Fino a qualche anno fa, il 15 dicembre mi recavo a Bologna per ricordare in preghiera nella Cattedrale di San Petronio, sia don Giuseppe Dossetti sia Rocco Scotellaro; qualche anno, con Titina, ci siamo recati nel piccolo cimitero di Casaglia, tra le Querce di Monte Sole, dove si consumò una delle più efferate tragedie della seconda guerra mondiale e della ferocia nazifascista, e dove Dossetti ha voluto essere sepolto. La sua vita, sulla lapide, è racchiusa tra due date, inizio e fine di una vita terrena e cristiana: la data del Battesimo e la data della chiamata al Giudizio del Signore.

Da qualche anno, l’età avanzata, il rigido e umido inverno della Valle Padana e la scomparsa o la vecchiaia degli amici mi costringono chiuso in casa.

Questa mattina, 16 dicembre, dopo aver ricordato ieri Rocco Scotellaro, mi pare giusto e sento il dovere di rinnovare il ricordo di don Giuseppe Dossetti e l’ardente attualità, anche politica, della sua vita.

Giuseppe Dossetti nasce a Genova nel 1913. Dopo qualche mese dalla nascita la famiglia si traferisce a Cavriago, in provincia di Reggio Emilia, dove il padre esercitò la professione di farmacista, e qualche anno più tardi, a Reggio Emilia, dove, peraltro, Giuseppe già da anni frequentava le scuole.

Frequenta la facoltà di giurisprudenza a Bologna, dove si laurea a ventun anni. Compie gli studi di perfezionamento a Milano, presso l’Università Cattolica, su invito del fondatore e rettore di quell’Università, il padre Agostino Gemelli, col quale i rapporti furono sempre di reciproca stima tra marcate diversità di vedute.

Il padre Gemelli, in un certo qual modo, fornisce l’occasione per l’inizio del carisma di Dossetti quando lo chiama, non ancora trentenne, a commentare, in un circolo ristretto, il poi storico radiomessaggio di papa Pio XII per il Natale 1942. Il giovane giurista aveva intuito che ora la Chiesa vuole interessarsi anche alla «forma» del potere politico e alle sue condizioni necessarie, incamminandosi per una strada che salda diritto naturale e democrazia politica.

Dossetti non era già più un isolato. Insieme con altri aveva creato il gruppo di casa Padovani, di cui fa parte anche il giovane professore di storia delle dottrine economiche Amintore Fanfani, gruppo che esamina i problemi politici del postfascismo e che già dal 1939 discuteva del futuro della politica italiana e mondiale. Il testo programmatico su cui lavora il gruppo è steso da Dossetti. Del programma milanese Dossetti si fa portavoce negli ambienti reggiani e modenesi. Ma, dopo l’ 8 settembre 1943, i contatti col gruppo Padovani si perdono.

A Milano conosce subito Giuseppe Lazzati, assistente di filologia classica, col quale stringe la feconda amicizia di tutta una vita.

Durante gli anni degli studi medi e universitari aveva svolto intensa attività nell’Azione Cattolica. Nel 1931 era entrato nel consiglio cittadino della federazione giovanile come rappresentante degli studenti; ne era membro anche Valdo Magnani, che negli anni successivi dette vita con Aldo Cucchi, entrambi deputati comunisti, a una eclatante vicenda politica con le loro dimissioni del PCI, che qui non può essere raccontata per motivi di spazio.

Più avanti si espone per alcune conferenze tenute presso la biblioteca capitolare di Reggio Emilia, nelle quali critica il fascismo.

Intanto, per iniziativa di Ermanno Gorrieri, già clandestino, inizia a Modena un ciclo di conferenze sulla storia del movimento cattolico. Con Emor Gilli e Onder Boni, ex compagni di scuola e allora comunisti perseguitati, organizza a Cavriago un centro di assistenza ai bisognosi; porta viveri e abiti nella canonica di Ramiseto, sull’Appennino reggiano, in vista di un possibile passaggio in clandestinità: i rapporti con Gilli e Boni assumono perciò un carattere politico. Diventa presidente del CLN per la zona di Montecchio, di cui Cavriago fa parte; stende il volantino la dc ai lavoratori; subito dopo diventa presidente del CLN di Reggio Emilia come rappresentante della DC e funge da referente in pianura del Battaglione della Montagna (poi Brigata Fiamme Verdi) di Walter Manfredi (Elio) e Pasquale Marconi (Franceschini).

Redige il documento comune dei CLN di Parma, Reggio Emilia e Modena; si unisce in montagna ai gruppi partigiani; lavora all’unificazione dei raggruppamenti nella 285a Brigata.

Il 25 aprile 1945 rientra a Reggio, è riconfermato presidente del CLN provinciale e si batte per la fine delle vendette.

Dalla testimonianza di Ermanno Gorrieri, nella sua repubblica di montefiorino, apprendiamo che, in una prima fase, Dossetti era stato contrario alla partecipazione cattolica alla lotta armata, ritenuta non coerente col Vangelo e difficilmente gestibile con i sentimenti religiosi, dato il carattere stesso di quel tipo di guerra. Ma, sperimentata l’impossibilità pratica di una vasta e coraggiosa presenza caritativa a mitigare la lotta, Dossetti si fece coinvolgere nel movimento partigiano fino a diventare presidente del CLN, fatto certamente non usuale e anche contraddittorio in una zona a preponderante maggioranza socialcomunista.

Dossetti partecipò intensamente all’attività partigiana e pur rifiutandosi di portare personalmente armi fu presente personalmente anche in combattimenti.

In seguito rifiutò ogni retorica resistenzialistica. Pur richiamandosi in non poche occasioni al grande valore morale di quel momento, preferì ritenerlo un momento eccezionale che si era chiuso con la liberazione. Non fu in alcun modo favorevole a una gestione diretta del potere da parte delle istituzioni partigiane in sostituzione dei poteri statali tradizionali.

Il percorso politico-istituzionale di Dossetti a livello nazionale ha inizio pochi giorni dopo la liberazione. Il 30 aprile 1945 entra a far parte della Consulta Nazionale come membro del CLN.

Nel successivo mese di giugno fa la sua prima apparizione politica di rilievo nazionale: presiedendo il Convegno nazionale dei gruppi giovanili della DC ad Assisi. Lo notano importanti dirigenti nazionali del Partito, come Vanoni e Campilli, che diventano suoi “elettori”. In agosto, a trentadue anni, è eletto vice segretario della DC.

Crea la SPES (Servizio propaganda e studi), per un lavoro di studio e formazione che eviti la semplice riesumazione degli schemi del popolarismo e della politica pre-fascista e si batte per l’adesione decisa della DC alla scelta repubblicana.

Eletto alla Costituente, Dossetti entra a far parte della Commissione dei 75 per il progetto di Costituzione, redigendo il Progetto di Regolamento dei lavori della Commissione stessa. Entra quindi nella Sottocommissione sui diritti e doveri dei cittadini. Finiti i lavori di questa Sottocommissione, entra nel Comitato dei 18 per la stesura della bozza di Costituzione da discutere nell’ Assemblea.

Riprende, intanto, intensamente l’attività del gruppo degli antichi professori milanesi, che la cronaca, e un po’ la leggenda, definisce come «il conventino», oppure «la comunità del porcellino». L’attività è favorita da una sorta di comunità di vita. Dossetti prende alloggio presso le sorelle Portoghesi; nelle stanze attigue abitano Lazzati e La Pira, nell’appartamento sottostante abita la famiglia Fanfani.

E’ espressione del gruppo, di cui il giovanissimo Dossetti è l’incontrastato e carismatico leader, la Rivista quindicinale cronache sociali, che inizia le pubblicazioni il 30 maggio 1947. In questa impresa -che fu l’offerta di un nuovo contesto culturale in cui pensare la politica-, i dossettiani ebbero un successo notevole. Ciò che rispondeva maggiormente alla domanda dell’ora -e che Cronache sociali seppe dare- era un contesto che fosse fuori dalle culture tradizionali: sia dallo schematismo della cultura marxista, con i suoi pesanti condizionamenti derivanti dalla posizione internazionale dell’Unione Sovietica; sia dalla supponenza della cultura tradizionale laica verso la componente religiosa, fortemente ghettizzata in un sistema di clan; sia dalla modestia della cultura cattolica tradizionale. Cronache sociali si affermò rapidamente come un quindicinale di grande prestigio, capace di attrarre collaborazioni prestigiose in un quadro assai ampio, anche esterno al movimento cattolico.

Nella prima legislatura, ancora vice segretario della DC, assume anche il coordinamento dei gruppi parlamentari. Mentre esercita questo incarico, si registra, oltre a una maggiore attenzione del partito nella società esautorando i comitati civici, la valorizzazione della mano pubblica in economia, concorrendo al primo boom economico e alla modernizzazione di città e campagne, mediante una politica di riforme (edilizia popolare, Cassa per il Mezzogiorno, la riforma agraria e tributaria, sviluppo industriale) in un quadro d’impostazione economica ispirata alle teorie keynesiane propugnate da Cronache sociali.

Egli non era certamente uomo da intendere la presenza politica come una semplice gestione a fini di presenza governativa. Per lui il potere era uno strumento di testimonianza, un’occasione per fare.

Anche la Costituzione era un programma di cose da fare e perciò si era opposto all’inserimento di un preambolo, come nelle costituzioni liberali ottocentesche. Era quindi inevitabile che si creasse un corto circuito, che conduce alle dimissioni dalle cariche di partito nel 1951 e a quelle di deputato l’anno successivo.

Ma in un certo senso era persino naturale che le carriere mondane di Dossetti avessero durata limitata, dato il primato dell’impegno religioso su ogni altro impegno e il valore di questo in funzione del primo.

La carriera universitaria si conclude dieci anni dopo la vincita del concorso e quella politica si era già conclusa da oramai molti anni, alla fine del 1951 con le dimissioni da deputato. La parentesi del consiglio comunale di Bologna, nel 1956, era stata, appunto, una parentesi, e una parentesi di ubbidienza. Come di ubbidienza, simbolicamente sottolineata, era stato lo stesso prolungamento della sua attività politica. Nel 1947, con un promemoria al cardinale Montini, aveva chiesto al Papa Pio XII il permesso di ritirarsi dalla vita politica. Un gesto altamente simbolico, una richiesta inusitata e non necessaria, col quale intendeva sottolineare che la sua presenza nel campo politico non era se non una appendice del suo primario impegno religioso. Ma Pio XII negò il permesso e Dossetti iniziò la campagna elettorale per l’elezione della prima Camera dei deputati della Repubblica.

Sul ritiro di Dossetti dalla vita politica sono tanti i giudizi e le interpretazioni. Tra queste la più verosimile è quella secondo cui la centralità della politica non sarebbe stata mai accettata da Dossetti, che sembrava invece pensare la politica nella stessa ottica in cui aveva vissuto la resistenza, ossia un dovere contingente dell’ora per rendere credibile agli uomini che la fede non è fuga dai loro problemi. L’ avventura della Costituente avrebbe prolungato la questione politica.

La fine del dossettismo e il ritiro di Dossetti dalla politica furono annunciati nei due storici incontri di Rossena, nell’agosto del 1951. Lo schema del ragionamento di Dossetti è il seguente: la debolezza della presenza politica dei cattolici è nella debolezza religiosa del cattolicesimo italiano che si congiunge a una debolezza etica del sistema politico del nostro paese (che già nel 1946 Dossetti aveva visto destinato a un futuro «levantino»).

Per queste ragioni non c’è spazio per alternative: gli obiettivi possono essere o la riforma della Chiesa o la salvaguardia di quei risultati di compromesso ottenuti grazie ad alcune circostanze storiche favorevoli. Per sé Dossetti sceglierà la via della riforma della Chiesa; per chi vuole rimanere nell’arena, egli indica l’accettazione della leadership di De Gasperi, perché chiudere a De Gasperi, non avrebbe altro significato se non quello di aprire alle destre.

Quella conclusione fu un’esperienza politica drammatica, che coinvolse una generazione di cattolici, ingenerando in non pochi di loro sensi di frustrazione, di delusione, di smarrimento e di scetticismo. Cominciarono percorsi individuali, strategie politiche diverse, sentieri che si biforcarono quasi all’infinito. Una storia drammaticamente complessa che non può essere raccontata secondo schemini elementari e sbagliati.

Per sé Dossetti non poteva scegliere se non un’azione molto incisiva e inventiva sul piano culturale, sempre più identificato con quello religioso. Un itinerario che doveva vedere l’abbandono dell’università dopo quello della politica e quindi il sacerdozio e il monachesimo.

Va ricordata l’esperienza del Centro di documentazione per la ricerca intellettuale e spirituale, nato dall’idea di un istituto di ricerca di laici, libero da legami universitari, unito da un vincolo di fede e di preghiera, in Bologna, via San Vitale, 114, in tre locali.

Una parte dei membri del Centro di Documentazione accetta la Regola della Piccola Famiglia. Dossetti, insieme ai primi membri della famiglia monastica, emette i voti nelle mani del cardinale Lercaro.

Nel 1958 Dossetti diventa suddiacono e diacono. Il 6 gennaio 1959 è ordinato prete dal cardinale Lercaro nella cattedrale bolognese di San Pietro e celebra la prima messa al santuario di San Luca.

In questo itinerario Dossetti si trovò quindi a partecipare in modo attivo e di grande presenza, come esperto del cardinal Lercaro al grande avvenimento del Concilio Vaticano II, incontrandovi i tre movimenti che del concilio fecero la grandezza e l’originalità, cioè il movimento biblico, liturgico ed ecumenico.

A Bologna, Lercaro costituisce dieci gruppi di studio per la riforma della diocesi nel senso del Vaticano II: Dossetti collabora a nove gruppi. E’ nominato pro-vicario della Diocesi per l’adeguazione della chiesa locale ai decreti conciliari.

A seguito della rimozione di Lercaro dalla diocesi bolognese lascia tutti gli incarichi diocesani. Inizia quindi a predicare sulle letture domenicali nell’abbazia di Monteveglio, dove la famiglia monastica ha oramai sede.

Nell’estate del 1972 si stabilisce con i fratelli della Famiglia a Gerico, nei territori occupati da Israele nella guerra dei sei giorni e inizia il pendolarismo irregolare e ininterrotto fra la Terra Santa e l’ Italia. Si reca in Thailandia, dove partecipa a un convegno mondiale del monachesimo quando vi muore Thomas Merton; visita l’Irak, l’India. Riceve dai patriarchi latini di Gerusalemme l’offerta di insediare suoi monaci in parrocchie dei territori occupati.

Dossetti è stato l’incantatore della nostra giovinezza e il suscitatore di nuove speranze della nostra età matura.      Dell’incanto della giovinezza ho detto tracciando la biografia che precede.

Le nuove speranze Dossetti le suscita nel momento della crisi della c.d. prima Repubblica. Furono frustrate dallo scarto di cultura e di etica spirituale del mondo politico di ogni parte. L’Ulivo, che si professava ispirato al pensiero dossettiano, invece lo strumentalizzava.

Il 15 aprile 1994, dall’ospedale di Bazzano dove era ricoverato per un improvviso aggravamento delle sue condizioni di salute, Giuseppe Dossetti scrive a Walter Vitali, sindaco di Bologna, che lo aveva invitato a partecipare alle manifestazioni per il 25 aprile, esprimendo l’auspicio che fossero costituiti dei comitati per la difesa dei valori della costituzione.

Un mese dopo, il 18 maggio, commemora Giuseppe Lazzati con un discorso, che ebbe vasta risonanza, di grande spessore culturale e religioso, in cui ritorna sulla difesa dei valori della costituzione con accenni di forte tensione religiosa ed etica. Dossetti pensa che a Lazzati possano valere le parole dell’oracolo biblico, di Isaia, della sentinella che scruta nella notte e vi applica questi stili di vita all’amico scomparso: nessun rimpianto per il giorno precedente; la notte va riconosciuta per notte; non bisogna coltivare alcuna illusione dei rimedi facili e delle scorciatoie per uscire dalla notte; la sostanza ultima dell’oracolo della sentinella è al di fuori di ogni ambiguità, è un invito alla conversione. Dossetti allarga la sua riflessione, notando che c’è un peccato, una colpevolezza collettiva: non di singoli, sia pure rappresentativi e numerosi, ma di tutta la cristianità, cioè sia di coloro che erano attivi in politica sia dei non attivi, per risultanza di partecipazione a certi vantaggi e in ogni modo per consenso e solidarietà passiva. La notte che attraversiamo è quella in cui all’inappetenza diffusa dei valori corrispondono appetiti crescenti di cose, nonché il senso di desolata solitudine che ne deriva. In questa solitudine, che ciascuno regala a se stesso, si perde il senso del con-essere; e la comunità è fratturata sotto un martello che la sbriciola in componenti sempre più piccole sino alla riduzione al singolo individuo: il singolo individuo su cui si sta costruendo tutto il pensiero moderno, secondo cui i diritti sono solo degli individui, il diritto è solo individuale. E perciò, rispetto agli altri, non vi possono essere che contratti, in funzione dei reciproci interessi e del reciproco scambio. Noi, osserva Dossetti, stiamo quindi entrando in un’età caratterizzata dal primato del contratto e dall’eclissi del patto di fedeltà. Un’età in cui gli ordinamenti sono sistemi in cui si tratta e si negozia senza soste.

Dossetti si chiede se queste degenerazioni non siano insite nella decadenza del pensiero occidentale, come sostiene Levinas, a parere del quale tali degenerazioni “possono essere evitate non con un semplice richiamo all’altruismo e alla solidarietà, ma ribaltando tutta l’impostazione occidentale, cioè ritornando all’impostazione ebraica originaria, nella quale si dissolve proprio questa partenza della libertà del soggetto”. La difesa della costituzione s’inserisce in questo contesto, si irrobustisce di fedeltà al patto per affrontare una situazione in cui ci sono cose da cambiare, in corrispondenza delle grosse modificazioni intervenute nella nostra società degli ultimi decenni, ma in cui tutto dovrà essere fatto nello spirito della legalità e senza spirito di sopraffazione e di rapina e, soprattutto, c’è una soglia che deve essere rispettata in modo assoluto e che, invece, sarebbe varcata da una disarticolazione federalista come più volte prospettata dalla Lega, oppure da qualunque modificazione che si volesse apportare ai diritti inviolabili civili, politici e sociali previsti dalla costituzione.

Dossetti interviene una seconda volta a difesa della costituzione, a Monteveglio, il 16 settembre 1994, al convegno dei Comitati Dossetti: anche la risonanza di questo intervento fu vasta, per la ricerca delle radici della Costituzione nel profondo, e cioè in un evento mondiale e catastrofico come la seconda guerra mondiale e per la sintesi di rara efficacia in cui fu esposto il suo contenuto, alla luce dei suoi principi fondanti e irrinunciabili.

Il 21 gennaio 1995, a Milano, ritorna ancora una volta sul tema, a un convegno di costituzionalisti cattolici, promosso dall’associazione città per l’uomo. Egli insorge contro una mitologia sostitutiva, che si va diffondendo a causa del diffondersi di una idea confusa che comunque predispone a una voglia di tanti di cambiare le regole fondative tanto per cambiare, e indipendentemente da una valutazione anche per poco approfondita dei cambiamenti vagheggiati e della loro pertinenza rispetto alle mutazioni reali intervenute o prevedibili. Richiamandosi alla dottrina e alla giurisprudenza costituzionale, anche tedesca, che considerano esaurito il potere costituente -ciò che equivale a dire che è bene che i tratti fondamentali dell’organizzazione sociale non siano decisi dal potere politico-, precisa che ciò non vuol avanzare la pretesa di bloccare il tempo, di fermare la storia; ma vuol dire che di fronte a diritti già costituiti ci può essere solo un potere che espande, perfeziona, garantisce ulteriormente i diritti stessi, o che modifica parti diverse non inviolabili della Costituzione, e che quindi tale potere, come continuamente attivabile nel ciclo delle generazioni, può essere concepito solo come potere di revisione, entro un quadro sostanziale già dato. Non una nuova Costituzione, dunque, ma revisioni costituzionali giuste. Critica pure l’opinione corrente, secondo la quale la prima parte della Costituzione sarebbe inviolabile, mentre la seconda potrebbe essere revisionata, dimostrando come anche riforme della seconda parte possano ledere diritti fondamentali e irrinunciabili.

Coerentemente con questa impostazione, aderisce a una proposta di legge costituzionale per la modifica dell’art. 138 della Costituzione: proposta che, nel momento in cui da varie parti si parla di fase costituente, vuole indicare un modo preliminare e anzi pregiudiziale alla definizione di qualunque tipo di percorso.

Nell’estate del 1995 è costretto ad affrontare una lunga degenza ospedaliera, durante la quale viene sottoposto a due interventi chirurgici. Alla ripresa della sua attività, ha ancora occasione di occuparsi delle vicende politiche del Paese, esprimendo forti perplessità su orientamenti, se non addirittura cedimenti, in materia istituzionale da parte dell’Ulivo e dello stesso Prodi, facendo persino balenare l’eventualità di negare il voto all’Ulivo. Si oppone energicamente al tentativo di accordo semipresidenzialista tentato, con l’ipotesi di governo Maccanico, da D’Alema e Berlusconi. La presa di posizione di Dossetti porta alle dimissioni di Vitale dalla carica di Presidente del Comitato Nazionale dei Comitati per la difesa della Costituzione. Il 6 luglio Vitale sarà sostituito da Stefano Rodotà.

Colpito da un ictus, sembra superare anche quest’altra crisi, ma la mattina di domenica 15 dicembre, assistito dai monaci della sua comunità, viene chiamato al giudizio del Signore, come ha voluto che sia scritto sulla sua tomba tra le querce di Monte Sole nel piccolo cimitero di Casaglia.

(antonio martino).

 

2 Responses to Rinnovo del ricordo di don Giuseppe Dossetti

  1. Gilberto Marselli ha detto:

    Complimenti per questa tua onesta, completa e doverosa rivisitazione del pensiero di Dossetti. Nel mio piccolo, ho cercato anche io di portare qualche pietra all’erigendo monumento in onore di Dossetti: credo di averlo fatto quando ho criticato fortemente il dissidente Fanfani; quando ho sottolineato la degenerazione della partecipazione cattolica alla politica a seguito del nefasto “doroteismo”, che fu l’esatta contrappo al “dossettismo”, e, infine, ricordando come noi di Portici comprendemmo perfettamente la posizione dei giovani di “Terza Generazione”. Purtroppo, noi semplice “vaso di terracotta” fummo schiacciati dalla contrapposizione tra il macigno del PCI (che si illudeva di poter attuare un’irrealizzabile rivoluzione, soprattutto in un Paese e quando vi era ancora la presenza militare americana derivante dall’armistizio) ed il macigno della DC (che si vedeva impegnata in una “guerra di religione” e, pertanto, prometteva riforma senza mai realizzarle completamente nella speranza di ottenere più voti dagli elettori). Nel mio periodo bolognese anche io avevo avuto la fortuna di sfiorare con molto interesse il gruppo dei dossettiani, per cui mi sono sentito sempre molto vicino a Lui ed alla sue idee. Purtroppo, la Storia del nostro Paese è andata per altre strade ed i ciò temo che la Che anche la Chiesa cattolica (almeno in un certo periodo) abbia avute le sue responsabilità. Grazie, comunque, per questuo tuo intervento che, come a me, darà sicuramente opportunità anche ad altri a riconsiderare criticamente quel passato.

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