improvvisi a casa. Faceva grandi scorpacciate delle pietanze preparate dal suo angelo custode, prelevava qualche libro dalla biblioteca di famiglia, sottraeva dalla cantina alcuni nodi di salame e via per un altro viaggio, a piedi o con mezzi di fortuna. I traini carichi di botti di vino o i carri stracolmi di fieno erano i suoi preferiti perché gli piaceva viaggiare abbarbicato in cima al carico come su di un trono per ammirare meglio gli scorci di panorama che, man mano, scorrevano davanti ai suoi occhi avidi.
Si stordiva di stormi di uccelli e di sussurri del vento. Le linee sinuose delle colline verdeggianti e le punte slanciate dei monti, che si offrivano generose al chiarore del sole e del gelo, gli  procuravano un senso di sazietà e di soddisfazione tali da convincerlo che non avesse bisogno d’altro.
Aveva imparato presto a conoscere l’indole delle persone; sapeva per istinto chi poteva avvicinare e chi doveva evitare.
Aveva classificato gli uomini, donne comprese, in due categorie: le persone perbene e i filibustieri. Questi ultimi abbondavano tra i ricchi e gli eruditi, ma ce n’erano anche tra i cafoni e la povera gente.
I suoi viaggi si facevano sempre più lunghi e le assenze da casa sempre più prolungate, soprattutto d’estate, quando i fratelli tornavano in famiglia per le vacanze scolastiche.
Nel suo girovagare non chiedeva aiuto a nessuno, ma si offriva per dare una mano a chi riteneva ne avesse bisogno, come quella volta che aiutò una contadina nana a far partorire una mucca, il cui vitellino, posizionato male, non voleva saperne di venire fuori. La bestia sarebbe morta senza l’aiuto dell’improvvisato veterinario.
La gratitudine della donna fu immensa, al punto che lo invitò a restare  nella masseria con lei, a tempo indeterminato.
In quei giorni, oltre a fare grandi scorpacciate di formaggi e focacce ripiene di ricotta e verdure, lesse l’Orlando Furioso e ne mandò a memoria centinaia di versi come già aveva fatto con la Divina Commedia, la Gerusalemme Liberata e i poemi omerici.
La contadina aveva forse una quarantina d’anni e due grosse trecce grigie che girava più volte intorno al capo come fossero una corona reale. Non superava il metro d’altezza  e, cosa che faceva ridere mio nonno, si chiamava Leonessa.
Viveva  da sola in campagna dopo che il padre, morendo, aveva lasciato a lei la masseria, suscitando rancore e inimicizia nei due figli maschi.
Ben altri nani incontrò in seguito, lungo il suo cammino!
Che fosse molto più alto di Leonessa era normale, ma presto si accorse che era più alto della maggior parte degli  uomini che incontrava.
Era più alto anche di don Lorenzo, il prete che spesso gli dava ospitalità nella canonica e tutti chiamavano “don pertica”. Don Lorenzo non gli faceva mai domande, non gli chiedeva di servire a messa e, soprattutto, non lo esortava a confessarsi.
Il nonno aveva per lui grande stima e riconoscenza e si metteva volentieri a sua disposizione per lavoretti di manutenzione in chiesa.
Ciò che gli riusciva meglio erano le candele, che rifaceva con i resti di cera fusa e sego, e le lampade di argilla con lo stoppino immerso nell’olio.
Ormai era un giovane uomo, un bel giovane, dotato di grande, poliedrica intelligenza, di straordinaria memoria ed altrettanta bontà d’animo.
Quando arrivava nei paesi, le ragazze del posto si acconciavano i capelli e si toglievano la “parannanza” prima di avvicinarsi a lui.
Le monache dei conventi, che sovente lo avevano ospitato in cambio di qualche lavoretto nella cappella, nel chiostro o nell’orto, non avevano più bisogno della sua mano d’opera!
Gli era capitato più volte di incontrare qualche pellegrino diretto al Santuario di San Michele Arcangelo al Gargano e volle andarci anche lui. Fu una grandiosa scoperta! Era affascinato dai racconti di coloro che provenivano dal Mont Saint Michel e avevano attraversato a piedi tutta la via Francigena.
Decise che avrebbe fatto quel viaggio, dopo un breve ritorno a casa.
Non lo fece mai. Altri itinerari erano tracciati per lui.
Il suo ritorno a casa coincise con l’arrivo in paese di una carovana di teatranti. Erano una variegata comitiva di guitti, acrobati circensi, orchestrali e giocolieri. Fu amore a prima vista! Entrò a far parte della compagnia, dimostrando una particolare abilità  in capriole, giravolte e salti mortali,  anche i più difficili e pericolosi.
Fu allora che si conquistò il titolo di giocoliere e l’unanime disapprovazione della famiglia. Le sue esibizioni erano molto applaudite e questo si traduceva in generose offerte sia in spiccioli, sia in natura.
Giunto il momento di cambiare piazza, la bella compagnia tolse le tende, ma il nonno, prima di partire, volle offrire uno spettacolino tutto personale ai suoi compaesani. Si piazzò nei pressi del sagrato del duomo con un organetto di Barberia e intonò un ampio repertorio di stornelli popolari dal doppio senso. Gli astanti gradirono molto, non così il Vescovo e i prelati tutti!
Si dava il caso che all’interno del duomo fosse in atto la consacrazione sacerdotale del fratello maggiore Giuseppe O. detto don Peppino. Intervennero due guardie municipali e lo allontanarono in malo modo.
Un paio di settimane più tardi si ripresentò accompagnato da un nano che suonava divinamente la fisarmonica. Si materializzò al tramonto in una vigna, quando il padrone concedeva cibo e riposo alle vendemmiatrici. Era vestito da prete, ma le donne non tardarono a riconoscerlo. Lì sull’aia, tra le risate e gli schiamazzi, ebbe inizio una festa campestre oltremodo chiassosa.
I balli furono interrotti bruscamente dall’arrivo di due gendarmi che prelevarono i due delinquenti provocatori.
Il nano fu cacciato a pedate dal paese, il nonno, invece, fu fermato e rimase tutta la notte in gattabuia.
Era accusato di furto (l’abito talare del fratello), sostituzione di persona con grave danno d’immagine al neo sacerdote, vilipendio alla religione e di non so quanti altri reati!
L’indomani si risolse tutto nella canonica. I reati, tutti i reati, gli sarebbero stati condonati se, dal pulpito del duomo, avesse chiesto scusa a don Peppino, alla famiglia e a tutto il clero della diocesi.
Fu irremovibile nel suo rifiuto.
 

14 Responses to Mio nonno cercatore di libertà (racconto di Mery Carol)

  1. Gilberto Marselli ha detto:

    Stupendo racconto e meraviglioso nonno, incantevole scrittrice……..

    • Antonio Martino ha detto:

      E’ Tricarico che si racconta, GIL! Oggi Rocco avrebbe compiuto 93 anni! Immaginiamocelo a 93 anni con quella faccia furba da scugnizzo e con quelle efelidi, e tu fare con lui il carrettostop! Fatti abbracciare, questo è un giorno speciale!

    • Mery Carol ha detto:

      Grazie, Gilberto Marselli! Contenta per la generosità del suo commento. Mery

  2. Mery Carol ha detto:

    Grazie, Antonio! Grazie, Rabatana per aver accolto questo mio affettuoso ricordo di un uomo che ha contato molto per me e che ha influito fortemente sulla formazione del mio carattere.
    Grata per quanto dici di me che mi definisco “un po’ zingara, un po’ folle, un po’ poeta”.
    Mery Carol

  3. D. Jankovich ha detto:

    Bello, straordinario racconto di una scrittrice con talento. Grazie per la presentazione di suo nonno che pare uscito da una fiaba. In attesa di altri regali nella collana delle narrazioni tricaricesi un abbraccio alla Mery e Antonio.

  4. Mery Carol ha detto:

    Sono emozionata. Grazie!
    Mery

  5. Graziella ha detto:

    Bellissimo racconto per un nonno formidabile!
    Brava Mery

  6. Cesare monaco ha detto:

    Complimenti a Mary Carol per il bellissimo racconto che sembra uscito dalla fantasia di Carlo Goldoni.I suoi racconti sono piacevolissimi. Ci auguriamo di leggerla presto

  7. Cesare monaco ha detto:

    Chiedo scusa a Mery per l’errore del suo nome

  8. Luciano ha detto:

    Bravissima Mery. Scrivi ancora tanti racconti come questo.

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