Jovanotti Furioso 

Scarpe strette di Pietrangelo Buttafuoco

IL SOLE 24 ORE – DOMENICA 30 ottobre 2016

 

«Messer Ludovico dove avete mai trovato tante corbellerie?». Così disse il cardinale Ippolito d’Este mentre ascoltava dalla viva voce dell’Ariosto la lettura dell’ Orlando Furioso. Il prence di Santa Roma Chiesa, protettore del poeta, rimbrottò l’opera del pupillo senza immaginare che alla consunzione dei secoli, ai nostri giorni, la vera corbelleria sarebbe davvero arrivata: Jovanotti che fa dell’ottava un inno al rap. E ci fa pure i tweet : «“Action, i personaggi fanno cose!». Una corbelleria a doppio intreccio, poi, con Dario Franceschini – ministro della cultura – che in luogo di mandargli i carabinieri quasi se ne bea, prendendolo a braccetto, per come ha fatto. Con un danno che va a sfasciarsi, infine, nella cornice di Ferrara la stessa città dove donne cavalieri armi e amori trovarono la strada per il magico castello di Atlante. Dio ce ne scampi dal riciclo pop degli spiriti sommi. Perfino Roberto Benigni – ed è tutto dire – ha dovuto rispettare le terzine di Dante. E quando Fabrizio De Andrè cantò Cecco Angiolieri – bellissimo il suo «S’io fossi foco» – non mistificò i versi in modernariato, al contrario: d’umiltà vestuto adeguò se stesso al canone letterario cosicché né rima alternata né quella baciata ebbero a subire danno. Tra utopia e distopia, tra prodigio e visione, rassegnandoci all’idea di Jovanotti testimonial , ci s’immagina il poeta intento a tamburellare – e magari in collegamento con Che tempo che fa –il canto in groppa all’Ippogrifo, ma gli è che uno spettro si aggira tra le macerie della poesia: è quello delle star musicarelle. Come a Stoccolma per i Nobel, così a Ferrara, con la splendida mostra di Orlando Furioso 500 anni a Palazzo dei Diamanti, la poesia è piegata a pretesto rap, ritmom va da sé, degno di ben altro destriero: il ciuchino (dalle lunghe orecchie e dal cappello a cono). Un canto, va da sé, ragliante.

Orlando Furioso /500 anni

http://www.palazzodiamanti.it/1434

 

One Response to Da Stoccolma a Ferrara

  1. Antonio Martino ha detto:

    Un articolo di Paolo Di Stefano pubblicato sul Corriere della SEra del 1° nov. 2016
    “Il Nobel a Bob Dylan e l’arroganza d’autore”

    “Lo snervante silenzio di Bob Dylan dopo l’assegnazione del premio Nobel ha suggerito agli accademici di Stoccolma un aggettivo che da tempo non aveva dignità pubblica: «maleducato» in coppia con un altro aggettivo desueto, «arrogante». Sono passati 15 giorni perché il cantautore rispondesse al telefono della segreteria svedese pronunciando due aggettivi decisamente indegni della sua grandezza poetica: «Emozionante e incredibile». Tutti e due banali e per di più intempestivi. La scelta poteva suonargli emozionante e incredibile il giorno stesso, ma a due settimane di distanza… Avrebbe potuto pensarci su ancora un paio di giorni per farsi venire un’idea più originale. «Apprezzo molto l’onore ricevuto», ha aggiunto, precisando: «A Stoccolma andrò se potrò». Come se potrò? Non gli sarebbe bastato consultare l’agendina per sapere se il 10 dicembre 2016 aveva già fissato un appuntamento con il dentista, e dunque per rispondere: «Mi spiace, purtroppo ho già un altro impegno cui non posso rinunciare…».
    Dunque, tutti sulle spine ancora per qualche settimana: andrà, non andrà, andrà ma senza preavviso, non andrà ma manderà il suo cavallo… Manco fosse Nanni Moretti: mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Chissà quante volte gli spericolati professori scandinavi, dopo aver bussato inutilmente alle porte del cielo dylaniano, si saranno pentiti di non aver scelto un altro Montale qualunque che almeno, pur non avendo scritto Mr. Tambourine Man ma solo La casa dei doganieri, sarebbe partito anche a piedi. Montale, infatti, nel 1975 prima ringraziò, poi si presentò a Stoccolma senza fare tante storie, come prima e dopo di lui fecero Kipling, Mann, Pirandello, Eliot, Faulkner, Beckett, Hemingway, Camus, tanto per fare alcuni nomi. Se fossi un accademico del Nobel, proporrei di ritirarglielo a Dylan, il premio, per grave infrazione al codice (minimo) della buona educazione e soprattutto per offesa postuma ai suoi ben più grandi (e più umili) predecessori: Sartre compreso che pure nel 1964 rifiutò il Nobel con una lettera gentile. È eccessivo temere che la cafonaggine di Dylan, molto più delle sue canzoni, sia l’esatto segno dei tempi? In questo, il vecchio Bob è perfettamente in linea con la gran parte dei suoi contemporanei che pur essendo sempre connessi non si degnano di rispondere neanche alle mail, figurarsi a una lettera.”

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