Calle è Turati, dice bene Giulio Dente. È quindi ovvio che questo secondo articolo postato per presentare il mondo di Calle, definisca, riportandolo dall’Archivio storico dei Cavalieri del Lavoro, un profilo biografico del rag. Silvio Turati (1889 – 1980), insignito dell’onorificenza di Cavaliere del Lavoro il 2 giugno 1966 per meriti nel settore dell’industria enologica:
«Conseguì il diploma di ragioniere. Compì un lungo e severo tirocinio all’estero, lavorando come operaio presso alcune delle più note industrie tessili d’Europa. Conseguì a Manchester il diploma di direttore di filatura di cotone. Iniziò poi la sua attività nell’industria cotoniera paterna, a Pinerolo, rivelando subito passione per il lavoro e spirito d’iniziativa. Riordinò lo stabilimento, lo ingrandì, ne assunse la direzione generale e ne avviò lo sviluppo. Dopo la seconda guerra mondiale, durante la quale fu ufficiale d’artiglieria, riprese l’attività tessile. Acquistò la Filatura di Lusernetta che, sotto la sua direzione, triplicò, in breve tempo, la produzione. Vi aggiunse nuovi reparti per la ritorcitura, il candeggio e la tintoria. Spinto da un innato dinamismo estese l’attività a più settori industriali. Realizzò un grandioso impianto idroelettrico a Narzole e acquistò l’Antica fabbrica di Vermouth Carpano e la Baratti e Milano. Realizzò in Basilicata una vasta opera di bonifica su oltre 4000 ettari, creando allevamenti zootecnici di rilevanza nazionale.»
     Le poesie di Ninetto Gorgone, più che fare da sfondo, si collocano in primo piano sul mondo di Calle e le nove poesie pubblicate col link che immediatamente segue, mi sembrano tra le più rappresentative. Ad esse si aggiunga idealmente la poesia «La trebbia», pubblicata col precedente post, perché nel 1933 Turati vinse il premio di maggior produttore granario d’Italia e a Calle la trebbia entrò in funzione ben prima che a Tricarico e in tutte le campagne della Lucania.
     Le poesie sono: «A mio padre», «Paolo il mulattiere» (mi ricordo di lui, della sua famiglia e della sua bella figlia: si chiamava Paolo Romano, era alloggiato al palazzo ducale, adibito a uffici pubblici, scuole elementari ed abitazioni private, di cui Paolo e la moglie erano i custodi; Paolo, ogni giorno, con qualsiasi tempo, portava col mulo la posta a Calle), «A Guido» (un ragazzo callese morto di tifo, per essersi dissetato bevendo da un fossato acqua inquinata, spinto dall’arsura in un sito privo di acqua), «Arsura», «Calle», «Ferruccio, mio fratello» (Ferruccio era un bambino quando morì, i visitatori del cimitero di Tricarico non mancavano di visitare e ammirare la sua monumentale tomba, sovrastata da un Angelo di marmo, e di recitare un requiem, «Natale a Calle», «Fuoco nelle stoppie», «Eloquio» dedicata a Diego de Castro.

 

Ecco il link che le contiene: NOVE POESIE DI NINETTO GORGONE

INDICE

A mio padre  –  Paolo il mulattiere  –  A Guido  –  Arsura  –  Cane  –  Ferruccio, mio fratello  –  Natale a Calle  –  Fuoco nelle stoppie  –  Eloquio.

 

     Diego de Castro. Quanti manzonianamente si chiederanno: Chi è costui ? E quanti, avendo un qualche ricordo del personaggio e sapendo che negli anni 40 e 50 ebbe un ruolo importante nelle trattive per la questione di Trieste e la definizione dei confini con la Jugoslavia, non mancheranno di chiedersi: E che c’entra con Calle? C’entra, perché Diego De Castro, sposò Franca, la figlia di Turati. La persona ebbe un ruolo rilevante nel mondo culturale, universitario e diplomatico, alcune volte si recò a Calle per partecipare a battute di caccia, non mancando di visitare Tricarico, e quindi non manca di interesse anche l’inserimento del suo profilo.
     Diego De Castro è stato uno scrittore, un docente universitario, storico e statistico, ritenuto il più autorevole esperto italiano di statistica giudiziaria penale, di statistica della criminalità e della criminosità. E’ stato, inoltre, molto attivo politicamente, rivestendo numerosi incarichi istituzionali per conto del governo italiano in occasione della definizione dei confini italo-iugoslavi negli anni Quaranta e Cinquanta.
     Il distico finale della poesia di Ninetto « Eloquio» (La Decima regio / è ricordo) allude alla trascorsa attività di diplomatico e di studioso di De Castro (che quando Gorgone gli dedica la poesia ha 85 anni), autore di un libro intitolato: «La questione di Trieste – L’azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954», salutato come la Bibbia della questione di Trieste.
     La Decima regio era una delle regioni in cui l’imperatore Augusto divise l’Italia intorno al 7 d.C.  L’Italia fu divisa in 11 regioni. Le denominazioni delle regioni augustee erano solo nominali, e solo le fonti accademiche attuali usano attribuire al nome ufficiale romano un aggettivo che ne designa il territorio. Per esempio, per quanto ci interessa, abbiamo: Regio III Lucania et Bruttii e Regio X Venetia et Histria.
     «Il mondo di Calle» richiama la vicenda dell’azienda agricola “Calle”, uno degli esempi più importanti del periodo del riformismo agrario nella Basilicata di metà del secolo scorso. Per raccontare questa storia tricaricese (e per certi aspetti nazionale) mi sono avvalso della tesi di laurea di Fabio Fontana «Gli effetti della riforma agraria sull’aziendalismo riformatore in Basilicata. Il caso Turati di Tricarico», riassumendola drasticamente. Il lavoro è stato premiato dall’apposita commissione giudicatrice nominata dall’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale della Basilicata nell’ambito del Concorso “Le migliori tesi di laurea sulla Basilicata” per l’anno 2002.
     L’azienda, che operò a “Calle” tra il 1920 e la metà degli anni 50, comprendeva terreni e proprietà per la maggior parte improduttivi, portati in dote al rag. Silvio Turati dalla moglie Lucia Ottolini. Erano situati nella montagna interna materana e divisi tra i comuni di Calciano, Grassano, Brindisi di Montagna e Tricarico. Il suocero di Turati, il cav. Ernesto Ottolini, li aveva acquistati dalla duchessa Revertera di Salandra
     A Tricarico si trovava l’azienda più grande, “Calle”, meglio conosciuta come “Madonna di Calle”, da un piccolo santuario costruito al suo interno. Intenzione del cavaliere era bonificare questi appezzamenti per poi, in una fase successiva, rivenderli a lotti. Per le sue dimensioni il complesso di “Calle” era il più importante. La direzione di questa azienda si insediò dapprima a Tricarico, nell’antico palazzo ducale, compreso nell’acquisto, e, in seguito, venne spostata all’interno della stessa azienda.
     Nel 1920, intanto, la figlia Lucia sposò Turati e le venne assegnata in dote metà dell’azienda, mentre l’altra metà la ebbe il fratello Giancarlo. Quest’ultimo era dello stesso avviso del padre, era cioè convinto della necessità dello scorporo di una simile proprietà, diversamente dall’idea del cognato, che coltivava un progetto di valorizzazione dei terreni inserito nella migliore tradizione di esperienze innovative in agricoltura, come quella del professor Azimonti a Tramutola. Per risolvere il contrasto di opinioni, Turati, che era fortemente interessato all’attuazione del suo progetto, rilevò la quota del cognato.
     Turati affidò ad esperti la direzione dell’azienda,  e con la loro collaborazione cercò di introdurre, non senza difficoltà e insuccessi, un vasto programma di interventi, fra tentativi di colonizzazione dell’area con l’affidamento in mezzadria a coloni veneti, la ricerca di sorgenti, l’installazione di silos per il bestiame e le prime iniziative di sericoltura.
     In un primo tempo chiamò alla direzione dell’azienda un tale dott. Pasini. Venne concordemente redatto un piano di riforme indispensabili in tredici punti, che comprendeva la costruzione di strade, case coloniche, pozzi e stalle, l’allacciamento all’energia elettrica oltre all’introduzione di prati artificiali e ad una corretta regimentazione dei boschi. Ci si impegnava anche per nuovi dissodamenti, per la lotta alla malaria e per il miglioramento sociale della popolazione.
     Il piano si rilevò irrealizzabile e il dott. Pasini, nel 1925, abbandonò l’impresa, avendo realizzato solo due dei tredici punti. Si trattava di quattro modeste costruzioni in muratura e, cosa questa molto più importante, dell’allacciamento dell’azienda alla rete elettrica. Per il resto la situazione si presentava immutata.
     Turati tuttavia decise di andare avanti. Fu a questo punto che rilevò la quota del cognato, e chiamò a coadiuvarlo un certo dott. Talacchini, allievo del già ricordato prof. Eugenio Azimonti, un lucano tra i maggiori esperti di questioni agrarie del tempo (Rossi Doria venne le prima volta in Lucania da studente per una prima presa di contatto con l’agricoltura meridionale presso l’azienda di Azimonti).
     Anche Talacchini non riuscì a realizzare tutti i suoi progetti. Egli tentò in primo luogo di richiamare sulle terre di “Calle” famiglie di mezzadri veneti, che rinunciarono quasi subito alla loro permanenza. Attuò la captazione del torrente “Levetta”, con lo scopo di portare acqua potabile sul territorio dell’azienda. Ad opera ultimata, si scoprì che l’acqua non era affatto potabile.
     Tuttavia Talacchini qualcosa realizzò: curò l’installazione di due ‘silos’ in ferro “Sima”, della capacità di 1.200 quintali ciascuno, anche se, purtroppo, l’ambiente sub-arido della provincia materana non consentiva una resa foraggera adeguata a riempirli. Dei 2.500 capi di bestiame immessi sul territorio non ne rimasero in vita che un centinaio, e questo per mancanza di cibo, di acqua e per l’assenza di qualsiasi ricovero nei rigidissimi mesi invernali.
     Nel 1928 Talacchini venne perciò allontanato da Turati. Archiviata quindi una breve collaborazione  con un tale sig. Bergamaschi, Turati assunse nel 1930 il padre di Ninetto, Gaetano Gorgone, uomo di grande esperienza, maturata in Sicilia ed in Toscana. Con Gorgone collaborava il fattore Sattamino (figura professionale, quella del fattore, imprescindibile per la gestione delle aziende agricole settentrionali, e non si può lasciar correre l’occasione di ricordare che il padre di Giovanni Pascoli era fattore della tenuta del principe Torlonia – ). Sotto la nuova gestione fu riproposto il programma dei tredici punti, ripartendo veramente da zero o quasi. L’opera di ristrutturazione, valutabile in un lungo periodo, necessitò essenzialmente di due cose: tempo e pazienza, giacché lo stato dell’azienda era tornato ad essere caratterizzato da incuria e degrado, come al momento dell’acquisto: rescissione dei contratti di mezzadria sostituiti dall’affitto; mancanza assoluta di collegamenti con il paese di Tricarico; impossibilità di insediarsi sul fondo stesso per la cronica penuria di acqua potabile oltre che di infrastrutture adeguate.
     Con la collaborazione della Cattedra Ambulante di Agricoltura della provincia di Matera fu stabilito un punto di fondamentale importanza per lo sviluppo futuro del fondo. Fu stilato, quindi, un nuovo programma, che, tra le altre misure da adottare, prevedeva la costruzione di una chiesa, di nuove abitazioni, di una scuola e di un campo sportivo; l’istituzione di un centro postale autonomo dal paese e di una guardia medica; l’immediata assegnazione di premi ai coloni che più si erano distinti nella produzione granaria e l’avvio di ricerche per la captazione di acqua potabile.
     Tutto ciò fu realizzato nell’arco di tre anni, dal 1931 al 1934, fatta eccezione per la ricerca di sorgenti. Quest’ultimo problema fu tuttavia risolto nel 1938, quando “Calle” fu allacciata all’Acquedotto Pugliese.
     Le scelte dell’amministrazione non nascondevano finalità di carattere squisitamente “politico”, come il proposito di attuare un riformismo deciso sia in campo economico sia sociale.
     «Pare impossibile che un’azienda di questo calibro sia esistita per tanto tempo nella quasi totale indifferenza dei contemporanei», scrive Fabio Fontana e continua ancora, «bisognerebbe riflettere sul valore di pagine di storia regionale come questa e sul perché sono taciute o sottovalutate».
     L’azienda cambiò il modo di coltivare la terra, portò innovazione, contrastò la polverizzazione degli appezzamenti, realtà molto diffusa in Basilicata in quegli anni. I grandi possidenti erano sempre assenti, essendo i loro interessi curati da gestori che risiedevano in loco e affittavano ai contadini una miriade di piccolissimi appezzamenti. Questa situazione, insieme con l’aspetto fisico e la particolare morfologia dei luoghi, ai collegamenti impossibili fino ai primi del Novecento, ha da sempre condannato la Basilicata all’isolamento, al disagio e all’abbandono da parte di tanti suoi abitanti. La Riforma Fondiaria degli anni ’50 ha rappresentato uno dei momenti più importanti della difficile strada verso la modernizzazione del nostro Paese.
     La Riforma portò allo scorporo della tenuta “Calle” e a Silvio Turati, all’atto della stessa, furono confiscati complessivamente oltre 1484 ettari, ed egli rinunciò al terzo residuo spettante per legge ai proprietari.
     Tuttavia, anche dopo lo scorporo, a Tricarico, non si riuscì a soddisfare in modo adeguato l’elevata richiesta di terra a cui la legge di riforma intendeva rispondere per l’eccessivo frazionamento delle quote. Ancora oggi sorgono dei dubbi sull’utilità sociale dello scorporo dell’azienda Turati. E ci si chiede perché non si tenne conto dei cambiamenti e delle innovazioni che l’azienda Turati aveva apportato.
     Erano interrogativi che ci ponevamo anche allora. Se ne discuteva molto e ne discutevamo, in particolare, con Rocco Mazzarone. Ricordo una affollata assemblea a Calle, alla quale accettò di partecipare lo stesso Turati. Negli intervenuti c’era vivo interesse e in molti preoccupazione. Sintomatico del clima il fatto che, a un certo momento, fece ingresso nel locale la signora Gorgone: per la mentalità del tempo era più uno scandalo che una sorpresa inimmaginabile. Io e Gino Lauria, che nell’assemblea non avevamo alcun ruolo, partecipavamo come semplici ascoltatori, ci avvicinammo per salutarla e lei ci chiese: «Per caso, sono loro i nuovi proprietari di Calle?» Comprendemmo la signora e ci rendevamo conto delle ansie e dei turbamenti psicologici causati dagli scorpori e comprendemmo la stessa reazione della signora, essendo io e Gino notoriamente dirigenti della locale sezione di un partito che sosteneva la riforma e Gorgone era notoriamente sostenitore di un partito di opposizione di destra.
     Chiaramente non si ha la possibilità di rispondere a quesiti di tale complessità e di comprendere i turbamenti che suscitavano. Vito De Filipoo, presidente della regione Basilicata al tempo della premiazione della tesi, così conclude la presentazione: «Anche a seguito dello scorporo operato, a Tricarico non si riuscì a soddisfare in modo adeguato quella fame di terra a cui la legge di riforma intendeva rispondere, per l’eccessiva parcellizzazione delle quote e l’incapacità di una diversa politica di aggregazione produttiva. Ancora oggi sorgono delle perplessità sull’opportunità e sull’utilità sociale che l’azienda Turati dovesse essere scorporata.»
     Leggendo il lavoro di Fabio Fontana si possono ricostruire puntualmente le tappe di questa vicenda.

(continua)

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