Sull’uscio di una casa dell’India meridionale bruciavano foglie di margosa, albero nativo dell’India e della Birmania dalle mille virtù terapeutiche, chiamato la farmacia del villaggio. Segno che in quella casa c’era un malato di vaiolo. Era un bambino di due anni, un corpicino nero, che pareva uno straccio buttato su foglie di margosa. Si chiamava Ramanujan. Sua madre, cantando, immergeva foglie di margosa in acqua impregnata di curcuma e strofinava dolcemente il corpicino tormentato dal vaiolo, sia per alleviarne l’infernale prurito, sia, come credevano gli erboristi dell’India meridionale, per abbassare la febbre. Le statistiche di morti per epidemie di vaiolo e di colera erano agghiaccianti. La famiglia di Ramanujan  fu un caso da manuale per queste statistiche.

Dopo la morte del nonno, malato di lebbra, Ramanujan, che all’epoca aveva sette anni, fu colpito da un brutto accesso di prurito e  foruncoli. Ma non fu questo il primo indizio di un temperamento incline a reazioni estreme e inaspettate allo stress. Era infatti un bambino sensibile, ostinato ed eccentrico. Non mangiava se non al tempio. Per i primi tre anni di vita non parlò. Si temette che fosse sordo, ma verosimilmente aveva deciso di non parlare. Considerava la scuola una catena da cui liberarsi, non era in grado di fare niente, a meno che non fosse disposto a farlo spontaneamente e secondo i suoi tempi.

La madre riversava un’energia enorme alla vita spirituale ed esercitò un forte ascendente sul figlio. Pare che ella cadesse in trance ipnotica che la metteva in contatto con gli dei. Aveva un’ardente devozione, teneva incontri di preghiera in casa propria, cantava al tempio e praticava l’astrologia e la cheromanzia. Il nome della loro divinità domestica, la dea Namagiri di Namakkal era sempre sulle sue labbra.

Ventitré anni dopo. Siamo in Europa. L’Europa è sull’orlo della grande guerra e sulla scrivania di G. H. Hardy, il più grande matematico inglese dell’epoca, arriva la lettera di un impiegato indiano di 25 anni, un contabile, che gli sottopone alcune idee sui numeri. L’impiegato indiano aveva scritto ad altri illustri matematici inglesi, e tutti avevano cestinato le sue lettere, forse senza leggerle e chi le avesse lette perché non aveva capito niente.

Hardy capisce subito che quelle pagine sono opera di un genio. E la vita del giovane impiegato indiano cambia: borse di studi, riconoscimenti e una collaborazione col suo maestro che porterà alla formulazione di teoremi e congetture talmente audaci da sbalordire il mondo scientifico.

Il contabile indiano si chiamava Ramanujan. Il suo amico Mahalanobis, professore a Cambridge, va a trovarlo nella sua stanza e lo trova, col suo viso carnoso e butterato, seduto rannicchiato accanto al fuoco, col cappotto addosso, ravvolto in uno scialle (L’India meridionale, da cui proveniva, ha un clima tropicale: non caldissimo, ma neanche faceva mai freddo). L’amico gli chiede: «Stai caldo la notte ?». «No», rispose Ramanujan. L’amico pensò che non avesse coperte a sufficienza, cercò di rendersi utile, e si rese conto che Ramanujan ne aveva di coperte a sufficienza, piegate sotto il materasso del letto. Il problema era che Ramanujan non sapeva cosa farci, lui dormiva sdraiato a terra vicino al fuoco. Con dolcezza e pazienza, Mahalanobis gli fece vedere come sollevarle, farsi una piccola nicchia, scivolarci dentro.

«Ramanujan» – avrebbe detto in seguito di lui un inglese – «era un matematico così grande che il suo nome trascende le invidie, l’unico matematico straordinariamente grande che l’India abbia generato negli ultimi mille anni». Ancora oggi, molti decenni dopo la sua morte, i suoi salti intuitivi confondono i matematici, i suoi scritti vengono ancora scandagliati per stanarne i segreti. I suoi teoremi vengono applicati in settori difficilmente immaginabili quando lui era in vita, come la chimica dei polimeri, l’informatica e perfino l’oncologia. E sempre ricorre la fastidiosa domanda: cosa sarebbe accaduto se fosse stato scoperto qualche anno prima o fosse vissuto qualche anno di più?

La vita e il genio di Ramanujan richiamano alla mente il verso del poeta lirico greco Archiloco πολλ’ οιδ’ αλωπηξ αλλ’εχινος εν  µεγα, che, nella traduzione italiana dice: molte cose conosce la volpe, una sola il riccio, ma grande. Il verso è stato reso famoso dal saggio del politologo inglese Isajah Berlin «Il riccio e la volpe». Ma, riguardo a Ramujan, non attraggono le indagini del grande Berlin, bensì il senso strettamente letterale del verso citato. Ramanujan è il riccio: tutti i grandi matematici conosco molte cose della loro e di altre materie, Ramanujan, giovane contabile indiano ignorante in tutte le materie, conosce solo la sua matematica, ed è il solo a conoscerla. Tutti gli altri matematici conoscono tante cose, Ramanujan conosce una sola cosa. Ma grande, αλλ’εχινος εν  µεγα. La sua matematica.

(Questo è l’incipit della favola di Ramanujan. Racconterò la sua vita, work in progress, in altri due o tre articoli …)

 

 

6 Responses to Favola di un genio matematico indiano – [ 1 ] Srinivasa Ramanujan

  1. Gilberto Marselli ha detto:

    Interessante, grazie…

  2. D. Jankovich ha detto:

    Grazie dell’interessante contributo, sorprendente per me che immaginavo Rabatana dedicata solo alla Lucania, suo Tricarico e connessi. Di Srinivasa Ramanujan m’avevano parlato i miei amici indiani di Dubai, era stato girato nel 2014 un bel film in tamil in Bollywood e UK, m’avevano promesso di mandarmelo. Questo suo interesse mi ricorda gli anni 1956/57/58 quando vivevo a Madras nel sud indiano e anche in Ceylon(Sri Lanka oggi)girando per lavoro tutti gli stati dell’India meridionale. Erano tempi unici, pochi dalla Partition, con turismo inesistente, monumenti oggi famosi poco conosciuti, influenza coloniale ancora visibile e presente. Ho conosciuto tutto il sud, Kerala era allora con un governo comunista, una significante presenza di cristiani. Cochin, Ernaculam, Tiruchirapalli e altri posti come da cartoline dell’epoca. Ero diretto a Pondichery, da pochi mesi parte dell’India, de jure ancora francese, così anche possedimenti portoghesi, un altro mondo. Di italiani avevo visto un frate a Kandy nel Ceylon e una volta a Bangalore ho viaggiato con un vescovo italiano dislocato in India, frastornato come ero dalla cultura e religiosità indiana mi sono messo a discutere con lui con somma sorpresa di suoi ecclesiastici compagni! Che tempi, ho visitato India nel 1980, sembrava un altro p

  3. Antonio Martino ha detto:

    Caro Dusco, Il suo intervento mi ha indotto a cercare in rete notizie sul film al quale lei ha accennato e ho appreso che sarà proiettato nelle sale cinematografiche italiane il prossimo 9 giugno. A Milano lei lo potrà vedere senz’altro. A Ferrara non so. Spero almeno che il 9 giugno venga proiettato a Bologna. Come spero pure di terminare prima il mio work in progress.
    Grazie.

  4. Mery Carol ha detto:

    Un bel salto da San Pancrazio protettore alla dea Namagiri di Namakkal! Molto interessante.
    1980, che bei tempi, dottor Dusco Jankovich! Perché non ci racconta più dettagliatamente? Grazie.

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