ADDIO A GIOVANNI RUSSO

VOCE DEL MERIDIONALISMO

Giovanni RUSSO, l’ultima voce del meridionalismo, si è spento ieri, 25 settembre 2017

RABATANA lo ricorda con un articolo di Andrea di Consoli pubblicato su IL MATTINO di oggi 26 settembre e con una mia lettera indirizzata a lui  proprio il 25 settembre 2001. Nei prossimi giorni Rabatana lo ricorderà con altri suoi scritti.

Si è spento ieri a Roma, città nella quale viveva dal 1947, Giovannino Russo, uno dei più importanti giornalisti e saggisti riconducibili all’aurea stagione del meridionalismo classico. Nato a Salerno nel 1925, era cresciuto in Basilicata, a Potenza, città nella quale aveva contribuito alla fondazione del Partito d’Azione. Dopo un proficuo apprendistato nella redazione de «Il Mondo» di Pannunzio, Russo divenne inviato speciale del «Corriere della Sera», sulle cui colonne raccontò con rigore e puntualità il tramonto della lunga e oppressiva stagione feudale. Quei reportage divennero un libro, uno dei più importanti reportage narrativi meridionalistici: Baroni e contadini (Laterza, 1955), che quello stesso anno vinse il premio Viareggio. Appena un anno prima, alle memoria, lo stesso premio, con È fatto giorno, lo aveva vinto il simbolo del riscatto contadino meridionale, Rocco Scotellaro, morto a soli trent’anni nel 1953 praticamente inedito per infarto.

Di formazione azionista, Russo si è sempre tenuto alla larga dalle due principali ideologie del dopoguerra, preferendo un approccio realistico, laico, riformistico e «terzista». Nonostante ciò, non subì ostracismi di nessun tipo, in questo aiutato da un carattere mite e da una simpatica vena mondana. Non a caso agli anni della «dolce vita» romana, che visse proprio durante gli anni pannunziani, dedicò un gustoso memoir intitolato Con Flaiano e Fellini a Via Veneto (Rubbettino, 2006). Di quella Roma lì Giovannino Russo ebbe sempre nostalgia.

Tra i temi che Russo affrontò nelle sue inchieste e nei suoi libri vanno almeno ricordati la povertà (L’Italia dei poveri, Longanesi, 1958), l’emigrazione dei meridionali all’estero, l’obbligo scolastico e il terremoto in Basilicata e Irpinia del 1980 (Terremoto, Garzanti, 1981, scritto insieme a Corrado Stajano). Per almeno quattro decenni Russo ha raccontato i cambiamenti sociali, economici e culturali del Sud, sempre con rigore, con severità politica e con uno stile sorvegliato, documentato e mai demagogico, nemmeno di fronte alle situazioni di sottosviluppo più insostenibili e scandalosi. Nella saggistica di Russo ci fu anche una parentesi internazionale in realtà viaggiò molto – ma il tema meridionale rimase predominante. Nel 1963, infatti, pubblicò L’atomo e la Bibbia (Bompiani, 1963), un viaggio-inchiesta in Israele in compagnia di Vittorio Dan Segre. E anche la scelta di occuparsi di un paese come Israele, nell’Italia del tempo in larga parte filo-palestinese, dice qualcosa del coraggio dolce e non ostentato di questo meridionalista che non alzò mai il tono della voce, nemmeno quando avrebbe potuto approfittare del ruolo di «intellettuale controcorrente».

A partire dagli anni ’90 il giornalista sul campo cedette il passo al polemista e al memorialista. Da un lato Russo iniziò a ricordare volti, storie e leggende della Roma degli anni ’50 e ’60, di cui subì il fascino mitologico, specie ricordando amici quali Talarico, Fusco, De Feo e Flaiano, indimenticabili «irregolari» di quella Roma letteraria indolente, geniale e dispersiva dominata un po’ oppressivamente dal magistero egemone di Pasolini e Moravia. Su questo tema vanno almeno ricordati Flaianite (Schewiller, 1990) e Oh, Flaiano! (Avagliano, 2001). Dall’altro intensificò la sua saggistica polemica contro i pregiudizi anti-meridionali del Nord, specialmente negli anni dell’ascesa politica di Umberto Bossi. Due titoli su tutti: I nipotini di Lombroso. Lettera aperta ai settentrionali (Sperling&Kupfer, 1992) e Sud specchio d’Italia (Liguori, 1993). Queste polemiche Russo le affrontò senza nessuna indulgenza verse la corruzione e il clientelismo delle classi dirigenti meridionali, ma portando esempi concreti virtuosi come per esempio la Catania «innovativa» degli anni ’90 (Il futuro è a Catania, Sperling & Kupfer, 1997). Proprio al culmine della propaganda secessionista leghista, Russo decise di ripercorrere il viaggio dei Mille garibaldini, per capire concretamente quali fossero le ragioni ancora vive dell’unità nazionale. Quell’esperienza divenne un libretto, intitolato È tornato Garibaldi (Avagliano, 2000), che fu un discreto successo editoriale di quell’anno, e che diede man forte al neo-patriottismo dell’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, che proprio in quegli anni iniziò a ripensare in chiave moderna, dopo anni di anti-patriottismo ideologico, il concetto di patria. Nel 2003 Goffredo Fofi, un intellettuale per certi versi distante da Giovanni Russo, decise di omaggiarlo con un’antologia dei suoi scritti più significativi (intitolata La terra inquieta. Memoria del Sud, Avagliano), e che rimane ancora oggi il miglior modo per entrare nell’opera di questo importante giornalista-scrittore.

Ma c’è anche un altro aspetto di Russo che va ricordato, benché obiettivamente «minore»: quello narrativo. In fondo Russo si impose fino a tarda età di non scrivere narrativa, forse perché troppo immerso nel lavoro giornalistico, o forse perché subì eccessivamente la geniale vocazione sregolata degli scrittori della sua giovinezza. In vecchiaia sfidò il tabù e diede alle stampe due libri di racconti: Le olive verdi (Scheiwiller, 2001) e I cugini di New York (Scheiwiller, 2003). Con Le olive verdi vinse anche un Premio Strega speciale nel 2001, ma Russo era troppo intelligente per non capire che come narratore «puro» non aveva mai trovato una voce originale. Eppure, nonostante questo, salì sul palco con il consueto sorriso mite e un po’ spaesato, felice di essere abbracciato con un applauso commosso da quella civiltà letteraria che era stata, dopo il repentino tramonto della civiltà contadina, la sua vera famiglia.

Andrea Di Consoli

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25 settembre 2001

 

Egregio Dott. Russo,

Le rinnovo il ringraziamento per il piacere provato leggendo i tre Suoi ultimi libri (il terzo, a cui non si accennò nel corso del nostro brevissimo incontro è, ovviamente, Olive verdi), piacere che si rinnova da 50 anni. La prima cosa che lessi di Suo fu, 51 anni fa, il testo del telegramma di solidarietà per l’arresto di Rocco Scotellaro. Ero a casa di Rocco con Antonio Albanese, seduti in cucina attorno al tavolo, e leggevamo lettere e telegrammi ai tanti contadini che venivano a consolare la povera madre, spiegando chi erano le persone che scrivevano. Fui io ad aprire e a leggere il Suo telegramma, ma non fui in grado di spiegare chi Lei fosse; e non ricordo se ne fu capace Antonio Albanese. La lacuna fu però presto colmata.

Lo scopo di questa lettera, come ricorderà, è segnalare alcune imprecisioni rilevate nella Lettera a Carlo Levi. Ne ricordo tre.

Prima. Avrei qualche dubbio che la foto in copertina sia del 1945. Secondo i miei ricordi Levi tornò in Basilicata nel 1946 in occasione della sua candidatura all’Assemblea Costituente, come mi pare che, ultimamente, confermi Un torinese del Sud, pag. 174 s .

Seconda. A pag. 68 Lei scrive nel quarto paragrafo: «Frequentò la seconda liceale a Trento a casa di una sorella e prese la licenza liceale a Tivoli nel 1942, dove si manteneva come istitutore nel Collegio Nazionale». Vero è che Rocco a Trento, ospite della sorella Serafina, frequentò la seconda liceale e, come si diceva, «fece il salto», dando gli esami di maturità. Quindi si iscrisse in giurisprudenza Roma, perché aveva trovato occupazione come istitutore a Tivoli. Di questo intelligentissimo allievo meridionale scrisse poi il cattolico Giovanni Gozier, che di Rocco era stato professore a Trento e l’aveva incoraggiato a «fare il salto». Purtroppo non trovo lo scritto di Gozier.

Terza. A pag. 75 Lei scrive nel secondo paragrafo: «Da Portici scrive all’amico Antonio Albanese quando comincia a stare male, parlandogli delle visite dei medici. Ha come una premonizione e scrive alla mamma l’ultima lettera prima di morire, una lettera commovente in cui annuncia che andrà al Paese, che pensa di avere un reuma molto forte al petto».

Vero è che Rocco aveva cominciato a star male più di una settimana prima della morte, a Irsina ed era in compagnia proprio di Antonio Albanese. Passarono la notte in bianco, Rocco stava malissimo, e l’indomani tornarono a Tricarico grazie a un passaggio ricevuto dal segretario provinciale della DC, un giovane avvocato tricaricese, che si trovava a passare per Irsina. Questi fatti sono raccontati nella Vita di Rocco scritto dalla madre Francesca Armento. Il 15 dicembre, prima di morire, Rocco scrisse due lettere: una ad Antonio Albanese e l’altra alla mamma, inserendo tutt’e due le lettere nell’unica busta indirizzata alla mamma, che giunse a Tricarico il 17 dicembre, il giorno del funerale. Lei ha la lettera ad Antonio Albanese, divisa in due parti: una scritta il 14 e la seconda il 15 dicembre. In questa Rocco scrive: “Io penso di avere un reuma fortissimo al petto e alla gola. Ma disgraziatamente solo un dottore in Italia si intende, positivamente e cioè guarendo, di reumatismi: ha 95 anni e sta a Ferrara”. Questo medico vegliardo era un prozio di Bassani. Antonio Albanese mi riferì di aver saputo dallo stesso Bassani che si trattava del padre. Ma evidentemente Antonio ricorda male, perché Bassani giovane non poteva avere un padre così vecchio e perché a Ferrara alcuni miei amici ancora si ricordano di quel vecchio medico, che effettivamente aveva fama di curare bene gli acciacchi causati dalla nebbia padana.

Con i migliori saluti

Antonio Martino

 

 

 

 

10 Responses to Addio a Giovanni Russo, ultima voce del meridionalismo

  1. enza spano ha detto:

    Caro Antonio, ho conosciuto Giovanni Russo e ne ho apprezzato le qualità di meridionalista.
    Nello stesso giorno della sua morte mi nasceva la mia prima nipotina Elisa che mi ha reso la persona più felice del momento.
    Giulia la mia unica figlia fatta nascere a Tricarico, ha messo al mondo la piccola Elisa, facendola nascere naturalmente in casa con due ostetriche , senza problemi ritrovando la naturalità del parto.
    I nostri giovani sono migliori di noi e mia figlia lo ha dimostrato ampiamente.
    Ciao Antonio

  2. Mery Carol ha detto:

    Riposi in pace Giovannino Russo!
    Bene ha fatto la signora Enza Spano ad intervenire con un messaggio di vita e di felicità. Auguri!
    I miei quattro figli sono nati in casa quando era tutto un correre in ospedale. Il ricordo della mia prima esperienza è in un racconto che metto a tua disposizione, Antonio, per la Rabatana. Ciao

  3. domenico langerano ha detto:

    Caro Antonio,
    io ho due ricordi di Giovannino Russo.
    Il primo quando, conduttore se non ricordo male di RAIUNO 3131, mi ospitò con gli operai del salumificio di Tricarico nella trasmissione nazionale per parlare del nostro salumificio, il più grande d’europa, che era chiuso e per il quale non si vedevano soluzioni per l’inizio dell’attività (tassello dimenticato del suo impegno meridionalista!). Dopo la trasmissione gli operai ebbero una diaria dalla Rai e io la rifiutai, ma il bello fu che il pomeriggio, a Tricarico, casualmente io ero andato al comune e lì vedo tutti gli operai che al mattino erano stati con me alla diretta nazionale da Bari, lì convocati con urgenza da Gino Lauria per assicurarli che S.E.Emilio Colombo, avendo ascoltata la trasmissione, si sarebbe impegnato affinché la gestione del salumificio fosse data non alla Lega delle Cooperative da noi formalmente sollecitata ad un impegno, ma a un suo protetto (ora non più tra noi), macellaio in quel di Miglionico. Con questa potente interferenza clientelare si decretò la fine del nostro salumificio sul quale molte prospettive di sviluppo e di occupazione i tricaricesi facevano affidamento.
    Un secondo incontro lo ebbi, sempre degli anni 80,a Melfi ad un convegno sulla metanizzazione del mezzogiorno (fu deciso la spartizione della gestione del metano tra la lega delle cooperative e la Snam-progetti, e Tricarico fu il primo comune ad essere metanizzato!). In quella occasione, nella pausa pranzo sono capitato allo stesso tavolo insieme con l’indimenticabile e mai degnamente ricordato senatore Calice, e Giovannino ebbe a lamentarsi del fatto che venissero serviti pasti non della tradizione lucana!
    Ciao Antonio, grazie per la possibilità che ci dai di ricordare alcuni degli splendidi uomini che hanno voluto bene alla nostra terra.
    Mimmo

    • Antonio Martino ha detto:

      Caro Mimmo, Grazie per i tuoi ricordi. Io non conosco la storia del salumificio. Quando se ne cominciò a parlare, io guardai all’iniziativa con molto scetticismo e persino diffidenza. Cocolino venne alcune volte a Modena, terra dei salumi e dei salumifici, e gli presentai un grosso imprenditore del settore: io ero funzionario del ministero della sanità e questo imprenditore era presidente di un ospedale della provincia, di Formigine, mi pare di ricordare. Di quelle visite mi resta il piacevole ricordo di un brindisi alla nascita di Sabrina! Visitai il salumificio con Turci, presidente della regione Emilia-Romagna, mi pare che ci fossi anche tu e c’era sicuramente l’avv. Lavista. Credo quindi che Cocolino col salumificio non c’entrasse più e che si stava gestendo la crisi di quella iniziativa. Il mio scetticismo e disinteresse a informarmi e capire questa storia, alla fine, non che avessi potuto dare una mano, mi fecero sentire un po’ in colpa. Ciao.

  4. Nunzio ha detto:

    Caro Antonio, voglio cogliere anch’io l’occasione che ci offri, per ricordare Giovanni Russo. L’ho conosciuto nell’ambito delle attività del Centro studi lucani nel mondo, alle quali partecipava, quando poteva, con vivo interesse.Mi colpì la sua disponibilità al dialogo e all’amicizia, la sua modestia (non mi parlò mai dei suoi libri)e la sua curiosità. Ricordava Tricarico, che gli evocava soprattutto Rocco Mazzarone, per il quale mi affidava sempre cari saluti. Accettò volentieri di intervenire alla presentazione del mio romanzo “Socialmente pericoloso e di pubblico scandalo”, presentandolo come esempio di letteratura meridionalistica, riprendendo questa definizione in un trafiletto del “Corriere” a proposito dei miei due saggi su Francesco Lomonaco e Mario Pagano. Ho avuto il privilegio di andare due vote a casa sua, di sorseggiare il caffé fatto da lui e, soprattutto, di gioire per il disordine dei libri e per l’ordine e la chiarezza delle parole. L’ho visto l’ultima volta, credo, nel mese di maggio del 2010. Venne ad Ostia per un evento promosso dalla Associazione “I leggio del mare”. Ci trovammo a parlare insieme sullo stesso libro. Insistetti, poi, per accompagnarlo a Roma con la mia macchina. Durante il viaggio mi fisse tutto ciò che avrebbe voluto dire nel suo intervento e che, distrattamente, non aveva detto, preferendo improvvisare- Al portone di casa, oltre a non finire di ringraziarmi, mi ripeté più volte:; “Sentiamoci e vienimi a trovare Ormai sto quasi sempre a Roma!”. Ci sentimmo ancora, ma non andai a trovarlo- Ora, me ne pento.
    Grazie e un caro saluto. Nunzio.

    • Antonio Martino ha detto:

      Voglio ringraziarti sentitamente, caro Nunzio, per il tuo vivo ricordo di Giovanni Russo, che mi ha fatto tanto più piacere per averlo letto subito dopo un articoletto di un professore universitario, pubblicato sul supplemento di un quotidiano di grande prestigio dove il ricordo di Giovanni Russo è invece falso e in contraddizione con lo stesso articoletto.Grazie a te. Con affetto ricambio il saluto. Tonino o Antonio (ahi! la schizofrenia del dott. Coppola!)

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