Fratello maggiore,

fratello minore

Goffredo Fofi

 

 

Rocco e i suoi fratelli. I fratelli sono tre, si chiamano Rocco, Carlo e Rocco: Rocco Scotellaro, Carlo Levi e Rocco Mazzarone.  A Levi e a Mazzarone bisogna aggiungere Manlio Rossi.Doria, della stessa generazione di Levi. Di questo legame fraterno parla Goffredo Fofi inel breve saggio (tre pagine) intitolato Fratello maggiore fratello minore. Rocco Scotellaro è il fratello minore: ha ventun anni meno di Calo e otto di Rocco (Goffredo Fofi nel calcolare le differenze di età è approssimativo). Non so se Fofi, nelle due pagine protette parli del film Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti e del libro omonimo di Paolo Saggese. Certamente, però, questo rapporto fraterno è la genesi del film – un film da salvare – e del libro. Se un tale rapporto non ci fosse stato, film e libro avrebbero avuto un altro titolo e sarebbero stati un’altra cosa.

Il film

Rocco e i suoi fratelli è un film del 1960 diretto da Luchino Visconti e ispirato al romanzo Il ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori. (Autore singolare non inquadrabile, Giovanni Testori [1923 -1993] è stato uno scrittore di notevole rilievo e di eccezionale versatilità: narratore, autore di teatro, poeta, critico d’arte. Nato da una famiglia profondamente cattolica, si laureò in Lettere all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nei suoi studi e in tutte le sue opere Testori ha espresso un forte legame con la religione. I suoi amori ossimorici per il Manzoni de I promessi sposi e per il Caravaggio, artisti che hanno espresso in maniera dicotomica il loro sentire cristiano, cela e palesa al tempo stesso una religiosità vissuta con tensione tragica, fatta di dubbi, di bestemmie e di pentimenti).  Il titolo del film è una combinazione tra l’opera Giuseppe e i suoi fratelli  e il nome, Rocco, di Scotellaro, poeta che descriveva le condizioni dei contadini meridionali e di cui Visconti era un grande estimatore. ( La tetralogia, ispirata al celebre racconto della Genesi biblica, Giuseppe e i suoi fratelli Le storie di Giacobbe, Il giovane Giuseppe, Giuseppe in Egitto, Giuseppe il Nutritore – di Thomas Mann [1875 – 1955], premio Nobel della Letteratura nel 1929, personalità di maggior rilievo della letteratura europea del Novecento ).

Alla morte del padre, Rocco Parondi, un ragazzo lucano, su iniziativa di sua madre, Rosaria, raggiunge insieme a lei e ai suoi fratelli, Simone, Ciro e Luca, il loro fratello più grande, Vincenzo, emigrato già da qualche tempo a Milano, nella speranza di cambiare vita. Al loro arrivo scoprono che Vincenzo sta festeggiando il suo fidanzamento con Ginetta, anche lei figlia di emigrati lucani, ma ormai già ben inseriti a Milano. Quando la madre richiama Vincenzo al suo dovere di provvedere prima d’ogni altra cosa alla sua famiglia d’origine in difficoltà, i parenti di Ginetta reagiscono e, temendo di doversi sobbarcare il peso dei nuovi arrivati, cacciano i Parondi in malo modo. Vincenzo, sentendosi in obbligo con i suoi familiari, lascia anche lui la festa e inizia a provvedere come può ai suoi cari. Dopo le difficoltà iniziali tutti i giovani riescono a trovare una sistemazione: Vincenzo recupera il rapporto con Ginetta e obbliga le due famiglie in rotta ad accettare la relazione con un matrimonio riparatore. Rocco inizia a lavorare in una lavanderia, Ciro studia e trova lavoro come operaio in una fabbrica dell’Alfa Romeo, Simone si dà alla boxe, mentre Luca rimane a casa con la madre. Nel frattempo, i giovani fratelli hanno fatto la conoscenza di Nadia, una prostituta che ha subito una relazione con Simone. In realtà Nadia considera Simone un cliente come un altro, ma Simone, viziato dalla madre, affascinato dalla ricchezza della grande metropoli lombarda e ingannato dall’illusione di ottenere facilmente molti soldi con il pugilato, si lega morbosamente alla donna e, pretendendo di garantirle un tenore di vita che non è alla sua portata, comincia a condurre una vita sregolata che condiziona anche le sue prestazioni sul ring e che lo porta a ricorrere al furto e a prostituirsi anche lui con l’ex pugile Duilio Morini. Un giorno Nadia riceve in regalo una spilla che in realtà Simone ha rubato alla proprietaria della lavanderia dove lavora Rocco. Rendendosi conto del precipitare della situazione, Nadia restituisce la spilla a Rocco dicendo che sta lasciando per qualche tempo Milano, che non vuole più vedere Simone e che questi farà bene a dimenticarla. Alla notizia Simone reagisce in modo sprezzante, nascondendo così l’umiliazione d’essere stato abbandonato.

Un giorno, Rocco, partito per il servizio militare, incontra di nuovo Nadia che è appena uscita dal carcere. Seduti a bere un caffè, la donna ascolta la visione che Rocco ha della vita, rimanendone affascinata e quando lui le rivela di provare compassione per lei e l’incoraggia a ritrovare speranza nella vita, tra i due nasce un vero amore. Tornato a Milano, Rocco viene notato dall’allenatore di Simone che, deluso dall’indisciplina di quest’ultimo, ritiene che Rocco possa fare veramente strada nel mondo del pugilato. Nadia, intanto, rincuorata dalla bontà d’animo di Rocco, inizia a cambiare vita. Ma incombe su di loro la tragedia: Simone, deriso dagli amici del bar che frequenta, viene a conoscenza degli incontri tra il fratello e la sua ex amante e una sera, scortato da quegli stessi amici, segue Rocco e Nadia fino ai prati della Ghisolfa, dove i due s’incontrano abitualmente. Qui Simone stupra Nadia e picchia brutalmente il fratello. Rocco non solo non cerca vendetta, ma si convince d’essere il responsabile delle miserie di Simone, avendogli rubato la donna che lui amava. Così chiede a Nadia di lasciarlo per tornare con il fratello, certo che, recuperando questa relazione, Simone potrà redimersi. Nadia è sconvolta e, sentitasi tradita da Rocco, ritorna tra le braccia di Simone, ma solo per vendicarsi e sfruttarlo per soldi, al fine di rovinarlo; quest’ultimo dopo aver cessato definitivamente di fare il pugile, inizia ad avere anche problemi di alcolismo e, pieno di debiti, comincia a chiedere soldi tanto agli altri fratelli che allo stesso Rocco. A differenza di Vincenzo e Ciro che cominciano a prendere le distanze da Simone, Rocco si prodiga in tutti i modi per aiutarlo, sotto la pressione della madre che, accecata dall’affetto per il figlio, scarica ogni responsabilità dei guai di Simone su Nadia. Proprio per ripianare i debiti del fratello, Rocco, che pure vorrebbe lasciare il pugilato per tornare al più presto al suo paese d’origine, decide di continuare la sua carriera tra lo stupore di Vincenzo e la rabbia di Ciro, che non comprendono l’ostinazione di Rocco nel voler redimere un fratello che sta gettando nel disonore una famiglia altrimenti onesta.

Spinto dalla volontà di riscattare suo fratello, Rocco s’aggiudica un difficile incontro che lo lancerà verso il successo. Ma proprio mentre Rocco sta disputando questo decisivo incontro, Simone, abbandonato anche da Nadia, scopre che è tornata a prostituirsi dalle parti dell’Idroscalo e la va a cercare per tentare di riaverla. Nadia lo respinge, Simone estrae un coltello dalla tasca, si para davanti alla ragazza e la colpisce, uccidendola. Proprio al culmine dei festeggiamenti per la vittoria di Rocco, Simone fa ritorno a casa, e confessa al fratello l’omicidio di Nadia. Rocco, in preda alla disperazione, colpevolizza ancora una volta se stesso piuttosto che il fratello assassino, arrivando a offrirgli riparo in casa. Ma Ciro si ribella a questa decisione ed esce di corsa da casa per andare alla polizia a denunciare il sangue del proprio sangue. Simone sarà trovato e arrestato tre giorni dopo. Qualche tempo dopo, il piccolo Luca va a trovare Ciro durante una pausa di lavoro del fratello maggiore e gli rinnova le accuse d’aver tradito il proprio sangue. Ciro replica usando parole d’affetto sia verso Rocco, troppo legato a un mondo che il boom economico sta cancellando, sia verso il fratello incarcerato, che da questo boom è stato in qualche modo travolto, e racconta al piccolo le sue speranze di un mondo migliore, nel quale le persone non saranno più costrette a emigrare per trovare pane e giustizia. Ma la sirena suona, richiamando tutti gli operai dentro; Luca si accomiata da Ciro e lo vede da lontano incontrarsi con la sua fidanzata con la quale costruirà presto una nuova famiglia. Lo saluta ancora una volta dicendogli che tutti i fratelli l’aspettano per la cena e, riprendendo la strada di casa, passa davanti a un muretto dove sono esposte le foto del pugile Rocco, eroe del momento suo malgrado.

Il film è stato selezionato tra le 100 pellicole che hanno cambiato la memoria collettiva del Paese tra il 1942 e il 1978, quindi tra i 100 film italiani da salvare. Rocco e i suoi fratelli è diventato nel 2002 uno spettacolo teatrale.

 

Il libro

Rocco e i suoi “fratelli” di Paolo Saggese – Pensiero meridionalista e poesia in Lucania, Irpinia e Cilento (Scotellaro, Parrella, Trufelli, Stiso, La Penna, Piscopo, Iuliano, Liuccio) – con prefazione di Francesco D’Episcopio, pubblicato nel 2015 a Nusco (Avellino). Il volume è il risultato di un profondo impegno scientifico e civile condotto da Paolo Saggese, critico letterario irpino, teso a far sentire la voce poetica delle aree più interne del Mezzogiorno d’Italia, corrispondenti alla Lucania, all’Irpinia e al Cilento, collocandole, con la dignità e l’importanza che meritano, nel più vasto contesto della letteratura italiana. Una voce che trova in Scotellaro il “fratello maggiore”, al quale si riconnettono – nella visione di Saggese – i poeti lucani Michele Parrella e Mario Trufelli, gli irpini Pasquale Stiso, Antonio La Penna, Ugo Piscopo e Giuseppe Iuliano e il cilentano Giuseppe Liuccio. Ciò che li accomuna è la prospettiva “civile” della loro poesia, che li lega alla società e ai problemi del proprio tempo. Un valore che si è come smarrito nell’odierna società globalizzata, così lontana dalla forte progettualità della generazione dei poeti e dei letterati ma anche dei politici del secondo dopoguerra (e Scotellaro ne è un esempio), che elaboravano strumenti di approccio e di soluzione di quei problemi che, nel loro insieme, chiamiamo “questione meridionale”. Paolo Saggese, autore o curatore di una trentina di volumi dedicati alla poesia latina e italiana, alla storia del Novecento e alla politica, è, con Giuseppe Iuliano, il fondatore del Centro di documentazione sulla Poesia del Sud, nato per salvaguardare la memoria della poesia del Sud d’Italia e dei Sud del mondo. Una memoria a forte rischio di perdita, data l’esclusione sistematica dei poeti meridionali dalle storie letterarie più accreditate. Saggese è anche direttore artistico del “Festival della Poesia dei Paesi del Mediterraneo”.

 Fratello maggiore fratello minore (abstract) di Goffredo FOFI

Levi 1902, Scotellaro 1923. La distanza tra le date di nascita non permette di poter parlare di fratello maggiore e di fratello minore, ma non è neanche tale da poter parlare di un legame di tipo paterno. Probabilmente nei loro rapporti le due cose si confondevano, ma Levi non mi pare avesse atteggiamenti paterni con nessuno, mentre li aveva fortemente fraterni, bensì da fratello maggiore (anche nei confronti di qualche suo coetaneo …) e Scotellaro un padre ce l’aveva da cui qualcosa ha pure appreso, se non altro una dimensione del vivere e una comunione con l’ambiente. Ma se è dai padri che ci viene (o ci veniva un tempo) quel super-io che ci obbligava al un confronto col mondo e con noi stessi in termini morali e civili (anche quando erano negativi), è dei fratelli maggiori, veri o ideali, che si ha più bisogno per crescere (o degli zii, dei noni) perché al padre era un tempo doveroso ribellarsi – per affermare se stessi, per definire le scelte fondamentali. E per appoggiarcisi, per averne sostegno.

I fratelli maggiori naturali contano molto, ma possono contare molto di più quelli elettivi. Scotellaro ha avuto la fortuna di avere un fratello maggiore tricaricese, Rocco Mazzarone, l’altro Rocco, di dieci anni più giovane di Levi e di dieci più vecchio di Scotellaro, ma quello che l’altro Rocco poteva dargli non era quello che poteva dargli Levi: una dimensione che gli permettesse il confronto con il meglio della cultura italiana, anzi europea, dell’antifascismo e del dopoguerra. Avere radici è importante, diceva De Martino, anzi indispensabile  per essere ma uno sfondo non locale è altrettanto indispensabile per agire, pena una mancanza d’aria, di paragone e riscontro. Lo sfondo del sud aveva bisogno di uno sfondo più ampio anche per poter comprendere il sud steso, e la “questione meridionale”.

Ai nomi di Levi e di Mazzarone bisognerà poi aggiungere quello di Rossi-Doria della generazione di Levi, anche lui dentro un’orbita di esperienza e pensiero internazionali, anche lui concretamente legato a un territorio e alla sua emancipazione, alla “civiltà contadina” bensì nel segno del movimento, del mutamento.

A ripensarli oggi, gli anni della nascente Repubblica e dell’affermazione, per quanto faticosa, della democrazia furono davvero anni di Liberazione, gli anni della speranza per un paese uscito da vent’anni di dittatura, sette di guera mondiale, e dentro un processo di ricostruzione che significa anzitutto la costruzione di una società che si voleva nuova, secondo le norme della Costituzione.

 

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