Il Carnevale di Aliano (1936) e il Carnevale di Tricarico (1974) descritti da Carlo Levi
Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Giulio Einaudi Ed., 1947, pp. 196-97
Venne il carnevale, inaspettato e anacronistico. Non ci sono, a Gagliano, per questo, né feste né giochi: Si che m’ero dimenticato della sua esistenza. Me ne ricordai un giorno, quando, mentre passeggiavo nella via principale, oltre la piazza, vidi sbucare dal fondo e correre velocissimi in salita, tre fantasmi vestiti di bianco. Venivano a grandi salti, e urlavano come animali inferociti, esaltandosi delle loro stesse grida. Erano le maschere contadine. Erano tutte bianche: in capo avevano, dei berretti di maglia o delle calze bianche che pendevano da un lato, e dei pennacchi bianchi; il viso era infarinato; erano vestiti di camicie bianche, e anche le scarpe erano coperte di bianco. Portavano in mano delle pelli di pecora secche e arrotolate come bastoni, e le brandivano minacciosi, e battevano con esse sulla schiena e sul capo tutti quelli che non si scansavano in tempo.
Sembravano demoni scatenati; pieni di entusiasmo feroce, per quel solo momento di follia e di impunità, tanto pio folle e imprevedibile in quell’aria virtuosa. Mi ricordai della notte di san Giovanni a Roma, quando i giovani vanno in giro picchiando con delle grosse teste d’aglio: ma quella è una notte di felicità collettiva e fallica, di baldoria dinanzi agli enormi piatti di lumache, con i fuochi, i canti, le danze e gli amori nel tepore benigno del cielo estivo. I battitori di Gagliano erano invece soli, e solitari in una sforzata e cupa follia; si compensavano degli stenti e della schiavitù con un simulacro di libertà, pieno di eccesso e di ferocia vera. I tre fantasmi bianchi picchiavano senza misericordia chi veniva a tiro, senza distinguere, poiché una volta tanto tutto era lecito, fra signori e contadini, e tenevano tutta la strada in salti obliqui, presi dal furore, gridando invasati, scotendo nei balzi le bianche penne, come degli amok incruenti, o dei danzatori di una sacra danza del terrore. Velocissimi, come erano comparsi, scomparvero in alto, dietro la chiesa. Allora anche i bambini cominciarono ad andare in giro con il viso impiastricciato di nero, e i baffi dipinti con i turaccioli bruciati. Un giorno ne capitarono da me, cosi conciati, una ventina: e quando dissi che sarebbe stato facile mascherarsi con delle vere maschere, mi pregarono di farle. Mi misi all’opera, e feci, con dei cilindri di carta bianca con dei buchi per gli occhi, una maschera per ciascuno, assai più grande del viso, che restava tutto coperto. Non so perché, ma forse per il ricordo delle funebri maschere contadine, o spinto, senza volerlo, dal genio del luogo, le feci tutte uguali, dipinte di bianco e di nero, e tutte erano teste di morto, con le cavità nere delle occhiaie e del naso, e i denti senza labbra. I bambini non si impressionarono, anzi ne furono felici, e si affrettarono a infilarle, ‘ne misero una anche al muso di Barone, e corsero via, spargendosi in tutte le case del paese. Era ormai sera, e quella ventina di spettri entravano gridando nelle stanze appena illuminate dai fuochi rossi dei camini, e dai lumini a olio ondeggianti. Le donne fuggivano atterrite: perché qui ogni simbolo è reale, e quei venti ragazzi erano davvero, quella sera, un trionfo della morte.
***
Il paese era svegliato, a notte ancora fonda, da un rumore arcaico, di battiti di strumenti cavi di legno, come campane fessurate: un rumore di foresta primitiva che entrava nelle viscere come un richiamo infinitamente remoto; e tutti salivano sul monte uomini e animali.
(Con queste parole Carlo Levi descriveva il Carnevale di Tricarico nel 1974).
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La notte di San Giovanni a Roma, o notte delle streghe, è la notte tra il 23 e il 24 giugno. Secondo una credenza popolare, in quella notte i fantasmi di Erodiade e Salomé, responsabili della decapitazione di san Giovanni Battista, e per questo condannati a vagare per il mondo su una scopa, chiamavano a raccolta tutte le streghe sui prati del Laterano.
Caro Antono, hai fatto bene te ne dobbiamo essere gratissimi di aver ripubblicato queste note di Carlo Levi. Le avevo dimenticate, pur essendo stato un attentissimo lettore del “Cristo”. Non si finisce mai di essere attenti ed aggiornati. Meno male che c’è questo blog.
Grazie! Ma sono stato intempestivo nel pubblicare le note di Carlo Levi sul Carnevale. Felice di aver trovato le due paginette del Cristo in un libro del 1947, ovviamente stampato con la carta del tempo, che si va sfarinando, non ho resistito a scandirle e a pubblicarle.