III
La marchesina Emma

Ogni anno, a Torregrupata, si celebrava una sola festa veramente paesana. Quell’anno, pochi mesi prima della festa, conclusi gli anni di istruzione e di formazione in un collegio delle Orsoline a Roma, la nipote del marchese, la marchesina Emma, era rientrata definitivamente a Torregrupata. La marchesina era figlia della sorella del marchese, morta di colera, insieme al marito, nella traversata del canale di Suez, aperto da pochi anni: per la precisione, il 17 novembre 1869.

Il marchese –finita la tutela delle suore – pensava seriamente di maritare la nipote con l’erede del titolare, vecchio e claudicante, di un non precisato feudo. Lo sposo scelto dal marchese era un debosciato più che quarantenne, aveva prosciugato le doti delle giovani mogli, che avevano accettato di sposarlo come alternativa alla clausura, ed era in cerca della terza moglie. Emma era un appetitoso partito, come si dice: unica erede del feudo, nonché di palazzi a Napoli e di depositi bancari. Un bel partito e … un bel caratterino! Non era proprio il tipo disposto a rassegnarsi a un matrimonio impostogli dallo zio. Non si capisce cosa inducesse il marchese a prendere fermamente una tale decisione, senza capo né coda. «Emma farà quello che dico io», disse a don Pasquale, che gli esponeva alcune considerazioni sul progetto matrimoniale. Quando aveva lasciato il convento delle Orsoline, Emma, vergine per … costrizione ambientale, era edotta nell’arte di pensare e gustare i piaceri del corpo grazie a una relazione lesbica con suor Isabella. Aveva tutto per piacere suor Isabella. Le vesti monacali, oltre a non nascondere, davano risalto al corpo snello e morbido di una donna non ancora trentenne. Lasciato il collegio, la giovane marchesina fantasticava di conoscere i piaceri procurati dal corpo maschile. Dal finestrone centrale del balcone del palazzo – lo zio le aveva proibito di partecipare alla festa e di mescolarsi col popolo – vide un aitante ragazzo – stretto, gambe e braccia, all’albero della cuccagna – guardare verso di lei e mandarle un saluto col braccio levato dall’albero, rischiando di perdere la gara. Ne fu colpita e desiderò di essere stretta da quelle braccia, come abbracciavano l’albero scorticato, spalmato di sapone o grasso per rendere più difficile l’arrampicata. Da quel momento Emma non ebbe altro pensiero e cercò la complicità della governante, Elvira, per mettere in atto il suo desiderio. Elvira avvicinò il giovanotto, ne saggiò le intenzioni, fu colpita dalla sua esaltazione «Ditele che mi chiamo Michele, l’angelo che schiaccia il demonio. E ditele che la voglio vedere». Elvira riferì a Emma, che con più ardore, se possibile, desiderava vedere il ragazzo, e si adoperò per l’incontro a palazzo. Fu l’incontro di una notte di passione ed Emma rimane incinta. Il marchese, quando la gravidanza non poté più essere occultata e ne venne a conoscenza, dispose la segregazione della nipote in un eremo di redenzione isolato e quasi inaccessibile e l’internamento del suo amante di una notte in un luogo dove «avrebbe vissuto la morte giorno per giorno tutti i giorni della sua vita».

A Torregrupata – e anche nello stesso palazzo, tranne il fedele don Pasquale – nessuno seppe nulla, il tutto rimase avvolto nell’assoluta segretezza. Ma qualcuno o qualcuna qualcosa sentì, qualcosa vide, senza rendersi conto di che cosa stesse accadendo. Trent’anni dopo, ragionando e indagando con quel qualcuno, il buio di quella lontana notte iniziò a diradarsi.

(continua)

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.