Bella giornata insolita per i climi della Valpadana, oggi a Ferrara. Splende un bel sole caldo, l’aria è serena e fresca, le strade del centro – tutte pedonalizzate –sono  affollate di gente in festa, in piazza (una domenica si e una no gli agricoltori espongono e vendono i loro prodotti) pare che si sia trasferita la campagna con i suoi prodotti di stagione . C’è chi spreme l’uva con un piccolo torchio e vende bicchieri di mosto. Era tempo di vendemmia questo, a Tricarico: tempo di festa, partecipata secondo riti antichi, il cui senso non si era perso.

Tutto comincia quando Dioniso si innamora fino alla sfinimento di Ampelo, un giovane di una bellezza disarmante, più bello di Ganimede, rapito da Zeus in forma d’aquila. Amore e gelosia si intrecciano nell’animo del dio a un senso di mancanza, che diventa subito paura. Il dio del riso viene sopraffatto dalla paura di perdere il suo amore, che lo spinge a dare al ragazzo suggerimenti per evitare i peggiori pericoli. Un giorno si raccomanda – profetica ammonizione! – che Ampelo si guardi dalle corna del toro crudele.

Accade quel che il dio temeva. Ate, che in greco antico significa «rovina, inganno, dissennatezza» e frequentemente induceva alla tracotanza che nasce dalla mancanza di senso della misura, lo convince ad accarezzare un toro e a circondarne il collo con ghirlande di anemoni, gigli e narcisi, a ricoprirne le corna con del fango per poi cavalcarlo. Quello che accadde era scontato: il toro si infuria, rovescia il ragazzo, che, nella terribile caduta, si rompe l’osso del collo e rimane in balia della violenza taurina: le corna dell’animale lo trafiggono e lo uccidono.

«Davanti al corpo senza vita di Ampelo – racconta il mito – il dio che non sa piangere piange. Ammirando la bellezza del suo amore il dio che non sa soffrire impara a soffrire. Perché sul corpo senza vita, il dio cerca la vita. Rose, gigli, anemoni tra i capelli. Ambrosia sulle ferite. Le lacrime scorrono a fiumi. Ampelo morendo ha lasciato il dolore a Dioniso che ignora il dolore». Dioniso è inconsolabile. Eros tenta in tutti i modi di consolarlo. Nessuna rinascita sembra più possibile, finché le lacrime del dio del riso, mischiate al sangue di Ampelo, si trasformano in una bevanda, un dolce nettare capace di confondere la memoria, di sovvertirla, inquinarla e riplasmarla. Ampelo, portando il dolore al dio, diventa vite che porta agli uomini l’ebbrezza. Il vino inonda di gioia ogni angolo del cosmo. Dioniso ritrova la felicità, la sua ebbrezza sconfigge la nostalgia e la morte.

Il mito ritorna anche nel ratto di Ganimede. Anche il mito fondante di Ganimede è la sua bellezza. Nell’Iliade si racconta (canti V e XX) che Zeus, innamoratosi di lui, avendolo rapito offrì in cambio al padre una coppia di cavalli divini e un tralcio di vite d’oro.

 

 

2 Responses to A ottobre si vendemmiava a Tricarico nella gioia del mito di Ampelo

  1. Gilberto Marselli ha detto:

    Purtroppo, siamo costretti ad una realtà nella quale i miti non funzionano più. Il crudo e crudele realismo è la nostra condanna e dobbiamo abituaci a farvi adeguatamente fronte.. Sursum corda…………

    • Antonio Martino ha detto:

      Caro Gilberto, sono del tutto d’accordo con te. Richiamando il mito di Ampelo, infatti, non ho inteso esprimere la nostalgia del mito, bensì prendere per l’appunto atto dell’attuale crudele realismo, come giustamente scrivi. Grazie.

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