Nelle ore dell’eccidio di Dacca è morto nella sua casa di Manhattan Elie Wiesel , premio Nobel 1986 – premio Noble della Shoah è stato definito. Entrato nel lager nazista di Auschwitz all’età di sedici anni, Elie Wiesel ha scritto 57 libri per riempire un vuoto, facendo emergere l’enormità del genocidio: un vuoto che l’eccidio di Dacca spalanca e mostra la tragedia totale, senza tempo, che continua a straziare. Il 20 gennaio 2015, nella ricorrenza del Giorno del ricordo, pubblicai su Rabatana lo straziante racconto dell’impiccagione di un bambino da “La notte”, il primo dei 57 libri di Wiesel.

In ricordo di Elie Wiesel e delle vittime di Dacca ripropongo Pipel, angelo infelice.  

***

… Ho visto altre impiccagioni, ma non ho mai visto un condannato piangere, perché già da molto tempo questi corpi inariditi avevano dimenticato il sapore amaro delle lacrime.
     Tranne che una volta. L’oberkapo del 52° commando dei cavi era un olandese: un gigante di più di due metri. Settecento detenuti lavoravano ai suoi ordini e tutti l’amavano come un fratello. Mai nessuno aveva ricevuto uno schiaffo dalla sua mano, un’ingiuria dalla sua bocca.
     Aveva al suo servizio un ragazzino, un pipel, come li chiamavamo noi. Un bambino dal volto fine e bello, incredibile in quel campo.
     (A Buna i pipel erano odiati: spesso si mostravano più crudeli degli adulti. Ho visto un giorno uno di loro, di tredici anni, picchiare il padre perché non aveva fatto bene il letto. Mentre il vecchio piangeva sommessamente l’altro urlava: « Se non smetti subito di piangere non ti porterò più il pane.
Capito?». Ma il piccolo servitore dell’olandese era adorato da tutti. Aveva il volto di un angelo infelice).
     Un giorno la centrale elettrica di Buna saltò. Chiamata sul posto la Gestapo concluse trattarsi di sabotaggio. Si scoprì una traccia: portava al blocco dell’oberkapoolandese. E lì, dopo una perquisizione, fu trovata una notevole quantità di armi!
     L’oberkapo fu arrestato subito. Fu torturato per settimane, ma inutilmente: non fece alcun nome. Venne trasferito ad Auschwitz e di lui non si sentì più parlare.
     Ma il suo piccolo pipel era rimasto nel campo, in prigione. Messo alla tortura restò anche lui muto. Allora le S.S. lo condannarono a morte, insieme a due detenuti presso i quali erano state scoperte altre armi.
     Un giorno che tornavamo dal lavoro vedemmo tre forche drizzate sul piazzale dell’appello: tre corvi neri. Appello. Le S.S. intorno a noi con le mitragliatrici puntate: la tradizionale cerimonia. Tre condannati incatenati, e fra loro il piccolo pipel, l’angelo dagli occhi tristi.
     Le S.S. sembravano più preoccupate, più inquiete del solito. Impiccare un ragazzo davanti a migliaia di spettatori non era un affare da poco. Il capo del campo lesse il verdetto. Tutti gli occhi erano fissati sul bambino. Era livido, quasi calmo, e si mordeva le labbra. L’ombra della forca lo copriva.
     Il lagerkapo si rifiutò questa volta di servire da boia. Tre S.S. lo sostituirono.
     I tre condannati salirono insieme sulle loro seggiole. I tre colli vennero introdotti contemporaneamente nei nodi scorsoi.
     – Viva la libertà! – gridarono i due adulti.
     Il piccolo, lui, taceva.
     – Dov’è il Buon Dio? Dov’è? – domandò qualcuno dietro di me.
     A un cenno del capo del campo le tre seggiole vennero tolte.
     Silenzio assoluto. All’orizzonte il sole tramontava.
     – Scopritevi! – urlò il capo del campo. La sua voce era rauca. Quanto a noi, noi piangevamo.
     – Copritevi!
     Poi cominciò la sfilata. I due adulti non vivevano più.
     La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora …
     Più di una mezz’ora restò così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti.
     Dietro di me udii il solito uomo domandare:
     – Dov’è dunque Dio?
     E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:
     – Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca …
     Quella sera la zuppa aveva un sapore di cadavere.

 

One Response to In ricordo di Elie Wiesel ed esecrazione per l’eccidio di Dacca

  1. Gilberto Marselli ha detto:

    Un ricordo significativo, toccante e che dovrebbe sempre farci pensare molto, nella speranza che certe atrocità non abbiano mai più a ripetersi. Purtroppo, invece, la crudeltà umana non cessa a scomparire e nemmeno a diminuire. La crudele inciviltà continua a dominare su quel barlume di civiltà che pur deve esserci su questo pianeta…..

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.