10 GIUGNO 1940 – Un bambino di 10 anni ricorda l’entrata in guerra dell’Italia 77 anni fa
Il 10 giugno 1940, 77 anni fa, mancavano pochi giorni al compimento del mio decimo anno di vita. Fu annunciato un discorso del duce e si sapeva che avrebbe comunicato l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania, che aveva praticamente conquistata tutta l’Europa. La Francia era allo stremo e stava per chiedere l’armistizio. L’Italia doveva entrare in guerra per sedersi tra i vincitori al tavolo della pace: così dicevano tutti.
Può sembrare incredibile che ogni dettaglio di quel giorno, che mi accingo a raccontare, sia rimasto per tutta la vita impresso nella mia mente.
Abitavamo ad Accettura, allo Scarrone. Tutto il vicinato, una ventina di persone, si riunirono a casa della vedova Romano. Io credevo che la signora Romano fosse una farmacista e che avesse la farmacia a casa sua. In realtà il marito, farmacista, era morto improvvisamente, e la signora continuò ad esercitare da casa sua il servizio farmaceutico. Non so se il “vero” farmacista, il dott. Onorati, avesse reagito a questa situazione illegale. La farmacia del dott. Onorati si chiamava farmacia del corvo e nella farmacia, su un trespolo, c’era un corvo nero parlante. Ad Accettura un grande monolite di arenaria, detto Pietra del Corvo, domina la valle della Salandrella, i corvi erano padroni della foresta che circondava il paese e tuttora offre uno stupendo panorama, e Carlo Levi ricorda “il vecchissimo corvo Marco che sta da secoli nella piazza come un dio locale e svolazza nero sulle pietre”. Ricordo peraltro credenze popolari secondo cui il corvo, essendo in contatto con il Grande Spirito, può guarire la persona che lo invoca. Sono molte le spiegazioni, dunque, che spiegano la presenza del corvo nella farmacia. Il corvo si ciba di carni e lasciava le sue feci puzzolenti nella farmacia, non pulita con cura: il puzzo, nonché il timore delle beccate del corvo, tenevano lontani i potenziali clienti.
Eravamo circa una ventina ad ascoltare il discorso del duce. Credo che tutto il vicinato avesse voluto vivere unito quel grave momento storico. Ascoltammo il discorso in assoluto silenzio, non si sentiva volare una mosca, in piedi. Nella mia mente è rimasta impressa, persino nel tono di voce, la seguente frase: «La dichiarazione di guerra è stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia». Per un po’ di tempo mi prese il rovello di capire cosa fosse successo degli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia, giacché per consegnare loro la dichiarazione di guerra, essi dovevano essere in Italia. Qualcuno, forse mio padre, il rovello me lo sciolse subito. Ma non avevo mai riflettuto sul fatto che diplomatici di Paesi in guerra con l’Italia andavano ai e venivano dai loro Paesi come ambasciatori e diplomatici addetti alle Ambasciate accreditate presso la Città del Vaticano. Tali ambasciate avevano sede a Roma!
Dopo il discorso del duce mi recai di corsa in piazza. Mi aspettavo una imponente manifestazione popolare. La piazza era deserta, una quindicina di ragazzi tentarono, senza riuscirci, di dar corpo a una manifestazione. Con tutto il fiato che aveva in gola qualcuno gridava: “Per le due Potenze vincitrici eia eia”, gli altri rispondevano “alalà”, ma nessuno si univa al minuscolo corteo, che corteo non si può chiamare, perché non si mise in marcia. Rimasi deluso, ma non compresi il significato del fallimento della manifestazione.
Quella sera le luci dell’illuminazione pubblica rimasero spente. Aveva avuto inizio l’oscuramento, che si protrasse per tutto il periodo bellico.
Il giorno dopo mio padre comperò “Il Popolo d’Italia””, quotidiano fondato da Benito Mussolini. Il giornale aveva un grosso titolo a tutta pagina: «Popolo italiano corri alle armi». Sotto, al centro della pagina c’era il discorso del duce «Parla Mussolini», a sinistra un articolo intitolato «Guerra», firmato Giorgio Pini, a destra c’erano i «Messaggi del Führer al Re Imperatore e al Duce».
Questo ricordo dall’11 giugno del 1940! Anche, e lo sottolineo, quel nome Giorgio Pini, che firmava l’articolo a fianco del discorso del duce. Giorgio Pini! Non ho mai dimenticato quel nome, sebbene non sapessi chi fosse, non l’avessi mai sentito nominare tra i gerarchi del fascismo o visto nei film Luce. Perché gli era stato concesso tanto onore?
Passano gli anni e i decenni. Lavoravo a Bologna, un mio collega, col quale si stabilì una cordiale reciproca amicizia, si chiamava Guido Pini. Guido era comunista. E dire i casi della vita: Guido aveva conosciuto Gilberto Marselli, se proprio non erano diventati amici, quando la famiglia di Gilberto si era trasferita a Bologna Erano due ragazzi. Un giorno venni a sapere che Guido era il nipote di Giorgio Pini, proprio quello che aveva firmato l’articolo intitolato “Guerra” pubblicato a sinistra del discorso di Mussolini. Giorgio Pini era stato un giornalista, fascista della prima e dell’ultima ora. Aveva partecipato all’assalto di Palazzo d’Accursio, era stato direttore del bolognese Il Resto del Carlino, aveva lavorato in alcuni giornali. Nel 1936 Mussolini lo nominò redattore capo del “suo” giornale. Nominalmente il direttore era Vito Mussolini, figlio di Arnaldo, fratello del duce, ma, tranne un periodo di tre o quattro mesi, non esercitò mai la funzione. Di fatto, quindi, le funzioni di direttore del giornale del duce furono svolte da Giorgio Pini, dal 1936 al 25 luglio 1943. Mussolini, che aveva una bella tempra di giornalista, tutte le sere telefonava a Pini per discutere e dare disposizioni sull’impostazione del giornale. Pini annotava il contenuto della conversazione.
Dopo l’armistizio Giorgio Pini aveva aderito alla repubblica sociale, del cui governo fece parte come sottosegretario al ministero dell’interno, fu quindi tra i fondatori del Movimento sociale e fautore di altre effimere iniziative nostalgiche del fascismo, e mai rinnegò la sua fede fascista, direi, meglio, mussoliniana. Egli di Mussolini era innamorato. Mi diceva Guido, il nipote, che pare che una volta lo zio avesse votato Nenni, perché Nenni gli ricordava Mussolini per l’aspetto e l’antica amicizia tra le rispettive famiglie. Ora, vedovo, senza figli e avanti negli anni, viveva solo con i suoi libri e i suoi ricordi. Guido, il nipote comunista, gli stava vicino e spesso gli faceva visita. Io l’accompagnai due o tre volte.
Devo dire che molti anni prima, per ragioni di lavoro, avevo incontrato Dino Grandi, l’autore dell’ordine del giorno al gran consiglio del fascismo che causò la caduta di Mussolini. Fu molto cortese, e fu una cortesia che apprezzai quella di essere lui a riceverci (me e un mio collega incaricati di non ricordo che), al posto del personale addetto alla modernissima azienda agricola, visitata persino dal ministro della meccanizzazione agricola dell’Unione Sovietica, motivo della nostra missione. Saputo che sono lucano, Grandi mi disse: – Il vostro Colombo è uno statista, uno dei pochi statisti che vanta il nostro Paese. Quando vado a Londra (dove Grandi era stato ambasciatore) i miei amici mi dicono: – Voi italiani siete proprio strani. Avete un uomo come Colombo e non lo fate ministro degli esteri! – Con questa apertura vinsi la mia timidezza e il mio ritegno e tentai di far scivolare la conversazione sulla seduta del gran consiglio. A lui piaceva conversare e farci visitare l’azienda (intestata non a lui, ma alla nuora), ci trattenne a lungo, conversò molto, ma naturalmente, con la sua consumata arte politica e diplomatica, pur non dandolo a vedere, non disse nulla che non si sapesse.
Torno a Giorgio Pini. Egli aveva pubblicato una selezione delle conversazioni con Mussolini in un libro intitolato «Filo diretto con Palazzo Venezia», che conobbe diverse edizioni, ma era divenuto introvabile. Gli chiesi di prestarmelo, volentieri me lo prestò e ne fu felice. Di quel libro ricordo il racconto dell’ansia, ogni sera, dell’attesa (attesa di ascoltare la voce di Mussolini e di parlare con lui), e l’infelicità di quei tre o quattro mesi in cui Vito Mussolini esercitò le funzioni di direttore, e lui, con Mussolini, non parlò.
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Ricordo benissimo di aver avuto un compagno di scuola al Ginnasio Galvani che si chiamava Pini (ricordavo che fosse lui a chiamarsi Giorgio e non già, come tu ricordi, Guido) con il quale avevo forti discussioni perché io, seguendo mio padre (che pur era Ufficiale dell’Esercito)seguiva piuttosto il Partito d’Azione, avendo partecipato alla Resistenz militando in quelle Brigate. Era un giovane molto interessante e stimolante. Che bella coincidenza: come mai hai collegato il mio nome a quello di Guido Pini a tanti anni di distanza ? Che ci facevi tu a Bologna ? Illuminami. come sempre sai fare tu…..(Il mio compagno Pini abitava vicino a casa mia, in quella strada che collegava Piazza Giordni (sede del tribunale) e via Arienti (dove abiavo io) vicino alla via del Cestello)
A Bologna ho lavorato una ventina d’anni, facendo il pendolare da Ferrara. Guido era un mio collega, sebbene fossimo impegnati in organismi istituzionali diversi, e tra noi, come ho scritto, si stabilì una cordiale e reciproca amicizia. Guido fu colpito da una severa patologia invalidane, che affrontò con forza e dignità fino alla fine, rifiutava qualsiasi tipo di aiuto. Che vi siate conosciuti può avermelo detto Guido o puoi avermelo detto tu, più probabilmente, direi sicuramente Guido.Stranamente i miei migliori amici erano comunisti, io che ero vaccinato dal comunismo, grazie al mio crociano insegnante di latino e greco, con una buona dose di “ircocervo”.
Ciao, Antonio. Bella e interessante la tua rivecazione storica. Desidero solo puntualizzare che il corvo Marco, citato da Carlo Levi nel suo “Cristo si è feramto a Eboli, campeggiava nella piazza di Stigliano, attuale piazza Garibaldi, vicino alla pompa di benzina. Esso apparteneva, appunto, al proprietario di quest’ultima.
Grazie, Angelo, per la puntualizzazione. Invero ho un po’ barato: avrai notato che ho citato tra virgolette le parole del Cristo, omettendo volutamente che il vecchissimo corvo Marco campeggia da secoli sulla piazza di Stigliano. Ma il corvo Marco non poteva che essere arrivato a Stigliano provenendo dalla foresta che abbraccia Accettura.