(Prova d’addio – Paese giorno e notte p. 24)

 

É L’ORA DI MIGRARE

a un carrettiere

Andiamo, carrettiere che t’alzavi

col segno delle stelle, è l’ora di migrare.

La mula zoppa è pronta nel mortorio

all’ombra delle case.

Ti porteranno in processione, vecchio

che t’alzavi col segno delle stelle

quando il gallo sperdeva gridi innamorati

dall’alto della greppia.

La frusta adesso è consumata

e il carro si è sfasciato che facevi

con quella mula zoppa al bilancino?

Portavi frasche e paglia

un sacco di carrube

memorie per le strade

irnpolverate, nel sole.

Ora t’aggiustano le mani

nella cassa da morto, vecchio

che in un bicchiere di vino

ti sentivi il padrone del mondo.

E voi, uomini con le mani grosse

venite, aiutate sulla collina

dietro la mula zoppa il carrettiere

perché è venuta l’ora di migrare.

 

         I carrettieri di Tricarico erano Raffaele Santangelo, padre di Isabella, l’amore di Rocco Scotellaro (Io non so più viverti accanto/ qualcuno mi lega la voce nel petto/ sei la figlia del trainante/ che mi toglie il respiro sulla bocca/ …), Implicito, di cui non ricordo il nome, e Frëndon, di cui non ricordo il nome e il cognome, che penso fossero sconosciuti a tutti, essendogli rimasto il soprannome Frëndon.
        Era dura la vita dei trainieri: viaggi lunghi lenti faticosi scomodi, sotto il sole, la pioggia e la neve, protetti da enormi ombrelli verdi rigati, che riparavano come tende. Erano gli autotrasportatori di quel tempo, non erano contadini dei grossi paesi pugliesi che, con i loro traini, in lunghe teorie, si recavano nei campi dei latifondi e a sera tornavano al proprio paese e alle loro case. I viaggi dei nostri trainieri duravano diversi giorni, dormivano in taverne tra stormi di topi grossi come gatti, da cui non lasciavano turbare il loro sonno profondo,
         Frëndon era un ubriacone, lo si incontrava sempre ubriaco. Ma la sua faccia tradiva come una pena o un disagio o una malinconia, che suscitavano simpatia, intendendo questo sentimento nel suo significato etimologico.  Mio padre che era un uomo integerrimo, all’antica, austero e severo, al quale una volta raccontai una ciclopica bevuta di Frëndon, disse: « Frëndon è un galantuomo» Un galantuomo – disse mio padre, e non lo disse a caso – non disse, semplicemente, un buonuomo o un brav’uomo.
         Io conosco il momento della composizione di questa poesia dedicata a un carrettiere, Frëndon, che in un bicchiere di vino si sentiva il padrone del mondo, dice Trufelli nella sua poesia; allontanava una pena profonda e sconosciuta, penso io. Era una calda giornata del luglio 1943, la  campanella di San Francesco annunciava il passaggio di un morto. Trufelli era a casa, si affacciò alla finestra e vide passare Frëndon, di ci era venuta l’ora di migrare.
         Il blog Rabatana racconta due viaggi di Frëndon, caratterizzati da singolari bevute. In questi racconti è ricordato col suo soprannome: Fruntón.
      Il Dizionario del dialetto tricaricese di Domenico Langerano ignora il personaggio e ricorda il soprannome, non riferito al carrettiere, ma come connotativo di qualche ragazza che avesse la testa dura come ‘a_méulë Frëndon.
 

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