LETTERA DI UN POETA
 
a Gino Montesanto

La nostra voce, amico

nessuno più l’ascolta;

quaggiù tutto è scontato.

È passata la nuvola nera, la luna

ha fatto cento viaggi sulle case

ed è passato Rocco come un tuono

ha squassato l’aria dei paesi

le campagne nostre.

E Rocco è morto

nessuno più lo piange.

I padri quaggiù hanno perduto

il cuore di una volta.

L’antico urge ancora, inutilmente,

la città è cresciuta, i figli

si danno a impossibili sogni

i vecchi sono stanchi.

E io ragazzo con un fiore di carta

rosso verde azzurro, io ti dico

la mia voce è persa

e solo i fiumi cantano lungamente

giorno e notte, dimenticati.

Matera, 1957

La nota alla poesia, pubblicata a p. 214/5 di «Prova d’addio» sostiene che assai probabile stimolo alla composizione fu il brano della lettera (di Gino Montesanto a Mario Trufelli) così riportato nella stessa nota: «Che veramente le torme dei bambini che ho visti per le strade abbiano un avvenire meno duro che i loro padri. Ma non ho molta fiducia e il povero Rocco in faccia al grande letto grigio del suo Basento continuerà a non avere pace perché la sua protesta c’è pericolo che col tempo somigli ad una favola».

La data di composizione è il 1957 e in quel periodo Gino Montesanto venne a Tricarico accompagnato da Mario Trufelli per un incontro nel salone a pianterreno del seminario, che aveva un palcoscenico per le recite e … i comizi. Mario ci presentò: Montesanto era un bell’uomo, alto, biondo con occhi cerulei. Lessi un suo libro, non ricordo quale e di che cosa parlasse, né tra i miei libri c’è uno suo. Stando alle date, si dovette trattare di Sta in noi la giustizia (1952) o di Cielo chiuso (1956). Pubblicherà altri quattro romanzi:  La cupola, 1966; Il figlio,  1975, Le impronte, 1980; Così non sia, 1985, Re di sabbia, 1991; Sottovento, 2002. Vincerà tre volte,  nel 1966, nel 1975 e nel 1985, il premio selezione Campiello, e nel 1980 il premio Basilicata.

Nel 1972 pubblicherà un volume di racconti intitolato Prima parte e, nel 1976, un diario di un viaggio in Unione Sovietica, intitolato Fino a Jürmala.

Veneto di nascita, ma formatosi in Romagna, a Cesenatico, con il poeta Marino Moretti inizia a scrivere giovanissimo e sotto le armi forma uno stretto sodalizio con un gruppo di intellettuali ed artisti che sarebbe proseguito per tutta la vita, tra cui, per citare i più noti, Michele Prisco e Mario Pomilio. Notevole la sua produzione letteraria, con stile narrativo di espressione realista e forte matrice cattolica.

Trasferitosi a Roma nel secondo dopoguerra, esercita attività di scrittore e giornalista. Fonda la rivista Leggere, di cui è stato redattore capo e direttore, e la più nota rivista La Fiera Letteraria.

Ha lavorato anche come autore di programmi e come sceneggiatore per la RAI curando numerosi programmi culturali televisivi e radiofonici.

Io e Mario lasciammo Tricarico e di Gino Montesanto (e di tant’altro) non abbiamo più avuto occasione di parlarne. Nelle librerie il mio sguardo non cadeva su un suo libro né lo cercavo e la sua voce non giungeva al mio orecchio.

Lo stimolo del frammento di lettera sopra riportato è raccolto da Trufelli in quattro strofe di struggente lirismo. Non si ascoltano i poeti, la sua voce e quella di Gino. Rocco è morto e nessuno lo piange. (A vent’anni dalla mote di Rocco, tentai, con uno scritto rimasto segreto tra e mie scartoffie, di suscitarne il ricordo lamentando che Rocco fosse del tutto dimenticato, tanto da parere che non fosse mai esistito). Quaggiù (ma solo quaggiù?) i figli si danno a impossibili sogni e i vecchi sono stanchi. Il lamento si chiude con lo stupendo distico finale, dove ogni voce è  persa, resta solo la voce perenne dei fiumi, col loro inascoltato canto notte e giorno, dimenticati.

Volendo pubblicare questa poesia su Rabatana, e volendo dire quale scrittore è stato Gino Montesanto, ho cercato ma nulla ho trovato nelle antologie e nelle storie letterarie. Persino in una ciclopica storia della letteratura italiana, che al Novecento dedica due volumi con circa 3.000 pagine, il nome di Gino Montesanto non c’è. La poesia annotata sembra una profezia.

P.S. La ricerca mi ha fatto scoprire un articolo di Raffaele Nigro sul quotidiano cattolico L’Avvenire del 12 luglio 2014, cinque anni dopo la morte di Montesanto, dove lo scrittore di Melfi tesse un resoconto della narrativa dello scrittore veneto-romagnolo. Chi fosse interessato, può leggerlo facendo clic qui.

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2 Responses to Mario TRUFELLI, Lettera di un poeta (a Gino Montesanto)

  1. Gilberto Marselli ha detto:

    Opera pregevole questo tuo ritrovare antichi riferimenti a personaggi che, come Gino Montesanto, avrebbero meritata più accurata attenzione. Purtroppo, questo accade in una società che ha perso il rispetto di certi preziosissimi valori. Meno male che tu, con Rabatana, supplisci così meritevolmente a questa carenza….Grazie Antonio. Gil

    • Antonio Martino ha detto:

      Grazie, GIL.Io non ho conosciuto Gino Montesanto se non nell’occasione ricordata e ho letto solo suo suo libro, dimenticandolo. So che Mario Trufelli era stretto a lui da forte fraterna amicizia. Azzardo che sia stato messo da parte e dimenticato a causa della forte matrice cattolica del suo stile narrativo.
      Buon fine settimana.

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