V

LA FAVOLA GIOCONDA

          A Lagonegro ero atteso. Il tavolo della trattoria ci ha riuniti a conversare, in quattro. La conversazione si è subito animata, e non parliamo che di lei, di Monna Lisa, della modella più chiacchierata del mondo, che continua a intrigare col suo sorriso. Anche a Lagonegro.
          La incontri nelle cartoline illustrate che tappezzano le edicole dei giornali, nelle insegne di bar e trattorie, davanti alle vetrine dei parrucchieri, sui cartelloni stradali che disinvoltamente indicano al turista “la tomba della Gioconda” tra i ruderi del castello. Perché qui tutto è dato per certo, e se ti rifugi in un generico “si dice”, sei destinato al supplizio della rievocazione.
          Enzo che da anni, dal suo osservatorio di cultore di storie locali, si accanisce sulla tesi secondo la quale Lagonegro avrebbe il privilegio di custodire il sepolcro della modella, ha la battuta pronta ed esclusiva nella discussione, non più a quattro: si è aggiunto il trattore. Accetta senza riserve le fonti storiche e quelle della tradizione popolare, non intende discutere le sue convinzioni e se, per il piacere della battuta, gli dici che sta rivivendo un supplemento di sogno, ricorre immediatamente allo scrittore russo Dmitrij Sergeevic Merezkowskij. Nell’opera La resurrezione degli dei: Leonardo da Vinci sostiene che “Monna Lisa mori per una infezione a Lagonegro. Il marito, messer Francesco del Giocondo, l’aveva lasciata nella cittadina lucana essendo dovuto andare in Calabria per affari. La morte sarebbe avvenuta nel 1506”. Fin qui Merezkowskij che pubblicò il suo libro nel 1901. E, a quanto pare, sarebbe quella la prima e unica fonte scritta, la fonte storica.
          Ma è fonte attendibile? Interviene a raffica Claudia: “Merezkowskij è attendibilissimo, perchè è attendibile la leggenda popolare”. Parla di leggenda. È un lapsus?
          Claudia è una giornalista, conosce le tecniche della provocazione. “La tradizione popolare” precisa “può anche essere considerata leggenda, ma è improbabile che la gente del posto cinque secoli addietro si sia potuta inventare un fatto così clamoroso che si è radicato nella storia stessa della comunità”. A Monna Lisa, “morta e sepolta a Lagonegro”, ha dedicato anni di ricerche. Ha consultato registri parrocchiali e documenti dell’epoca in biblioteche pubbliche e private, in Toscana e nei conventi del Lagonegrese, tra Rivello, che si adagia sul suo costone roccioso, e Maratea, finestra lucana aperta sul Tirreno.
          “Ma è possibile”, Claudia insiste, “che una tradizione vecchia di secoli poggi sul niente?”. Si pone domande, e parla di studiosi tedeschi che agli inizi degli anni Cinquanta avrebbero effettuato dei sopralluoghi, vere e proprie campagne di ricerca, nella chiesa romanica di San Nicola, del decimo secolo, e nel cimitero sovrastante.
          “Se hanno trovato la soluzione di questo rompicapo, come qualcuno sostiene, perchè la custodiscono così gelosamente pur dopo tanti anni?”.
          Rompicapo, o mistero? Per il suo libro-inchiesta Sulle tracce di Monna Lisa, non a caso ha preteso il sottotitolo, alquanto allusivo “reportage sul mistero”. Mistero -aggiungo – sulla stessa identità della Gioconda, sulla sua presenza come modella nello studio fiorentino di Leonardo. E provoco il disappunto dei miei interlocutori quando cito la notizia apparsa sulla rivista “Arte e Antichità”, che ha prestigio internazionale, nella quale si sostiene che Monna Lisa, per le diavolerie del computer, sarebbe Leonardo, e che Leonardo non sarebbe altri che Monna Lisa.
          Si è divertita a confondere le idee una ricercatrice americana, esperta di informatica. Un Leonardo ringiovanito elettronicamente assomiglierebbe come una goccia d’acqua alla sua creatura artistica. Sarà per questo motivo che il quadro lo tenne per sé e non lo diede mai e messer Francesco, che pure glielo aveva commissionato?
          A mezzanotte la discussione si spegne come per incanto. Ma ecco che il trattore, il quale ha finalmente ottenuto voce in capitolo, con un CD si prende la rivincita.
          Ci fa ascoltare la favola su Monna Lisa di Mango, il cantautore di Lagonegro: “Sembra che tu sia al di là di noi / non dirmelo mai, ho paura che ne soffrirei troppo / lontana sei / quasi irraggiungibile”.
          Ma la serata non è finita. Tiberio, il figlio architetto di Enzo, deve mediare tra l’immaginario paterno, che poggia su Merezkowskij – mai entrato, come storico, nei recinti accademici – e il rigore professionale. Parla degli scavi eseguiti negli anni Cinquanta da un gruppo di persone del luogo nell’area del castello, una trincea indescrivibile di ruderi. Ma quelle ricerche, mai autorizzate, avevano portato alla luce soltanto resti di ossa umane. Tiberio spera comunque che una volta o l’altra il cimitero della rupe, dove si vorrebbe creare un luogo del silenzio e della memoria, possa restituire quel che terrebbe in serbo dal 1506: la tomba di Monna Lisa, che per il suo rango avrebbe certamente avuto sepoltura più dignitosa.
          Enzo, che condivide, si accende di nostalgia mentre riascolta Mango che ora canta i lillà, il treno sonnolento, i giochi all’aria aperta, l’infanzia a Lagonegro. Quando finalmente usciamo all’aria aperta è notte fonda. Il trattore ci invita a sostare sotto gli alberi della piazza per ascoltare il primo richiamo dell’usignolo, che ama esibirsi da solo.
          Ma l’uccello ritarda, l’alba è ancora lontana e Monna Lisa, per stanchezza di tutti, diventa un fantasma.
          Domani dovrò riattraversare la valle dell’Agri per andare ad Aliano, a ritrovare Carlo Levi e, magari, qualche personaggio superstite del Cristo si è fermato a Eboli.
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One Response to Mario Trufelli, L’OMBRA DI BARONE – V. La Favola Gioconda

  1. Mery Carol ha detto:

    In una stazione ferroviaria del Vallo di Diano, non lontana da Lagonegro, è nata Steny, la mia terza figlia.
    Mete elette per i nostri svaghi erano la Certosa di Padula e l’improbabile sito della sepoltura di Monna Lisa. Erano in molti a sapere dove cercare. Noi rinunciammo, causa trasferimento.

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