Il quarto romanzo del filosofo e romanziere tricaricese Nunzio Campagna è stato presentato a Tricarico, alla presenza di un folto pubblico, lunedì sera, 21 agosto. Ha suscitato curiosità la presenza di una persona dall’apparente età dei settant’anni avanzati, non riconosciuta, allontanatasi dalla sala nel topico momento più propizio per sgattaiolare: alla fine della presentazione, quando ci si affolla intorno all’autore, per stringergli la mano, salutarlo e complimentarsi. Anche il misterioso ascoltatore si avvicinò e gli porse la mano, senza proferire parola. Qualcuno ha detto che ripartì immediatamente, che fosse un tricaricese che dal paese mancasse da una quarantina d’anni, e ha fatto il suo nome, un nome conosciutissimo, che non svelo. Se ci tiene tanto al mistero, avrà i suoi motivi.

Sono in attesa di ricevere una copia del romanzo, del quale conosco solo la “parola macedonia” Torregrupata, che costituisce il titolo. Non sapendo nulla, che altro posso fare se non cincischiarci sopra?, certo che il mio colto e ironico amico Nunzio sorriderà su questo mio cincischiamento. Egli certamente sa che l’espressione parola macedonia ha nobile origine, e probabilmente gli piace ogni specie di macedonia. L’espressione è stata introdotta nella linguistica italiana da Bruno Migliorini, linguista, filologo ed esperantista, noto per aver realizzato la prima storia scientifica della lingua italiana e per essere stato per vari anni presidente dell’Accademia della Crusca.

Nella sua concezione, nota anche con il nome di neopurismo, il compito dello studioso non è solo quello di limitarsi a descrivere la realtà linguistica, ma di intervenire attivamente nello sviluppo dell’italiano, tendendo a escludere dalla lingua quelle voci straniere e quei neologismi che siano in contrasto con la struttura della lingua, favorendo, invece, i neologismi necessari e ben foggiati.

Credo che Migliorini avrebbe trovato ben foggiato il titolo del nuovo romanzo di Nunzio. Per lui la parola macedonia denota formazioni che risultano da «una o più parole maciullate» (per fare una macedonia bisogna “maciullare” i vari elementi) «messe insieme con una parola intatta». Migliorini pensava in particolare a quei casi (e invero anche ad altri, che qui sarebbe superfluo dire) in cui una formazione deriva dalla fusione di un pezzo (da lui chiamato anche «troncone» o «mozzicone») di una o più parole con un’altra parola intera, cioè il tipo Cogepesca < Confederazione generale della pesca.

Torregrupata è un chiaro esempio. Alla parola torre sono uniti i resti maciullati della parola sgarrupata, ripulita della ‘s’, della ‘a’ e di una due ‘r’. Coloro che parlano bene, invece della parola macedonia, preferirebbero dire sincrasi o neologismo sincretico o, ahimé!, composto aplologico. Io preferisco la gustosa macedonia Torregrupata.

Il vocabolo sgarrupato (participio passato del verbo sgarrupare: ma si dice anche scarrupare) è preso in prestito dal dialetto napoletano e, con non poche altre voci dialettali, costituisce un indicatore dello stato di aggregazione linguistica delle regioni italiane, anche se è prevalentemente adoperato da autori di origine meridionale e campana in particolare.

Su un quotidiano fu pubblicato che sgarrupato era un termine inesistente nella lingua e nel vocabolario italiano. Una mattina arrivò in libreria uno smilzo libretto di nemmeno 150 pagine che conteneva sessanta temi di bambini del  comune napoletano  Arzano, oggi importante centro industriale dell’area metropolitana di Napoli, raccolti a cura del loro maestro Marcello d’ Orta sotto il titolo Io speriamo che me la cavo. E fu subito successo. La parola sgarrupato, significante sfasciato disastrato sporco rovinato, entrò da allora nel lessico quotidiano, non disdegnato da scrittori. Un bel colpo per l’autore dell’articolo, ma pare che qualche secolo prima Giordano Bruno avesse detto “su un altare sgarrupato non si accendono candele”, ripetendo, invero, un diffuso detto popolare.

Con la trepidazione di questi giorni in cui la fragilità di Ischia ha ancora una volta provocato morti e rovine, ricordo la Scarrupata di Barano, appunto ad Ischia: un sentiero fantastico, ma riservato a chi non soffre di vertigini e non teme le salite impegnative.

 In senso inverso occorre anche considerare il coefficiente di penetrazione’ dell’italiano nel tessuto linguistico di regioni storicamente dialettali, dopo 150 anni dal raggiungimento dell’unità di quell’Italia che Alessandro Manzoni auspicava «una d’arme, di lingua, d’altare, di memoria, di sangue, di cor» (“Marzo 1821”).

Con sgarrupato Marcello D’Orta, secondo me, ha esagerato. Ha pubblicato due libri (salvo che non ne ignori altri) che nel titolo hanno questa parola: Il maestro sgarrupato e Fiabe Sgarrupate. Il primo non l’ho letto, le Fiabe, dopo averne letta qualcuna, le ho messe da parte. Secondo me D’Orta l’ha azzeccata a definire sgarrupate le sue fiabe, che sgarrupate sono davvero, senza alcuna ironia. Lo scrittore delle elementari di Arzano ha avuto la pretesa  di riscrivere le favole classiche con umorismo napoletano, e, a mio giudizio, ha fallito.

Risultano sgarrupate  un centinaio di favole di Hans Christian, Charles Perrault, Robert Browning, Oscar Wilde, Giovan Battista Basile, Esopo, Fedro, Jean de La Fontaine. Sostiene D’Orta che queste favole hanno sempre un lieto fine. E però, prima che il buono trovi la sua ricompensa; il brutto diventi bello; il povero ricco, e così via, bisogna passare tra avversità e sfortune! E anche il lettore deve pagare il suo “scotto”, dovendo spesso fare i conti con la paura, la truculenza e l’orrore. Prima di giungere al riscatto, è sempre necessario pagare un pedaggio salato. A D’Orta questo dispiace. Con buona pace dei vari Andersen, Grimm, Perrault, “rivisita” i loro racconti, li sfronda dell’elemento “gotico” e fa (crede di fare) loro un’iniezione di umorismo. Alla favola cambia, per così dire, i connotati. Ma li cambia proprio di brutto.

A questo punto il cincischiare intorno alla torregrupata diventa davvero ardua impresa senza aver letto neppure un rigo del romanzo di Nunzio. Torregrupata è un neologismo, che vale per tutte le torri sgarrupate sparse in Italia, o è la parola macedonia che Nunzio ha foggiata per una torre di Tricarico?

Mi piacerebbe apprendere che così sia e che la torregrupata di Tricarico è la Saracena. A chi mi opponesse che la Saracena è stata ristrutturata, risponderei che la vecchia Saracena non era sgarrupata e lo scorrere dei secoli l’avevano resa sempre più bella. Chi ha qualche anno di troppo sul groppone la ricorda e la rimpiange. I più giovani possono vederla in fotografia e rendersi conto che sgarrupata è l’attuale torre, ristrutturata di sghimbescio. La vecchia torr io e mia moglie l’ammiriamo in un bel quadro.

La vecchia torre era un luogo ideale per i fugaci amori e ha lasciato teneri ricordi. Non fu la sola ad amoreggiare tra i suoi ruderi, ma era una delle più belle ragazze di Tricarico, se non la più bella. Pagò il fio della sua avvenenza con una vigliacca persecuzione. Le affibbiarono il soprannome “La Torretta” e frotte di ragazzi le gridavano dietro: a Turrèeee, a Turrèeee. Si era alla fine degli anni Quaranta, nel passaggio al decennio successivo.

6 Responses to Alla ricerca della Torregrupata

  1. domenico langerano ha detto:

    Caro Antonio sei sempre meravigliosamente interessante, la torretta che per noi tricaricesi per antonomasia era quella della saracena, Nunzio ha affermato che il suo riferimento é stato il rudere del castello che sovrasta Brindisi di Montagna. nel mio intervento ho affermato che il libro viene scritto dall’autore, ma chi lo legge diventa registra del filmino ambientale che crea ognuno che legge e anche per me la torretta é quella di Tricarico.Un abbraccio
    Mimmo

  2. domenico langerano ha detto:

    Quanto alla tenerezza dei ricordi ti riporto quanto scritto da me nel dizionario:
    Il restauro (si fa per dire!) della torretta richiede una breve annotazione dal momento che il risultato finale è per l’80% una falsa ricostruzione.
    Con un primo intervento venne ricostruita una piccola fabbrica cilindrica (una sorta di avamposta garritta a piano terra) che portava alla torretta vera e propria e della quale era rimasta solo una metà (tagliata verticalmente in una sorta di romantica e tenera sezione); ultimata questa aggiunta il resto/sezione della torretta finì per rovinare.
    Fu necessario quindi un secondo restauro che ha portato alla costruzione ex novo del piano superiore della torretta.
    Meglio non infierire sul risultato anche del recente restauro della porta: a Tricarico molti interventi eseguiti dalla mano pubblica sui beni culturali hanno conseguito risultati molto scadenti e in alcuni casi nefasti, il più delle volte sotto la guida delle soprintendenze o dell’ex Genio Civile!

    • Antonio Martino ha detto:

      Grazie, caro Mimmo. Mi dispiace di non aver pensato di consultare il tuo dizionario,perdendomi i bellissimi versi di Michelino Guerrieri, che non conoscevo, e il tuo giudizio sul ‘restauro’ della torretta e della porta (dove hai pubblicato questo giudizio?).
      Permettimi di ricordarli qui quei magnifici versi:

      Che senso ha quel teatro greco
      di pietra bianca e lavorata
      dove il dolore e la povertà
      erano di casa?
      Vezzo di superbia irriguardosa
      schiaffo e insulto alla miseria raccontata
      dalle pareti scalcinate,
      dalle grotte scavate nella roccia,
      tane per uomini ed animali”

  3. Gilberto Marselli ha detto:

    Come cittadino tricaricese, mi vergogno di non essere all’altezza delle vostre alte disquisizioni linguistiche, strutturali e toponomasthce. Mi viene solo da notare, a margine, che, per fortuna, in questa Italia tanto “sgarrupata”, possiamo godere di avere nel nostro amico e vate Antonio un valido punto fermo, che conferisce stabilità e resistenza a tutto il gruppo di fedeli adepti alla Rabatana A proposito di curiosità, da un amico napoletano mi sono state chieste informazioni suggli “orti saraceni”. Purtroppo, mi sono dovutio limitare a dare quelle poche note rinvenibili in Internet. Potete aiutarmi ? Grazie….

  4. Mery Carol ha detto:

    Certi tricaricesi sono misteriosi per indole, chissà! Certamente c’è in loro una forte componente di riservatezza e di disagio ambientale.
    Per quanto riguarda la torretta, anche per me è sempre stata quella della Saracena.
    Grazie, Antonio! La tua opera è davvero meritoria.

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