Una goccia di storia tricaricese
Racconto una goccia di storia tricaricese, che mi fa tornare molto indietro negli anni, all’inizio della seconda guerra mondiale. La goccia non è evaporata, è confluita in un oceano infinito di lacrime. Qualcuno avrà forse detto: – Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano! -Detto o non detto, sappiamo che è maledettamente vero che ogni lacrima che ci ha rattristati confluisce in un oceano infinito che ignoriamo. Oceani di lacrime: lacrime di dolore, di disperazione, di tragedie, lacrime di gioia. Le lacrime di gioia si asciugano presto. Questo so e possiamo sapere tutti: che la goccia di storia tricaricese naviga in un oceano infinito sempre e tuttora alimentato da affluenti impetuosi.
L’oscuramento per la guerra fu un incubo a Tricarico. A Tricarico, e non solo a Tricarico, ma, per esempio, non a Napoli, dove l’incubo non erano le luci ma le bombe. L’oscuramento fu un incubo nelle zone dove non si correvano rischi bellici, dove il sorvolo di aerei nemici e amici era sconosciuto e si aveva tanta voglia di veder passare un aeroplano. L’oscuramento, con la soppressione dell’illuminazione pubblica era assoluto e fatto rispettare come una isterica forma di difesa per non orientare il volo degli aerei nemici, che peraltro non sorvolavano: il più piccolo filo di luce che filtrasse dalle finestre (e le nubi scenderanno alle finestre, canterà Rocco Scotellaro con la poesia Ricordi) era punito con pesanti ammende
L’oscuramento era un incubo per stupidità burocratica, militare e umana. Stupidità umana, oltre che militare, perché un atto di stupidità militare – alla quale eravamo abituati e non ci facevamo più caso – sfociò in tragedia, che lasciò indifferente il paese, invece di incitarlo alla ribellione.
Immaginatevi di restare chiusi in casa dal tramonto all’alba, non potendosi avventurare nei vicoli neri come la pece quando non splendevano la luna e le stelle, e non potere nemmeno socchiudere – un attimo, appena appena un apri-chiudi – un angolino dell’imposta di una finestra per scrutare che tempo faceva. Vivevamo, ci facevano vivere come se l’esito della guerra, la vittoria finale dipendesse dalla rigorosa osservanza dell’oscuramento. Chi aveva impellente necessità di uscire rischiarava il cammino agitando a livello dei piedi un tizzone prelevato dal focolare, rischiando i rimbrotti di una guardia o di un carabiniere. Non bastava: doveva spiegare e giustificare la rischiosa uscita e sorbirsi la minaccia di una severa contravvenzione in caso di recidiva.
Un anziano e stimato commerciante, non vedente, che abitava e aveva o aveva tenuto il negozio nel corso, una sera d’estate illuminata dal faccione lucente della luna e da migliaia di stelle che brillavano nel firmamento, volendo prendere un po’ di fresco, fece clic sull’interruttore della luce, che credeva fosse accesa e invece era spenta, aprì la porta, illuminando un buon angolo del corso, già illuminato dalla luna e dalle stelle, sistemò una sedia davanti alla porta e si sedette con un bel sospirone di soddisfazione: Ah!. In un lampo gli piombò addosso il terribile brigadiere vice comandante, che non volle sentire ragioni, spense la luce e pretese il pagamento dell’ammenda.
Non so descrivere la mia meraviglia quando mi recai a Napoli, per i miei studi alle medie. A Napoli giunsi di sera. Per chilometri e chilometri la corsa del treno era rallegrata dalla visione del lungo pennacchio rosso di fuoco del Vesuvio, allora in fase attiva – un semaforo per gli aerei nemici. Giunti a Napoli, la stazione sfavillava di luci, e un tripudio di luci emanavano i tram, i cui finestrini non erano schermati e i cui pantografi sprizzavano scintille violazzurre. Incredibile a vedersi, i negozi avevano pubblicità luminose al neon, o a qualcosa di analogo, se a quel tempo il neon era da venire. Neanche alla festa della Madonna del Carmine avevo visto un tale spettacolo di luminarie: nella mia mente rimase impressa una fantastica visione, che neppure lo spettacolo delle luci di New York, goduto alcuni decenni dopo sul calare della sera dal terrazzo del WTC – una delle due torri abbattute dall’attacco terroristico dell’11 settembre – ha cancellato. Dopo alcune ore, il suono delle sirene e il fuoco della contraerei mi svegliò nel primo sonno. In fretta, assonnati, corremmo nel rifugio, dove le donne spettegolavano quando l’aria era tranquilla, per passare di botto a invocare l’intercessione di san Gennaro quando il fuoco della contraerei diventava più vivace o sembrava che una bomba fosse caduta nelle vicinanze. Con mio cugino uscivamo dal rifugio per goderci lo spettacolo, uno spettacolo di luci: scie dei riflettori che scrutavano il cielo alla ricerca di aerei nemici, fuochi della contraerea, che sembravano i fuochi della Madonna del Carmine.
Il secondo anno di guerra, all’apertura dell’anno scolastico, andai a Napoli per frequentare la prima media. Arrivai di sera e, uscito dalla stazione su piazza Garibaldi, restai a bocca aperta: le luci dei tram che illuminavano gli abitacoli e quelle violazzurre emanate dai trolley a stanga dei tram e dei filobus formavano una luminaria più sfavillante di quella, oramai lontana e dimenticata, l’ultima volta fu nel 1939, che si accendeva nella piazza Garibaldi di Tricarico la sera della festa della Madonna del Carmine. Senza contare che il Vesuvio era ancora attivo e di notte eruttava un lungo pennacchio di fuoco rosso vivo, che per gli aerei nemici era come un semaforo. Qualche ora più tardi –fu la prima volta – fui svegliato nel primo sonno dal suono delle sirene dell’allarme.
L’isterica severità con la quale a Tricarico era fatto rispettare l’oscuramento sfociò, come una disgrazia naturale, in una tragedia fulmineamente dimenticata. La guerra si era messa male, gli Alleati avevano occupato la Sicilia e, sbarcati in Calabria, avevano occupato Reggio Calabria. Cadde il fascismo, Mussolini fu arrestato. Il nuovo capo del governo, il maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, appena nominato pronunciò un discorso alla radio, che conteneva la famosa frase: «La guerra continua e l’Italia resta fedele alla parola data… chiunque turbi l’ordine pubblico sarà inesorabilmente colpito». E la punizione colpì inesorabilmente a Tricarico.
Badoglio, il giorno 26, emanò un provvedimento con il quale l’autorità militare era investita di pieni poteri relativamente all’ordine pubblico, veniva istituito il coprifuoco (divieto di uscire di casa nelle ore serali e notturne) e venivano vietate le pubbliche riunioni (era persino vietato camminare, pure di giorno, in più di due.) Una sera, c’era tanto buio che non si vedeva a un palmo dal naso, nella Saracena, una pattuglia di Carabinieri scorse un’ombra e intimò l’alt: – Alt o sparo – intimò uno dei militi. L’infelice si impaurì e fuggì, il carabiniere sparò e l’uccise. Dovette sentire un piccolo disagio e disse: – Era talmente scuro! … Dal paese il tragico evento fu vissuto come una mera disgrazia naturale, come una morte causata da un fulmine. Sono cose che succedono, si dice in questi casi.
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