Il ricordo di Ninetto Gorgone, sollecitatomi da Giulio Dente, dà la stura a un racconto non breve e frammentato, che rischia di offuscare la ragione della sollecitazione a far conoscere, tramite Rabatana, le poesie di un nostro comune amico.
     L’incipiente estate mi sollecita la pubblicazione di una poesia intitolata, per restare in tema, «La trebbia» pubblicata con un disegno di Marcello de Lellis, che riporta al tempo lontanissimo del passaggio dalla trebbiatura per calpestio alla trebbiatura meccanica con le grandi trebbiatrici. (Chi vuole, legga, con una poesia di Rocco Scotellaro, «La trebbiatrice», il passaggio dall’una all’altra fase https://www.rabatana.it/?p=5761298).
     Sulle poesie di Ninetto, peraltro, prevale in questo primo momento il ricordo, che mi piace raccontare, dopo aver postato il link della poesia col disegno:
 LA TREBBIA

INDICE:  La trebbia

 

     Ninetto Gorgone è stato mio compagno di scuola in seconda media e in convitto. Per noi era il secondo ginnasio, non accettavamo la riforma Bottai, che ci umiliava col complesso di una ingiusta retrocessione.      Eravamo ospiti del Convitto «Quinto Orazio Flacco» di Potenza, che faceva corpo unico di fabbricato con l’omonimo liceo-ginnasio, all’angolo della piazza del mercato. In classe condividevamo il banco, in camerata i nostri letti erano uno a fianco dell’altro, a studio i nostri banchi erano affiancati e a refettorio sedevamo al lungo tavolo rettangolare l’uno di fronte all’altro. Prima dell’incontro in convitto ignoravamo l’uno dell’altro la nostra esistenza. Io non avevo mai sentito nominare Calle, dove Ninetto mi disse che abitava, perché il padre era il direttore. Boh! La mia famiglia si era trasferita da poco più di un anno a Tricarico. Io non mi ero bene ambientato nel nuovo paese, perché ero subito andato a Napoli, ospite di miei zii, per frequentare la prima media, e a Napoli ero tornato l’anno successivo per frequentare la seconda media, ma l’improvvisa morte di mio zio fece venir meno quell’opportunità e i miei mi sistemarono nel convitto di Potenza. Dove incontrai e conobbi Ninetto.
     Quell’anno scolastico (1942-43) si concluse improvvisamente. Eravamo a refettorio per la colazione, quando, come un sol uomo, scattammo in piedi in un silenzio di tomba. Il rettore, con la sua aura di semidio, era calato dal suo Olimpo e sceso fino a noi! Forse per annunciarci la fine del mondo. Ma il suo annuncio ci fece esplodere in solo urlo di gioia, in osanna, in un abbraccio collettivo. «W Biggini», «W il Duce», «Per Biggini, Eia Eia, Alala». Carlo Alberto Biggini da due o tre mesi aveva sostituito al ministero dell’educazione nazionale – così si denominava il ministero dell’istruzione – l’odiatissimo Bottai. Stavamo facendo colazione, alla quale avrebbe fatto seguito mezz’ora di studio prima di entrare in classe. Mancava circa un mese per la chiusura dell’anno scolastico, contavamo i giorni del ritorno a casa e facevamo i conti con le lacune e le probabilità di ripararle. E il rettore ci annuncia che il ministro aveva disposto l’immediata chiusura delle scuole e la promozione di tutti, urbi et orbi.
     Il rettore, il vice rettore, l’economo, gli istitutori invano si sforzavano di frenare i nostri entusiasmi. Fu l’inizio della caduta degli dei. Le residue forze italo-tedesche nel Nord-Africa si erano arrese e già si paventava lo sbarco degli alleati in Sicilia. L’Asse di acciaio di Benito Mussolini e di Adolf Hitler era stato scacciato definitivamente dall’Africa. Non passò molto tempo che Mussolini fu dimesso e arrestato, che l’Italia chiese l’armistizio, che il re e il governo fuggirono a Brindisi e dichiararono guerra agli ex alleati tedeschi e furono accettati come cobelligeranti degli ex nemici inglesi e americani. Bei scossoni per la crescita e maturazione, l’affaccio all’età matura per ragazzi di 12 – 13 anni, educati a credere e a obbedire e a obbedir tacendo!
     Tornato a Tricarico mi venne voglia di andare a trovare il mio amico Ninetto, che mi aveva spiegato più o meno – più meno che più – dove si trovava Calle. A Calle andai improvvidamente a piedi. Imboccai il ripido viottolo sotto la vecchia caserma e la villa, dove c’era la latrina, giunto in fondo, guadai il corso d’acqua, di cui ignoravo l’esistenza e il nome, e proseguii il cammino. Cammina cammina, mi imbattevo in viottoli, che si biforcavano chi verso sinistra e chi verso destra, mi confondevano e disorientavano. Dai campi sbucavano cani che ringhiavano e abbaiavano minacciosamente. Non sapevo che fare. M’ero perso, non sapevo né come andare a Calle né come tornare a Tricarico. Piangendo, proseguivo. Finalmente vidi stagliarsi all’orizzonte la punta di un silos. Calle!
     Finalmente giunsi. Ero spossato. Vidi un grosso caseggiato, con una ringhiera di legno, dove si affacciavano due appartamenti. Uno era sicuramente del direttore. Seppi poi che l’altro era del fattore Sattamino. Dalla signora Gorgone fui accolto con sorpresa, curiosità, piacere e ammirazione, e rifocillato con ogni ben di Dio. Conobbi le due sorelline di Ninetto: Maria e Franca. Ninetto mi portò in giro a visitare Calle e, quindi, in un campo a mangiare fave fresche. Poi Ninetto mi ripotò a Tricarico in groppa a un  cavallo, che lui cavalcava a pelo, da abile cavallerizzo. Io dovetti acconciarmi dietro a cavalcioni, abbracciato strettamente a lui. Era la prima, e sicuramente l’ultima volta che cavalcavo, a ogni passo avevo paura di cadere e le ossa del mio bacino erano come trafitte dalle vertebre della groppa, che provocavano dolori fortissimi.
     Con Ninetto mi rivedevo ogni volta che veniva a Tricarico, mi insegnò ad andare in bicicletta, ma con lui non volli mai più tornare a cavallo a Calle. Egli insisteva e non capiva perché rifiutassi.
     Le vacanze finirono. Le scuole “superiori” non furono aperte, restammo a Tricarico e mi impegnai privatamente nello studio delle materie della terza media. I miei insegnanti furono Alfredo Toscano, fratello di don Pancrazio, che, come segretario del fascio di Tricarico, era stato epurato e sospeso dall’insegnamento e Ida Modena, studentessa in farmacia, zia di Melina Iuvone. Ninetto, dopo quell’estate, non lo vidi più, ignoravo quale fosse stata la scelta che la famiglia avesse compiuto per lui. Io strinsi amicizia con Benito Lauria e Giulio Dente, che, presso altri insegnanti studiavano le materie della terza media.
     Nel seguito delle nostre vite io e Ninetto ci incontravamo quando capitava, quando egli veniva a Tricarico. Ci faceva piacere ritrovarci con la freschezza e i vivi ricordi di quel tempo del convitto. Benché non gli avessi spedito la partecipazione del mio matrimonio, mi consegnò personalmente un regalo.
     Non so dire quando fu l’ultima volta che lo vidi. Ricevevo come flash notizie della sua vita. La famiglia, dopo lo scorporo dell’azienda Turati in attuazione della riforma agraria, si era trasferita a Matera. Seppi che si era laureato in economia e commercio, insegnava negli istituti tecnici di Matera ed era impegnato politicamente in attività politiche e sociali (è stato consigliere comunale, candidato al consiglio regionale della Basilicata nel 1990, presidente della sezione di Matera dell’Enalcaccia). Seppi della sua prematura morte in ritardo di qualche anno.
     Non avevo mai saputo che Ninetto avesse scritto poesie se Giulio Dente non mi avesse informato.
     «L’ho conosciuto –mi ha scritto Giulio – come calciatore – diciamo attaccante ; io diciamo difensore – in occasione di alcuni incontri a Calle ove eravamo ricevuti ” generosamente ” per cui più che vincere ci interessava l’ospitalità che seguiva le partite. Ninetto apparteneva al mondo ” Calle ” , una sorta di mondo nuovo, una specie di proiezione possibile di Tricarico verso il futuro poi spentasi come il povero Ninetto: Calle era i mitici Turati – venivano per qualche giorno in estate alloggiando in una villa costruita e mantenuta per loro in attesa della loro visita annuale, come i cavalli con cui visitavano Tricarico; ricordo vagamente il loro arrivo dal sentiero che saliva verso la piazza dal lato sotto la vecchia caserma dei carabinieri ,passando davanti alla ” latrina ” ; in particolare ricordo un signore che arrivato in piazza è sceso dal cavallo, si è fermato a parlare con alcuni perditempo che stazionavano davanti alla cappella di S. Pancrazio e l’ho sentito dire qualcosa che mi aveva colpito benché non ne capissi veramente il senso: ” in Russia i contadini stanno molto meglio di voi ” era Turati – in regime fascista- parlava evidentemente della Russia Sovietica. Sto divagando !!!
     Ninetto era un personaggio di Calle appartenente ad un mondo in qualche modo diverso dal nostro insieme ad altri personaggi memorabili: il padre “Direttore di Calle”, il “fattore di Calle” Sattamino – ex pilota della prima guerra mondiale a cui ho portato su sua richiesta riviste di aviazione dall’Inghilterra) e la sua bella moglie……ed i vari tecnici friulani che avevano accompagnato l’arrivo a Calle e probabilmente in tutta la regione, dei primi mezzi di un’agricoltura meccanizzata.
     Ninetto era buono e civile per questo credo sia stato il primo della mia generazione a scrivere poesie. L’ultima volta che l’ho incontrato voleva portarmi a trovare Padre Pio che aveva adottato come guida spirituale. Poi l’ho perso di vista come altri del nostro paese».
     «Caro Tonino – proseguiva Giulio – questi sono i miei ricordi …tu potresti integrarli ai tuoi, e riprendere il discorso su Calle che meriterebbe attenzione per quello che poteva essere e non è stato !»

E’ quello che mi sono accinto a fare (continua).

 

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