Mario Trufelli ritrovato – (2) – “Paese giorno e notte”
L’originario «Paese giorno e notte», che segna l’esordio di Mario Trufelli in poesia, raccogliendo poesie dal 1952 al 1957, è stato edito nel 1959 dall’editore Rebellato di Padova, con copertina di Luigi Guerricchio e prefazione di Valerio Volpini[1], ristampata nell’Appendice «Allegati e Apparato» di «Prova d’addio».
«Trufelli giovane, ma con maturate esperienze di vita – scrive Volpini –con la figura austera della sua Lucania ci dà soprattutto il diario della sua anima sensibile e gli interrogativi che generosamente sa non appartenere soltanto a se stesso ed è per questo che nei versi torna frequentissimo il “noi”:
Da noi la malvarosa è un fiore
che trema col basilico
sulle finestre tarlate
………..
Da noi riposa il falco e la civetta
che segna la nostra morte.»
E conclude che le sue poesie sono il termine di un primo equilibrio fra le occasioni corali e l’io; fra l’uomo del sud, attivo ai richiami storici e il poeta che sa entrare soprattutto nella propria storia interiore».
Il libro – scrive Vitelli – è parte integrante di quella coiné linguistico-culturale per comodità definita neorealista, venendo ad avere un valore esemplare della temperie storico-culturale degli anni Cinquanta.
«Paese giorno e notte» è pure, significativamente, il titolo del primo organico documentario televisivo: ciò per stabilire legame di filiazione del giornalista dall’esperienza poetica, invertendo così la valutazione corrente che fa soggiacere le sorti della poesia alla ricchezza di “occasioni” del cronista. Da miei appunti riferisco che il documentario fu commissionato, per la RAI di Basilicata, dall’Ufficio di promozione e sviluppo della RAI: girato in 50 paesi lucani per illustrarne le tradizioni, la cultura e l’organizzazione civile, il documentario ebbe successo e fu proiettato nelle piazze di ogni singolo paese in cui era stato girato.
Le poesie riproposte in “Paese giorno e notte” di “Prova d’addio” sono 41, di cui, con i prossimi file, Rabatana pubblicherà una selezione; esemplificando: il paese, il nonno, la madre, il padre, che frequentava la bottega dello Sturno, il carrettiere, le altre poesie dedicate (a Rocco Scotellaro, al prof. Francesco Nitti), uno scrittore ritrovato, Gino Montesanto[2], presentatomi da Mario in occasione di una sua visita a Tricarico con presentazione di un libro nel salone del Seminario. Di lui ho letto un paio di libri: ma sono lustri, e forse decenni che non ho saputo più nulla, finendo col dimenticarlo; frugando tra i miei libri, non ho trovato neppure uno suo. Temo di essere troppo vecchio e lento e impegnato nell’ordinario per recuperare.
Le poesie saranno annotate per quanto risulterà indispensabile. In questa premessa si dice un qualcosa secondo lo spirito di Rabatana, scusandomi con Mario, che questo spirito aborre, lo dico in questa premessa.
Lo Sturno è il soprannome di un falegname: di un falegname, non del falegname del paese, come annotato nella poesia Dopo la morte del nonno. Il suo nome era Michele Sellitti (del nome sono certissimo, sul cognome potrei sbagliare). In genuino dialetto tradurrei u’ Stórn o Stourn. Mast M’chel Stórn abitava al piano e aveva bottega in piazza Garibaldi: in quell’angolo che inizia(va) col portone delle case di Menonna e del nonno di Mario, don Michel Valinotti, e poi c’erano l’edicola/emporio di Carolillo, il portoncino dell’abitazione del maestro don Ciccio Ierardi, a cui subentrò l’esattoria Adamo e, finalmente, la falegnameria du’ Stórn. Nella citata nota si inventa una spiegazione del soprannome del falegname in base a una identica preferenza alimentare: come l’uccello storno si ciba prevalentemente di olive, il falegname storno amava mangiare pane e olive. Tutti amavamo mangiare pane e olive nere al forno, che si portavano in tasca, e l’uccello, onnivoro, si ciba prevalentemente a terra, nei prati, adattandosi alla stagione e alla disponibilità contingente di cibo. Si nutre prevalentemente di insetti, semi, bacche, frutta, anfibi, scarti di cibo gettati dall’uomo.
Una figlia di Mast M’chel Stórn sposò Rocco Picardi, un caro amico afflitto da una imponente balbuzie, che superò il concorso di ufficiale giudiziario e ha prestato servizio in Emilia-Romagna. Quando abitavo a Modena lui e il suocero vennero a trovarci un paio di volte. Poi non ho saputo più nulla di loro.
Fruntone (Fr’nton) era il soprannome di un carrettiere di Tricarico. Non conosco il significato di questo soprannome, registrato nel dizionario del dialetto tricaricese di Langerano. Rabatana l’ha ricordato più volte: Fruntone è raccontato in due post e la poesia è pubblicata in calce a un altro mio racconto.
Tutto questo che c’entra con la poesia? Non lo so. Rabatana è meno dubbiosa.
***
[1] Valerio Volpini, Rosciano di Fano 1923 – Fano 2000, è stato un politico, partigiano, giornalista storico e scrittore; acquisita la cittadinanza vaticana, è stato dal 1978 al 1984 direttore de «L’Osservatore Romano», quotidiano della Santa Sede.
[2] Gino Montesanto – 1922 – 2009 – veneto di nascita, ma formatosi in Romagna con il poeta Marino Moretti, giornalista (ebbe una pluridecennale collaborazione con la RAI) e scrittore, aveva adottato uno stile narrativo di espressione realista e di forte matrice cattolica. Notevole la sua produzione letteraria, che gli fa vincere per tre volte il Premio Campiello. Il suo archivio e la sua biblioteca sono conservati a Cesenatico presso la Casa museo Marino Moretti.
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Che commozione ritrovare il caro Mario Trufelli.
Ci farà compagnia a lungo!
La memoria che mantiene e tramanda Antonio Martino di Tricarico e dei tricaricesi è una cosa preziosa che va conservata ed apprezzata da tutti noi.
Grazie di cuore. E’ un complimento che mi commuove.
Nostro Antonio continus a renderci gradevoli tutti i giorni con i suoi indovinati e unici post. In questi giorni prenatalizi è un bellissimo regalo e attenzione per i suoi estimatori e amici.
Grazie per la grata compagnia.
Buon Natale!