Col terzo capitolo «L’approccio sociologico e la civiltà contadina», continuando con l’apporto dei ricercatori stranieri (colleghi li chiama Marselli anche per la ragione, io credo, che scopriremo poco più avanti) (cap. 4), e  con le esperienze particolari con Friedrich G. Friedmann e i Sassi di Matera, Edward C. Banffield ed il “familismo amorale”, Olaf F. Larson e la “Cornell Technique” (capitolo 5), si entra nella parte viva del libro.

Erano gli anni in cui la questione agraria era prevalente nel dibattito politico, Gli accadimenti di quel periodo e l’evento riforma agraria richiamarono antropologi e sociologi d’oltre Oceano, le cui opere sono state per decenni testi di Antropologia culturale nelle Università americane. Vi furono richiamati anche studiosi italiani, tra cui intellettuali del calibro di Giorgio Seriani Segrebondi e Felice Balbo, dei quali si parla in altre parti del libro. Le stelle polari, anche nel dissenso, naturalmente, erano Manlio-Rossi Doria e Carlo Levi, che rimandavano a Rocco Scotellaro, sindaco di Tricarico.  Gli studiosi americani, attraverso la penetrazione di un’arcaica società lucana, cercavano di capire, non sempre riuscendoci fino in fondo, forse a causa di una piatta lettura del Cristo si è fermato a Eboli, un mondo radicalmente diverso rispetto alle grandi civiltà dell’Occidente, un mondo che, proprio perché rivolto al passato, si manifestava come un insieme di vite, di ambienti, di riti, di atteggiamenti alternativi agli occhi di chi proveniva da mondi ed esperienze lontani. Si parlò di civiltà contadina, aprendo una feroce polemica nella sinistra e non solo. L’apertura verso la Sociologia doveva fare i conti con la forte influenza crociana dell’identificazione della sociologia come scienza empirica, dominante a Napoli ed esercitata specialmente dagli allievi di don Benedetto, tendenti ad apparire più rigorosi del loro Maestro.

Rocco Scotellaro si annunciava come l’aedo di quest’epoca, con statura di capo contadino, ma la sua giovanissima vita, arrivò appena a lambire quest’epoca interessantissima e, vista con gli occhi nostalgici dei contemporanei che sopravvivono, estremamente affascinante.

 Rabatana ha curato una categoria intitolata Civiltà contadina, composta di 13 file densi di notizie e argomenti, con contributi di Gilberto Marselli. Assolto l’obbligo della propaganda a favore del proprio blog, rivolgo l’invito a leggere,  con ben maggiore utilità, per completezza e chiarezza, le parti del libro sopra citate. Segnalo in particolare la cura e precisione con cui è definita la contrapposizione contadini/luigini, per cui Marselli si è misuratamente avvalso del libro del 1950 di Carlo Levi “L’orologio”, facendodo giustizia delle incomprensioni. Il contrasto raggiunse un tale livello che il comunista Gerardo Chiaromonte e il repubblicano Giuseppe Galasso – che Marselli definisce amici del Gruppo – non esitarono a rendere esplicite le loro riserve nei confronti del Gruppo stesso, ma addirittura accusarono implicitamente Rossi-Doria di essere stato complice di una riforma agraria fallita e ridimensionata a mera riforma fondiaria. Chiaromonte, nel difendere le agitazioni nella campagne promosse dal PCI, che avrebbero dovuto determinare le condizioni politico-sociali più favorevoli perché si potesse esercitare una grande spinta ideale e culturale,  in contrasto con la posizione autonomamente e criticamente collaborativa, ispirata, per intenderci, alle indicazioni dell’azione meridionalista rossi-doriana, così ebbe a precisare le sue posizioni: «Ci chiamarono (…) gracchisti. E fummo accusati di essere nostalgici della “civiltà contadina”, dimenticando che su questa storia (…), avevamo avuto, negli anni precedenti, una polemica vivacissima con Rocco Scotellaro e anche con Manlio Rossi-Doria (Chiaromonte e Galasso, «L’Italia dimezzata: dibattito sulla questione meridionale»).

Va ribadito che anche Galasso non esitò ad esprimersi subito dopo in questi termini: «Per quanto riguarda la civiltà contadina, dovrei, però, ricordarti che la battaglia storicistica di un Alicata, ad esempio, contro il mito della civiltà contadina fu del tutto condivisa dalla cultura crociana, al punto che, su questo tema, noi del gruppo di Nord e Sud avversammo in maniera aperta i nostri amici di Portici, da Rossi-Doria a Marselli (op. cit., p. 87). (Si ricordi che Scotellarò premorì alla fondazione della rivista Nord e Sud, e che su questa furono anche pubblicate la ricerca compiuta da Rocco Scotellaro sulla scuola in Basilicata, nell’ambito del piano lucano SVIMEZ, e quella di Rocco Mazzarone sulle condizioni sanitarie nella stesa regione. Sicché, ricordato ciò,  Marselli sembra rimproverare a Galasso di essersene dimenticato).

La polemica con Scotellaro sta soprattutto a testimoniare un clima o una tendenza per cui si attacca Scotellaro per attaccare Rossi-Doria.

L’approccio sociologico fu favorito dall’apporto di scienziati sociali stranieri. Ho già notato che Marselli dice colleghi: in ciò io vedo l’affermazione della pari dignità di una scienza, la sociologia, appunto, avversata specialmente a Napoli dalla dottrina di Croce e dei suoi zelanti allievi.

Terminata la guerra, nell’ambito delle varie iniziative previste dal Piano Marshall fu promosso il programma Fulbright per facilitare gli scambi culturali tra l’Europa e gli Stati Uniti. Va ricordato che del programma Fulbright si avvalse il tricaricese Giovanni De Maria per un triennio di ricerche presso il dipartimento di fisica dell’Università di Chicago, che lo portò ad essere il primo studioso italiano ad essere incaricato dalla NASA a svolgere ricerche sui campioni lunari della Missione Apollo 11, sviluppando poi negli anni successivi ulteriori ricerche sui campioni delle missioni Apollo 12, 14, 15,16 e 17 e ricevendo, dalla NASA, nel decennale del primo  volo umano sulla Luna, uno speciale riconoscimento scientifico della ricerca svolta. Per una singolare circostanza, De Maria, giunto a Chicago col programma Fullbrigt, abitò con colleghi la casa di Banfield, che da Chicago si era recato, con lo stesso programma, a Portici e in Lucania.

I ricercatori americani erano stati invogliati a venire nel Mezzogiorno anche a soprattutto dalla lettura del Cristo si è fermato ad Eboli, pe cui era quasi inevitabile che la scelta cadesse prevalentemente sulla Basilicata.

Tra questi scienziati, un posto del tutto particolare e prioritario va riconosciuto a George Terhun Peck, che fu il primo ad arrivare a Portici. Il suo progetto si concentrò maggiormente su alcuni aspetti da analizzare a livello comunitario, come, per esempio, il loro grado di partecipazione alla vita sociale e politica a livello del proprio paese e, quindi, l’esistenza o meno di uno spirito comunitario. Stabilì la sua dimora a Tricarico in un piccolo appartamento del palazzo ducale e pareva un tricaricese, come tale amava comportarsi. Gli sembrava incredibile recarsi a compiere le sue ricerche, lasciando la porta di casa aperta. Ebbe rapporti di cordiale amicizia e collaborazione con Rocco Mazzarone e Rocco Scotellaro: i tre furono veramente amici, come sanno (o sapevano) essere amici i meridionali. La sua ricerca lo portava, tra l’altro, a frequenti interviste nelle diverse camere del lavoro e sedi di partito. Non ci si può quindi meravigliare se, in piena epoca maccartista, Peck, appena rientrato negli Stati Unit, fu allontanato dall’Università, perché sospettato di simpatie comuniste, e dovette cambiare vita. Per sua fortuna, la sua famiglia era titolare di una nota e fiorente azienda nel campo dell’abbigliamento femminile di una certa classe (la Peck and Peck alla Fifth Avenue), presso la quale assunse l’incarico di provvedere agli acquisti di moda stagionali, che gli dettero la possibilità di compiere numerosi viaggi in Europa e in Italia, per partecipare alle sfilate promosse dagli stilisti europei, molto stimati in America.

La guerra fredda fu un dramma terribile, sempre sul punto di sfociare in una terza guerra mondiale, col ricorso a ordigni nucleari. Sui personaggi di cui si sta parlando, e in particolare di Peck e Banfield, ricordo subito che essi furono ancora vittime, con accuse di segno opposto a quelle mosse dai maccartisti, per ironia della sorte e a causa del clima sospettoso che si viveva anche in Italia. Devo soffermarmi su Banfield. Egli compì le sue ricerche nel comune lucano Chiaromonte, da lui chiamato Montegrano, elaborando in un libro oramai classico tesi che non hanno mai smesso di suscitare un’eco estesa oltre il mondo degli studiosi. Banfield coniò l’espressione “familismo amorale” per spiegare l’arretratezza o, meglio, la mancanza di reazione all’arretratezza di Montegrano. Il libro (The Moral Basis of a Backward Society, Glencoe, III, The Press, 1958),  fu tradotto in italiano dal Mulino di Bologna, nel 1961, col titolo “Una comunità del Mezzogiorno, e fu successivamente ripresentato, dallo stesso editore, nel 1976, con il titolo “Le basi morali di una società arretrata” a cura di D. De Masi. Questa edizione era integrata da una serie di interventi, tra i quali un intervento di Gilberto Marselli, che sintetizzavano il dibattito sociologico suscitato dalle tesi di Banfield. Essendo esaurita questa edizione, l’editore  ha ritenuto opportuno dare la possibilità di leggere l’opera, che è stata riveduta e ripubblicata nel 2010. Del dibattito che si svolse e sviluppò dall’edizione di mezzo secolo fa o, meglio, di ignobili e non suffragate insinuazioni nei confronti di Peck e degli altri ricercatori colleghi americani, ci informa ora Marselli. Quelli, infatti, furono ingiustamente accusati da De Masi di essere anticomunisti e, ancor peggio, al servizio di occulti “corpi separati” operanti negli Stati Uniti, avanzando il sospetto che le loro ricerche  « (…) rispondevano ad un preciso disegno del Governo e di Fondazioni statunitensi per tenere sotto controllo i Partiti marxisti e la classe operaia dei Paesi “alleati” (…)››.  Anzi la sua opera denigratoria si estese fino a coinvolgere anche i ricercatori del Gruppo Portici, avanzando il dubbio se questi, che accompagnavano questi studiosi nelle comunità del Mezzogiorno, fossero all’oscuro dei pericoli politici insiti in queste operazioni culturali o se, e fino a che punto, ne condividessero gli intenti anticomunisti. Marselli aggiunge di aver voluto ricordare questo spiacevole incidente non tanto per quanto riguardava le loro persone e la loro condotta (ossia: di loro ricercatori del gruppo Portici), ma per il rispetto e la sincera gratitudine che sentivano – e sempre avrebbero sentito – nei confronti di quei colleghi che, ben presto, divennero a pieno titolo amici, nello spirito proprio napoletano. Ma anche – aggiunge Marselli, e io sottolineo – perché quelle insinuazioni furono avanzate a ben 23 anni dalla morte di Rocco Scotellaro e, soprattutto, dopo le polemiche avutesi, da parte di autorevoli rappresentanti del mondo comunista nei confronti del Premio Viareggio.

Per ironia della sorte va pure ricordato che Banfield si allontanò dalle posizioni del New Deal, aderì a posizioni della destra repubblicana, divenendo consigliere di diversi presidenti repubblicani, da Nixon a Ford a Reagan.

Ho sopra accennato alle tre esperienze particolari e le ricordo ancora per ripetere l’invito a leggere l’interessante e ben costruito capitolo 5. Ho riferito qualche aneddoto riguardante Banfield e non intendo andare oltre per non turbare la sincerità e la validità del suddetto invito. Ricorderò soltanto che Friedmann giunse a Portici nel 1950 perché Carlo Levi gli aveva suggerito di rivolgersi a Rossi-Doria e a Rocco Scotellaro, il quale, dunque, ebbe rapporti di collaborazione e di amicizia solo, principalmente, con Peck e Friedmann, giunti in Italia e in Lucania prima della sua morte.

La vita di Friedmann è un romanzo e, perciò stesso, bisogna farne cenno. Nato a Monaco di Baviera, fu costretto ad interrompere i suoi studi di medicina a causa delle persecuzioni subite da parte della polizia nazista, perché ebreo e, inoltre, perché sospettato di partecipare alla lotta attiva contro quel regime. Si trasferì a Roma dove si laureò, prima, in Letteratura scandinava e, poi, in Filosofia, così da poter insegnare questa materia in un Liceo romano. Sopravvenute, nel 1938, le leggi razziali fasciste, nel 1939 fu di nuovo costretto a rifugiarsi in Inghilterra. Scoppiata in quello stesso anno la seconda guerra mondiale, si trovò ad essere, in quanto tedesco, cittadino di uno stato nemico, e fu internato. Nel settembre del 1940 arrivò, finalmente, negli Stati Uniti dove, dopo varie vicende, arrivò fortunatamente a poter insegnare Filosofia nell’Università dell’Arkansas. Alla fine della guerra (tra il 1947 ed il 1948) riprese contatto con gli amici lasciati in Italia e, appena si presentò l’occasione offerta dal Programma Falbright, concorse e ottenne una borsa di studio per l’Italia, nel 1950. Come ho detto, Carlo Levi gli suggerì di rivolgersi a Rossi-Doria e a Rocco Scotellaro, ma l’incontro e la conoscenza con Scotellaro subirono un rinvio, perché Scotellaro era in carcere.

L’accenno alla romanzesca vita di Friedmann può bastare, rinviando alle dense e circostanziate pagine di Marselli e, per non dimenticare che Rabatana è un blog tricaricese, ricordo che vi sono due bei libri di cui Pancrazio Toscano è firmatario o cofirmatario.

E qui si conclude il capitolo su Rocco Scotellaro, extrapolato con azzardo dal libro di Gilberto Marselli, come giustamente ha detto l’amico Angelo Colangelo, di cui non mi pento. Ringrazio, saluto e abbraccio Gilberto, amico ritrovato come compaesano.

 

2 Responses to Rocco SCOTELLARO nel racconto del libro del prof. Marselli (2a e ultima parte)

  1. Gilberto Marselli ha detto:

    Come al solito, Antonio non viene meno alla sua importante funzione di richiamare alla memoria dei lettori di questo blog un periodo entusiasmante della nostra storia e delle vicende che, nel bene e nel male, finirono con l’influenzare la vita di ognuno di noi. La sua “ricostruzione/interpretazione” del mio libro è perfetta, salvo qualche errore tipografico (come, per esempio, il titolo in inglese del libro di Banfield che era “The Moral Basis of a Backward Society”; oppure una citazione di De Masi che era stata privata del prefisso “de”). Sciocchezze del tutto insignificanti a fronte del prezioso lavoro fatto da Antonio per questo blog e per noi tutti.

    • Antonio Martino ha detto:

      Caro Gilberto, Mi scuso per i miei sdrucciolamenti secondo l’etimo da cui si fa derivare lapsus, ché di lapsus si è trattato. Ho corretto il titolo originale del libro di Banfield, ho rafforzato la mia camminata aggiungendo i riferimenti tipografici e ho sanato l’amputazione della nobiliare De inferta a De Masi. Grazie per i tuoi generosi commenti, chè ero consapevole di commettere un azzardo (che dovevo a Rocco) e non si sa mai, azzardando,come si finisce. Un abbraccio.

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