Rocco Scotellaro nel racconto del prof. Gilberto Marselli sul Gruppo Rossi-Doria a Portici.

 

Attorno a questa scuola socratica sorta in una reggia alla periferia di Napoli, che fu nota come Gruppo Rossi-Doria a Portici, Gilberto  Marselli, nel suo denso e bel libro, ricostruisce la storia d’Italia, storie particolari italiane e straniere, specialmente di sociologi americani (l’inquietante trumpismo sta richiamando, in questi giorni, col maccartismo, la vicenda di George Peck e le vicende di due tricaricesi espulsi dagli Stati Uniti), storie personali, e rimette in campo antiche questioni politiche, con attuale vivezza e non sopita passione, nel segno amaro della sconfitta.

Sono citati 502 personaggi. Non dico che si possono leggere 502 storie personali, ché anzi sconsiglio la lettura particolare di un personaggio, alludo naturalmente e Rocco Scotellaro, che io ho effettuato e riassumo in questo post.

Marselli ha scritto il suo libro, che, come giustamente è stato detto, aveva il dovere di scrivere, per far conoscere l’esperienza del Gruppo Rossi-Doria a Portici, coinvolgente un mondo, una pluralità di discipline e attività. Rocco Scotellaro è stato un membro di questo Gruppo, non il protagonista, come lo è stato nella sua attività di politico e di amministratore, di poeta e scrittore. Durante il periodo di Portici, con Antonio Albanese, ho avuto frequenti rapporti con lui, e il periodo di Portici, il ricordo di quel triennio, lascia una emozione nella mia vita. L’esperienza di lettura di cui sto per dire, quando il racconto di Marselli di più si focalizza, direttamente o indirettamente, su Rocco, ritengo che possa interessare. Sono andato ad vocem nell’indice dei nomi, ho annotato le pagine in cui la voce Scotellaro R. è citata e le ho lette, come passi di antologia, allargando ai contesti il piano di lettura. Il riassunto esposto in questo post è naturalmente molto più ristretto, e temo che faccia torto alle pagine di Marselli. Tengo anche a dire, meglio, che non ha significato, l’ho scritto e lo metto a disposizione come consiglio di una lettura particolare su Rocco, allargata ai contesti. C’è nel libro un capitolo in cui si parla di Freidmann, un capitolo in cui si parla di Banfield, un capitolo in cui si parla di Larson: può nascere talvolta il desiderio di dedicare un’ora del proprio tempo alla lettura di questo libro, ed ecco come si può “creare” un capitolo su Scotellaro.

Grazie alla elaborazione di una carta agronomica per la Sila, Marselli ebbe l’opportunità di entrare a far parte di quello che, dopo, sarebbe stato universalmente noto come il Gruppo di Rossi-Doria -: al quale, man mano, si sarebbero aggiunti sempre nuovi collaboratori, tra i quali, infine, una presenza solo apparentemente anomala, ma che ebbe una notevole importanza: quella di Rocco Scotellaro (in altro luogo dello stesso libro Marselli scrive che Scotellaro avrà un ruolo importante nel gruppo di sociologi operanti a Portici). Scotellaro nel gruppo era definito il «poeta contadino››, dato che, come Sindaco socialista di Tricarico, aveva capeggiato il movimento contadino di occupazione delle terre, a partire dal feudo Turati. Ecco una spiegazione non molto nota, ma originale e autentica, dell’appellativo “poeta contadino”, che sarebbe bene tenere in considerazione per la giusta comprensione dell’appellativo derivato “poeta contadino” posto in relazione all’opera poetica di Rocco Scotellaro, che si costituisce come essenziale, perché poeta è il sostantivo e contadino l’aggettivo.

Scotellaro era stato conosciuto da Rossi-Doria durante la campagna elettorale per l’Assemblea Costituente. Dopo la dura ed ingiusta esperienza del carcere, patita quattro anni dopo, in cui Scotellaro due volte era stato eletto sindaco (1946 e 1948), Rossi-Doria lo trovò profondamente turbato e, per dargli la possibilità di recuperare la necessaria serenità per poter continuare a coltivare i propri interessi culturali, lo invitò a trasferirsi a Portici. Tanto più che in quell’anno (1950), Rossi-Doria era impegnato nella redazione del Piano di sviluppo della Basilicata, promosso dalla SVIMEZ come primo esempio in assoluto, in Italia, di pianificazione territoriale secondo la filosofia del New Deal americano.

In questa circostanza, a Scotellaro, oltre al delicato compito di coordinare l’editing dei vari contributi e delle relazioni specifiche relative ai diversi aspetti di intervento, fu affidato anche l’incarico di compiere una ricerca sullo stato dell’organizzazione del sistema scolastico, nonché della sua efficacia e del relativo sviluppo con riferimento agli obiettivi indicati dal Piano. Il testo, senza alcun dubbio del tutto originale e di indiscussa valenza, di questo suo studio – che si inseriva a pieno titolo nella metodologia del Gruppo – fu pubblicato anche dalla rivista Nord e Sud di Francesco Compagna.

Con questo innesto di una forza giovanile, non formatasi nell’ambito di un curriculum specifico di una Facoltà di Agraria- sia pure notevolmente arricchito proprio da quella estrema eterogeneità delle discipline impartite, che variavano dal gruppo biologico a quello chimico, tecnico-ingegneristico, economico, giuridico, zootecnico, delle colture erbacee ed arboree e delle stesse industrie trasformatrici – Rossi-Doria fu incoraggiato a ritornare più intensamente a quelle che erano state le sue intuizioni quando, nel 1947, aveva proposto di perseguire una vera “azione meridionalista” (v. Rossi-Doria, Riforma agraria e azione meridionalista, Bologna, Edizioni agricole, 1° ed. 1948, 2° 1956). In quella sede infatti – dopo aver individuato, soprattutto nelle campagne, l’esistenza di una pericolosa realtà sociale piccolo-borghese e conservatrice, sostanzialmente rimasta ancora prigioniera del clima fascista che l’aveva favorita – invitava però a non dimenticare mai che le sorti future del Mezzogiorno erano – e lo sarebbero state sempre più – legate al ruolo che vi avrebbero svolto proprio quei ceti medi e, non meno, i rapporti tra essi e i contadini in quanto non vi era alcun dubbio che la maggioranza di quei ceti medi erano gli stessi che costituivano quella borghesia agraria prima criticata.

Si è sopra accennato al Gruppo Nord e Sud. Interessante – e, come nello stile di Marselli, chiara e di gradevole lettura – l’esposizione della funzione e dell’attività di quest’altro Gruppo. Marselli dice anche – ed è un particolare molto importante – che in quel gruppo vi erano persone che sarebbero state protagoniste della pubblicazione, a Napoli, di un quotidiano di ispirazione laica, Il Mattino d’ltalia – che, nella sua pur breve vita, aveva dato un segno di deciso e sostanziale rinnovamento per tutta la società meridionale.

Il giornale, per decisione del tribunale di Napoli, dovette cessare le pubblicazioni, perché, pur trattandosi di una gloriosa e storica testata nazionale, si poneva in una condizione di concorrenza con lo storico giornale napoletano Il Mattino. Ricordo che Rocco Scotellaro sul giornale pubblicò articoli in terza pagina, spazio che, storicamente, i giornali riservavano alla Cultura, e che un paio di volte lo accompagnai al giornale, dove si divertiva a prendere in giro Compagna, che ironicamente chiamava barone, letteralmente atterrito per le notizie della guerra in Corea, che aveva avuto inizio proprio in quelle settimane, determinando una delle fasi più acute della guerra fredda, con il rischio di un conflitto globale ed il possibile utilizzo di bombe nucleari. Ricordo pure che Rocco rimase amareggiato dall’esito della causa promossa dal Mattino per la chiusura del Mattino d’Italia.

Spesso, di sera, i Gruppi ci si incontravano alla birreria Löwenbrau – che era a piazza Municipio, sotto il Grand Hotel de Londres – e l’atmosfera che vi dominava assecondava la fantasiosa estemporaneità di Rocco Scotellaro, che preferiva entrarvi, da piazza Municipio, fingendo un passo di marcia sulle note di E spingule francese, appositamente arrangiate, dal mefistofelico abile pianista del locale, per questo strano gruppo di avventori intellettuali,. Qui devo precisare che non erano i due Gruppi come tali che si incontravano, perché la rivista Nord e Sud, che dette il nome al Gruppo, fu fondata nel dicembre del 1954, un anno dopo la morte di Rocco. Si incontravano intellettuali del Gruppo Rossi-Doria e intellettuali che saranno protagonisti dello sfortunato tentativo del Mattino d’Italia, di cui Francesco Compagna, che fonderà e dirigerà la rivista, era redattore capo.

Tornando al Piano Lucano i due settori molto importanti e delicati per l’impostazione e la riuscita dell’intero Piano – quello della Scuola e quello della Sanità – furono affidati ai due Rocco di Tricarico: rispettivamente, a Rocco Scotellaro  e al Prof. Rocco Mazzarone,  allora direttore del Dispensario Provinciale di Igiene Sociale, al quale va riconosciuto il merito di aver svolto sin da quegli anni il ruolo niente affatto trascurabile di animatore essenziale del Gruppo di studio Friedmann sui Sassi e, più in generale, anche di tramite intelligente tra i ricercatori – italiani e stranieri – e la Basilicata, si da farla diventare un vero e proprio laboratorio sperimentale, ormai ben noto in tutto il mondo.

Quanto, invece, a Rocco Scotellaro, andato a Portici, ben presto familiarizzò con tutto il gruppo e, naturalmente, si sintonizzò maggiormente con quanti, come Marselli, compivano ricerche sociologiche autonomamente o in compagnia dei colleghi stranieri. Purtroppo, come dolorosamente ricordiamo, nel dicembre 1953, a 30 anni, la morte lo colse improvvisamente. Postumo gli fu conferito il Premio Viareggio. Assegnazione che fu aspramente criticata da esponenti comunisti: soprattutto da Carlo Salinari, responsabile della cultura e direttore de “Il Contemporaneo”, e da Mario Alicata, direttore di “Cronache Meridionali”, che agiva in più diretta contrapposizione con “Nord e Sud”.

Ogni anno, in occasione dell’inaugurazione della Festa dell’Unità nei giardini del Granatello si ripeteva un episodio altamente significativo. Mentre Rossi-Doria capitava sempre di fronte ad Amendola, Rocco Scotellaro era di fronte a De Martino (allora Segretario del Partito socialista) e Marselli di fronte ad Emilio Sereni (storico dell’agricoltura). Pur essendo tutti molto vicini politicamente, pur avendo comuni ideali e pur perseguendo tutti lo stesso fine – un definitivo superamento dell’annosa “questione meridionale” – erano, in pratica, profondamente divisi sulle modalità di espressione dell’operare del Gruppo Rossi-Doria. Purtroppo, la comunione di intenti durante la lotta al fascismo e, soprattutto, durante la Resistenza, le fratture avutesi a Livorno nel 1921 e, poi, ancora più gravi, le contrapposizioni provocate dalla guerra fredda, dai tragici eventi di Budapest e, ancor più, dal simbolico Muro di Berlino avevano creato, tra questi gruppi di amici, un solco difficilmente superabile: da una parte, diciamo i porticensi, che si applicavano a voler studiare la realtà per cercare di modificarla con opportune e concrete riforme; dall’altra, chi, invece, fidava tutto sull’evento rivoluzionario che, solo, avrebbe potuto modificare quella situazione. Ancora una volta, volontà riformatrice e fiducia in una corretta politica di interventi adeguati contro il massimalismo: il fallimento del Partito d’Azi0ne e, ancor più, la premessa di quella che, poi, sarebbe stata la contrapposizione tra Saragattiani e Nenniani.

Anche se, nota Marselli, sarebbe possibile fare ancora altre notazioni per dare una certa idea di cosa fosse, in realtà, questo Gruppo Rossi-Doria, egli ritiene di poter pervenire alla conclusione che il Gruppo ha costituito un’esperienza che, per alcuni, poté anche rappresentare un esempio interessante e di un certo fascino – soprattutto perché si rifaceva a modelli organizzativi da tempo già attivati presso le Università americane – del modo di studiare, formarsi, fare ricerca ed operare nel Mezzogiorno, ma che, certamente, fu anche considerata da altri come una troppo radicale innovazione delle funzioni e del ruolo di un’istituzione universitaria italiana e, soprattutto, meridionale. Tale, comunque, da suscitare giudizi non sempre favorevoli e, spesso, addirittura malevoli.

E non fu affatto irrilevante che queste innovazioni erano già state poste in essere prima che giungessero, a Portici, numerosi colleghi stranieri – per lo più nordamericani, ma anche inglesi, francesi, tedeschi, svizzeri e polacchi- attratti dal crescente interesse che suscitavano, al tempo stesso, l’Italia e, in particolare, il nostro Mezzogiorno. Se si vuole, ricercatori non esclusivamente confinabili nei limiti propri delle loro discipline, ma prontissimi – se già non lo fossero stati in anticipo – a farsi prendere dallo stesso spirito che sicuramente animò ed appassionò Goethe negli intensi giorni (dal 3 settembre 1786 al 19 giugno 1788) in cui effettuo il suo famoso viaggio in Italia (Goethe, 1817). Quello spirito che induce a considerare insieme gli aspetti fisici, paesaggistici, storico-archeologici, economici, sociali e culturali (nel senso di “filosofia di vita”) che, indubbiamente, fanno del nostro Mezzogiorno – nel bene e nel male – un’inesauribile fonte di sensazioni difficilmente dimenticabili.

Sintetizzando dalla Postfazione di Franco Vitelli, va detto (e anche Rabatana aveva detto) che Rossi-Doria nutriva un amore straordinario per Goethe. La sua predilezione discendeva da Giustino Fortunato, il quale aveva tradotto Le lettere da Napoli,  proprio da Rossi Doria riproposte presso l’editore Guida. Ed ha avuto un posto importante nel processo di formazione culturale di Rocco Scotellaro, che, come lo stesso Vitelli sottolinea nella Postfazione all’Oscar con tutte le poesie di Scotellato del 2004, ha avuto un “occhio prensile” verso le letterature straniere, e interesse per le traduzioni, tra cui la traduzione di Ai Favorevoli (An die Günstigen) di Goethe.

Il terzo capitolo del libro marselliano è intitolato «L’approccio sociologio e la civiltà contadina». Rocco è ricordato per la polemica vivacissima che ebbe con lui il comunista Gerardo Chiaromonte (polemica, invero, che cita lo stesso Chiaromonte del quale Marselli riporta un passo di un suo libro col crociano Giuseppe Galasso sulla questione meridionale). Civiltà contadina, Contadini e luigini sono temi e polemiche aspre, mai veramente chiarite, che causarono divisioni profonde e insanabili. Qui Rocco Scotellaro ha il ruolo di protagonista e di queste questioni bisogna che se ne parli adeguatamente. Ma il riassunto si è fatto lungo ed è opportuno che Rabatana lo riprenda con un prossimo post.

5 Responses to Rocco SCOTELLARO nel racconto del prof. Gilberto MARSELLI sul GRUPPO ROSSI-DORIA a Portici (Prima parte)

  1. Ilaria Levreri ha detto:

    Come sempre contestualizzazione e spunti interessantissimi per chi non ha conosciuto la realtà storica, sociale e politica di quel periodo fecondo e travagliato.
    Come sempre il mio commento è:GRAZIE!

  2. Antonio Martino ha detto:

    Grazie. Il suo giudizio – di persona nota in altra era e vissuta in altro mondo – è generoso e fa molto piacere.

  3. Gilberto Marselli ha detto:

    Come al solito, Antonio compie una preziosa e mai troppo lodata attività, avente per oggetto la tanto famosa “questione meridionale” che, in quasi duecento anni dall’Unità nazionale (sarà bene ricordare che il secondo centenario scatterà appena tra 44 anni !!!), non solo non è stata ancora sanata e superata; ma, anzi, si sono determinate le condizioni negative perché, purtroppo, dovessimo lamentare anche una sorgente “questione settentrionale” non meno problematica e grave.

  4. Angelo Colangelo ha detto:

    Caro Antonio,l’idea di estrapolare dal bel saggio-memoriale di Gilberto Marselli i brani sparsi riguardanti Rocco Scotellaro, sarebbe potuta risultare rischiosa, se non azzardata. Tu, invece, hai fatto un’operazione efficace e comunque rispettosa dell’autore e sei riuscito a focalizzare il ruolo di Scotellaro nel gruppo di Portici, assemblando con sapienza le tue memorie personali con i testi di Marselli. Il tuo “intervento chirurgico”, perfettamente riuscito, è di grande utilità per i lettori e un ulteriore omaggio all’autore di “Mondo contadino e azione meridionalista.
    Congratulazioni, Angelo Colangelo

  5. Antonio Martino ha detto:

    Caro Angelo,I tre anni porticensi di Rocco, durante i quali ebbi frequenti contatti a Napoli e di cui conservo tantissimi ricordi, ma nulla o quai nulla sapevo cosa facesse a Portici, sono tuttora emotivamente coinvolgenti. Non poteva importarmi nulla dell’azzardo. Grazie. Antonio

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