Il pittore Mario Carbone, nella speciale edizione Lucania within us della rivista Forum Italicum, racconta un viaggio con Carlo Levi in Lucania: un viaggio di tre giorni, “intensi e pieni di incontri con le persone del luogo, con le quali Levi dialogava ed ascoltava pazientemente con la sua innata signorilità”. Viaggiavano su una Fiat 1100 scura, che Carbone pensava fosse l’unica autovettura che Levi abbia posseduta. Partirono con una terza persona, con un fotografo inviato da Torino per conto dell’organizzazione Italia ’61, che aveva richiesto la committenza a Levi di eseguire il pannello pittorico.

Mario Carbone, dopo una esperienza di lavoro vissuta a Napoli e a Milano in qualità di fotografo, approdò a Roma nel 1955. Dopo un anno circa ebbe un incontro con una giovane appassionata di fotografia, e diventarono buoni amici. Molto vicina alla nuova amica era Linuccia Saba, che spesso frequentavano. «Minuscola e con occhietti penetranti, Linuccia aveva una sensibilità particolarmente accesa e singolare, tanto che i rapporti di pura amicizia erano, direi, difficoltosi e fragili. Soffriva di gelosie e i suoi umori variavano in continuazione, ma in complesso era una persona interessante e spesso dava buoni consigli. Una particolare qualità che la rendeva preziosa agli amici era l’amore con cui curava il cibo e spesso lo dimostrava nelle cene che avvenivano sulla terrazza della sua abitazione in via Due Macelli». In una di queste, Carbone conobbe Carlo Levi, che si dimostrò subito cordiale nei suoi confronti, forse per il suo cognome, legato alla esperienza di ex partigiano di Levi: Carbone era stato il suo pseudonimo.

Rabatana, con discrezione, ama unire grandi e piccole storie, nazionali e locali, con scampoli di ricordi tricaricesi. Ninuccia Carbone era una ragazza molto bella, un delle più belle ragazze di Tricarico. Abitavano nel corso, e nel corso il padre gestiva una macelleria. Sorella maggiore di Titina vedova di Michele Infantino, che è stato vice sindaco di Tricarico, non ricordo per quale motivo fu presentata da Mazzarone a Carlo Levi, che avrebbe successivamente contattata per avere certe informazioni, che Ninuccia avrebbe intanto meglio accertate e chiarite. Levi disse a Ninuccia che avrebbe ricordato facilmente il suo cognome Carbone, che era stato il suo pseudonimo da partigiano.

La sera del 16 dicembre 1953 – sera tristissima e freddissima –Rocco era morto la sera precedente – si aspettava la bara. Sfidando il freddo intenso, Carlo Levi e Linuccia Saba erano in piazza ad ascoltare e a parlare con gente che cercava conforto. L’avv. Giovanni Laureano, sindaco, li invitò a casa sua, per riscaldarsi un po’ al caminetto. Invitò anche me. C’era Rocco Mazzarone e c’era il prof. Pasquale Gagliardi. Ricordo Linuccia Saba, minuscola e con gli occhietti penetranti, come la descrive Mario Carbone. E tristi.

Il racconto di Carbone si conclude con questo ricordo: «Sulla strada del ritorno, prima di lasciare la Lucania, sostammo in un distributore di benzina, dove Levi abbracciò affettuosamente il gestore. Si conoscevano da tanto tempo e palarono a lungo. Più tardi ci confidò che proprio quell’uomo gli aveva suggerito il titolo del suo libro Cristo si è fermato a Eboli, anni addietro. Lamentandosi delle sue cattive condizioni gli disse: “Don Carlo siamo dimenticati da tutti, nessuno è mai arrivato da noi. Dimenticati anche da Cristo. Si è fermato a Eboli». Il benzinaio era Michele Mulieri, ma non poteva essere stato lui a suggerire a Levi il titolo del libro.

Il 6 maggio 1936, giorno dopo la conquista di Addis Abeba, che consacrava la fondazione dell’impero, il telegrafo di Aliano ticchettava lentamente: comunicava i nomi dei confinati graziati: erano liberi, potevano partire. Tutti, tranne i due comunisti: lo studente di Pisa e l’operaio di Ancona. Il nome di Carlo Levi fu l’ultimo. Quella gioia inattesa gli si volse in tristezza, e si avviò con Barone verso casa.

«Mi dispiaceva partire, e trovai tutti i pretesti per trattenermi, Avevo dei malati che non potevo lasciare d’un tratto, delle  pitture da finire; e poi un mucchio di casse da spedire, una infìnità di quadri da imballare. Dovevo far fare delle casse, e una  gabbia per Barone, troppo abile nello sciogliersi dal guinzaglio  e troppo selvatico perché si potesse affidarlo così semplicemente  a un treno. Rimasi ancora una decina di giorni […]; e una mattina all’alba, mentre i contadini si avviavano con i loro asini ai campi, salii, con Barone in gabbia, nella macchina dell’americano, e partii. Dopo la  svolta, sotto il campo sportivo, Gagliano scomparve, e non  l’ho più riveduto.

Avevo un foglio di via, e dovevo viaggiare con i i treni accelerati: perciò il viaggio fu lungo. Rividi Matera, e i suoi sassi,  e il suo museo. Traversai la pianura di Puglia, sparsa di pietre  bianche, come un cimitero, e Bari, e Foggia misteriosa nella  notte, e risalii, a piccole tappe, verso il nord. Salii alla cattedrale di Ancona, e mi affacciai, per la prima volta dopo tanto  tempo, sul mare. Era una giornata serena, e, da quella altezza, le  acque si stendevano amplissime. Una, brezza fresca veniva dalla Dalmazia, e increspava di onde minute il calmo dorso del mare.  Pensavo a cose vaghe: la vita di quel mare era come le sorti  infinite degli uomini, eternamente ferme in onde uguali, mosse  in un tempo senza mutamento. E pensai con affettuosa angoscia  a quel tempo immobile, e a quella nera civiltà che avevo abbandonato.

Ma già il treno mi portava lontano, attraverso le campagne  matematiche di Romagna, verso i vigneti del Piemonte, e quel futuro misterioso di esili, di guerre e di morti, che allora mi  appariva appena, come una nuvola incerta nel cielo sterminato.»

E’ molto improbabile che Levi abbia conosciuto Michele Mulieri a Grassano, durante il periodo del suo confino. Mulieri faceva il contadino, lavorando il fondicello della moglie e “servendo la casa del commendatore Enrico Materi, grande proprietario, in qualità di lavoratore di mestieri e di casa. Continuai a fare il falegname molte volte sì, altre no, perché il mestiere non rende, rende a chi a (sic!) favolosi capitali”. Il Ristoro dell’Anno Santo lo aprì appunto per l’Anno Santo (1950), facendosi raccomandare dall’on. Ambrigo dopo che una prima istanza era stata respinta.

Ma il racconto di Carbone è la verità riguardo all’origine del titolo Cristo si è fermato a Eboli. Poiêtês, poeta, è colui che crea, che inventa: sulla strada del ritorno, prima di lasciare la Lucania, abbracciando Mulieri, Levi confida a Carbone la sua verità di quel momento emotivamente coinvolgente.

Il libro comincia così, e in questo inizio c’è la conferma: « Sono passati molti anni, pieni di guerra, e di quello che si usa chiamare la Storia. Spinto qua e là alla ventura, non ho potuto finora mantenere la promessa fatta, lasciandoli, ai miei contadini, di tornare fra loro, e non so davvero se e quando potrò mai mantenerla. Ma, chiuso in una stanza, e in un mondo chiuso, mi è grato riandare con la memoria a quell’altro mondo, serrato nel dolore e negli usi, negato alla Storia e allo Stato, eternamente paziente; a quella mia terra senza conforto e dolcezza, dove il contadino vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immobile civiltà, su un suolo arido, nella presenza della morte.

– Noi non siamo cristiani, – essi dicono, – Cristo si è fermato a Eboli –. […] Ma la frase ha un senso molto più profondo, che, come sempre, nei modi simbolici, è quello letterale. Cristo si è davvero fermato a Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania. Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l’anima individuale, né la speranza, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la Storia. […] Cristo è sceso nell’inferno sotterraneo del moralismo ebraico per romperne le porte nel tempo e sigillarle nell’eternità. Ma in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli.»

Sapevo che il titolo del libro di Levi Carlo Levi fu il frutto di una lunga ricerca: Levi compilò una lunghissima lista,  ci pensò e ripensò e scelse il titolo. Me lo disse qualcuno: certamente Mazzarone, Scotellaro o Albanese. Escludo Mazzarone, ma non mi sento di escludere Scotellaro, che, nel caso, non disse una bugia, ma dette corpo ai suoi pensieri, a ciò che pensava di fare lui. Anche quella fu una verità poetica.

Due verità – tutte due vere – che conservo e confido.

 

 

2 Responses to L’origine del titolo “Cristo si è fermato a Eboli”

  1. Angelo Colangelo ha detto:

    Ciao, Antonio,
    mi complimento per questo altro articolo, da te dedicato anche alla controversa questione riguardo al titolo, fortunatissimo, “Cristo si è fermato a Eboli” del memoriale di Carlo Levi.
    Permettimi solo di aggiungere a quanto tu hai esposto un’altra ipotesi, di cui venni a conoscenza quando, negli anni Ottanta, fui impegnato in un lavoro di ricerca sui personaggi del “Cristo”.
    Alcuni contadini, che avevano avuto modo di frequentare l’artista torinese durante la sua pemanenza ad Aliano,ricordavano che spesso avevano usato nei loro discorsi con Levi l’espressione che sarebbe diventata poi il titolo del libro.
    Essi, insomma, dicevano che avevano fatto ricorso frequentemente a questa sorta di proverbio contadino, diffuso non solo ad Aliano ma anche nei paesi vicini, per spiegare le “ragioni” delle loro miserevoli, spesso disperate, condizioni di vita. E Carlo Levi ne sarebbe rimasto particolarmente colpito.
    Nel rinnovarti il mio sincero apprezzamento per il tuo preziosissimo meritorio lavoro, ti saluto con affetto, Angelo

  2. Antonio Martino ha detto:

    Caro Angelo,Ti ringrazio. Non sono riuscito a spiegarmi, ma intendevo appunto dire che la fonte del titolo del libro di Levi furono i contadini lucani e alianesi in specie e Michele Mulieri, in un momento di coinvolgimento emotivo, Levi lo elesse simbolo e rappresentante di quella fonte.
    Un abbraccio, Antonio

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