Il 25 novembre 1960 – 56 anni fa – moriva mons. Raffaello Delle Nocche, legando il suo nome al più lungo e memorabile episcopato di Tricarico (dal 1922 al 1960).
      Rocco Scotellaro in Contadini del Sud lascerà di lui il seguente ricordo: «uno dei vescovi moderni che attivizza il clero della diocesi e lo impegna in istituzioni benefiche, dagli asili ai mendicicomi e manda in Italia e all’estero fino in Brasile le Suore di Gesù Eucaristico, congregazione da lui creata. A Tricarico ha dato muri nuovi e impianti moderni alla vecchia casa vescovile, ai monasteri di Sant’Antonio e di Santa Chiara già morti ruderi per colombi e cornacchie, ora squillanti di campanelli elettrici e voci femminili delle suore, delle convittrici del magistrale parificato, delle allieve delle scuole di taglio e di cucito e di ricamo e ha dato energia, gentilezza ed eleganza ai sacerdoti, sebbene molti di questi, i vecchi, ancora impenetrabili come contadini, altri, i giovani, diplomatici e faziosi».

     Alla morte di un vescovo gli occhi dei fedeli sono rivolti al Vaticano e si aspetta la nomina del nuovo vescovo, che è nominato senza coinvolgimento della diocesi al fine di individuare i propri bisogni, i propri punti di forza, le proprie fragilità e le proprie potenzialità. Questa procedura è segno grave. Pio XII, Pontefice misconosciuto e calunniato, nel 1950 aveva detto: «Là dove non appare nessuna manifestazione di opinione pubblica […] occorre  vedervi un vizio, un’infermità, una malattia della vita sociale. Così anche in seno alla Chiesa: essa, corpo vivente, mancherebbe di qualcosa di vitale se l’opinione pubblica mancasse, e questo sarebbe un difetto che ricadrebbe sui pastori e sui fedeli». L’attuale postconcilio appare già pienamente presente al tempo di papa Pacelli e operoso, con la nomina a vescovo di Tricarico, nel 1922, di mons. Delle Nocche: per grazia divina o, per chi non crede, misteriosamente. Egli non aveva ambizioni di carriera – e lo dimostrò. Dopo il primo impatto con la diocesi che gli era stata assegnata, capì che quanto era maturato nella sua formazione di prete aveva trovato uno storico banco di prova.

      Mons. Delle Nocche apparteneva a una famiglia benestante di Marano, a nord di Napoli, e durante il lungo suo ministero episcopale nella diocesi vendette alcune proprietà per far fronte alle necessità delle sue straordinarie opere benefiche.
      Laureato in scienze naturali, fece impiantare nel proprio giardino alberi da frutta e la vigna. La gente disse: – Ha piantato la vigna: questo resta! –

      La notte tra il quarto e il terzo giorno prima della sua morte,  ancora vibravano nell’aria le note della Rapsodia in blu, di un Americano a Parigi, di Porgy ad Bess – l’unico canale televisivo in bianco e nero esistente aveva appena cessato di trasmettere un interminabile film sulla breve vita di George Gershwin -, che una improvvisa crisi cardio-respiratoria fulminò mio padre. Mons. Delle Nocche, nelle sua agonia, trovò la forza di farmi avere,  tramite don Gaspare Sarli, segretario della Curia, le sue condoglianze e la sua benedizione .

      Mons. Delle Nocche è stato un grande maestro dello spirito. L’incontro con lui – come afferma don Benì Perrone nella pregevole biografia del suo vescovo – può essere a un tempo suggestione, riflessione e stimolo alla riscoperta dei grandi ideali. «L’aspirazione più profonda del Vescovo – scrive ancora don Benì – fu il bene delle anime affidate alle sue cure spirituali, ideale al quale, nella sua scala di valori, tutto doveva essere subordinato. Sapeva però che l’uomo si salva nella storia, vivendo la sua appartenenza alla città terrena con tutte le implicazioni e le responsabilità che questo comporta».

      A chi intendesse avere un incontro con questo maestro dello spirito non so consigliare altro che la lettura della citata biografia. Non si parla di un vescovo qualsiasi, adattabile alle proprie ideologie, ma di un vescovo di un determinato tempo e di un determinato luogo. Il tempo è quello dei cattolici nati dopo la presa di Roma (mons. Delle Nocche nacque nel 1877), che ebbero il tempo di sentire ancora gli echi del profetismo conservatore di Joseph de Maistre, ma furono scossi dal lungimirante magistero di Leone XIII, che, soprattutto con la De Rerum Novarum, seppe indicare la via maestra per una realistica presenza della Chiesa in un mondo che cambia vertiginosamente. Si realizzò allora una temperie culturale e religiosa – nella quale Delle Nocche si sentì pienamente coinvolto – che storicizzò il profetismo cattolico, spingendo a operare nella società, e spiega vicende come quelle di Murri, di Sturzo, dei fratelli Monterisi.

      Concludo citando dall’ultima pagina della Introduzione della suddetta biografia. «Don Giuseppe De Luca scrisse: “La vita di un vescovo può diventare una storia grandissima [….] Non ci si pensa, forse non c’è nulla di più bello nella storia del mondo da che è venuto il cristianesimo, non c’è nulla di più caro di questi vescovi, di questi parroci che tra cento miserie e mille tristezze hanno governato il loro gregge tra i monti, lungo i mari, sui fiumi, in plaghe deserte, in città paurose più dei deserti.

       Una di queste storie belle è quella di monsignor Raffaello Delle Nocche».

 

6 Responses to Ricordo del Vescovo Raffaello Delle Nocche (e di mio padre)

  1. enza Spano ha detto:

    un bellissimo ricordo, che io non ho e che acquisisco volentieri. Rocco Scotellaro ha trovato in mons. Delle Nocche un valido alleato sociale.dal loro connubbio nasce l’ospedale di Tricarico oltre che dalla partecipazione di tutti i cittadini.
    saluti Enza

  2. Gilberto Marselli ha detto:

    Io ebbi l’onore d incontrare direttamente Mons. Delle Nocche nel corso delle mie molte visite a Tricarico prima e dopo la morte di Rocco Scotellaro. Ma il ricordo più caro mi riporta alla triste circostanza della morte di Rocco. Fui io a darne notizia al Vescovo che, a suo tempo, aveva voluto ospitare nei locali del Vescovado il materiale dell’ospedale militare americano requisito da Rocco Sindaco socialista e che, poi, avrebbe data la possibilità, a Tricarico, di avere un suo ospedale.Mi disse che avrebbe partecipato ai funerali, ma a patto che non vi fossero bandiere rosse. Gli feci presente che sarebbe stato impossibile impedire la presenza di bandiere rosse nel corteo funebre. Allora mi disse che vi avrebbe virtualmente partecipato raccogliendosi in preghiera. Fu evidente che ciò gli dispiaceva moltissimo. In quell’occasione non riuscii a non commuovermi in modo particolare per la sincera partecipazione del Vescovo a quella grave perdita per tutta la comunità tricaricese e non mi fu difficile ritrovare in Mons. Delle Nocche le caratteristiche proprie di noi napoletani: appartenevamo entrambi alla stessa cultura antropologica….

    • Antonio Martino ha detto:

      Caro Gilberto, Conoscevo già questa tua esperienza e, ora che la ripeti, torna a commuovermi. Chi, morendo, ebbe tanto cuore di pensare al mio dolore per la morte di mio padre, non poteva che pensare intensamente alla grave perdita che la morte di Rocco rappresentava per la sua comunità diocesana e, personalmente, rappresentava per la prof. Carmela Scotellaro, cugina di Rocco e attiva dirigente della “sua” azione cattolica.

  3. Domenico Langerano ha detto:

    Caro Antonio stralcio dal mio Dizionario e riporto il mio ricordo del caro vescovo.

    Papà mi diceva che, quando Delle Nocche venne a Tricarico, nella piazzetta davanti al vescovado si poteva camminare solo su tavole di legno, tante erano le pozzanghere.
    Pare sia entrato a Tricarico, come una volta si usava per l’insediamento dei vescovi, su un cavallo bianco.
    Con un pizzico di orgoglio voglio esternare una breve testimonianza diretta sul Vescovo, perché da ragazzino ero ‘di casa’ nel vescovado e mi ritenevo un privilegiato essendo da lui coccolato.
    Avendo vinto il primo congresso diocesano da chierichetto, come premio ebbi il privilegio di servirlo nella celebrazione della messa che quotidianamente officiava nella cappella del vescovado. Quando arrivavo, lo trovavo sempre intento a leggere il messale nel salone adiacente la cappella, una poltrona e un inginocchiatoio erano messi sulla porta sempre aperta che comunicava con la cappella.
    Ero ragazzino e, dovendo stare con le ginocchia nude sui marmi dei gradini dell’altare, molte volte svenivo e suor Carla mi portava nella piccola sacrestia posta nel retro altare e mi faceva bere delle buone tazze di latte caldo. Il vescovo ordinò che, come per lui, anche per me chierichetto fosse messo sul gradino un cuscino: e così fu; di questa decisione godettero d’allora in poi tutti i chierichetti della cattedrale.
    Anche da seminarista conservai questo privilegio, anzi divenni il padrone del vescovado potendovi scorazzare a piacimento sotto la benevole protezione del riservatissimo vicario don Pietro Mazzilli (non si vedeva molto in giro, ma capivo che invece comandava molto) e il rumoroso nervosismo di don Gaspare che era il cancelliere della diocesi e lì la mattina veniva a lavorare.
    Rimaneva in preghiera davanti all’Eucarestia per ore ed ore e così egli stabilì si facesse nella regola emanata per le sue suore della Congregazione delle Discepole di Gesù Eucaristico: il suo obiettivo, la sua fissazione (come diremmo a Tricarico), era quella che Gesù Eucaristico fosse venerato con le preghiere in ogni santo minuto del giorno almeno da una persona in tutto il globo terrestre!
    E ricordo anche la sua devozione per la Madonna, sempre citata in testa alle sue lettere (Mater mea, fiducia mea).
    Sarà stato il periodo storico (contemporaneamente a Tricarico c’erano Rocco Scotellaro e don Pancrazio Toscano), sarà stato per la sua fede e personalità, sta di fatto che il suo vescovado fu un periodo molto fecondo per Tricarico.
    Mentre le chiese e i conventi furono restaurati e a santa Chiara funzionava un asilo (suor Ausilio!), volle che ne fosse costruito uno anche nella Rabata, zona dei più poveri del paese e monopolio politico dei comunisti; diede inoltre una mano alla creazione dell’Ospedale Civile mettendo a disposizione un’ala del vescovado.
    Portò un’aria di modernità nella diocesi, dando spazio a giovani sacerdoti, facendo piazza pulita di ogni residuo medioevalismo ancor presente nella vita della chiesa, ma con grande tolleranza e comprensione per i vecchi preti e per le pratiche di chi si attardava nelle vecchie abitudini. Diede impulso alla formazione dei quadri dell’azione cattolica; grazie a lui Tricarico ebbe un convitto femminile e una scuola magistrale parificata che tante professionalità lucane e d’altre regioni ha formato; per i maschietti della scuola media fece funzionare il convitto nell’ex seminario (ora sede del Comando e della Caserma dei Carabinieri) accogliendo giovani non solo della diocesi.

    • Antonio Martino ha detto:

      Caro Mimmo, Grazie e scusami. Scrissi il ricordo di mons. Delle Nocche frettolosamente e in uno stato di commozione per il pensiero del Vescovo e soprattutto di mio padre. Avevo in animo di citare la tua biografia pubblicata nel Dizionario, ma non lo feci per distrazione. Avrei potuto integrare dopo il mio ricordo, ma non l’ho fatto. Meglio che l’abbia fatto tu, riportandola per intero. Colgo questa occasione per dire che Monsignore fu ordinato presbitero e consacrato Vescovo nella Chiesa di Santa Maria della Sapienza di via Santa Maria Costantinopoli (una delle più belle vie di Napoli, dove c’era la mia Scuola Media). Quando frequentai la prima media in quella Chiesa, tutte le mattine, prima di entrare a scuola, andavo a recitare una preghiera.

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