La scomparsa di Abdon Alinovi
LA SCOMPARSA DI ABDON ALINOVI
Un avviso postato pochi minuti fa su FB annuncia la morte di Abdon Alinovi, dirigente e parlamentare comunista.
Abdon Alinovi aveva la stessa età di Rocco Scotellaro e fu, appena ventenne, cancelliere della Pretura di Tricarico. Alla caduta del fascismo il 25 luglio 1943 fu tra i fondatori della sezione tricaricese del partito comunista. Iscritto al partito comunista dal 1940, ad appena diciassette anni, dopo il 25 luglio potette uscire allo scoperto e manifestare liberamente la sua fede politica, e almeno per un anno ancora (non ho ricordi precisi) rimase a Tricarico ad esercitare le sue funzioni di cancelliere, che presto lasciò per darsi all’impegno politico come funzionario del partito. Fu a capo della federazione napoletana succedendo a Raffaele Cacciapuoti ed è stato parlamentare per alcune legislature. Qui racconto, in base al mio ricordo, il rapporto politico di Alinovi con Tricarico e aggiungo la non comune storia del suo nome. Egli era sempre presente alle frequenti manifestazioni politiche di quel periodo sconvolgente, in cui il mondo cambiava vertiginosamente: tra i protagonisti alle iniziative della sinistra con Scotellaro, Grobert e, per l’appunto, Alinovi, in rappresentanza del partito comunista; e tra il pubblico alle manifestazioni pubbliche della democrazia cristiana. La mia impressione, che mi è rimasta e potrebbe essere sbagliata in quanto allora ero una ragazzo di tredici anni, è che Alinovi non portò bene ai comunisti tricaricesi. La ragione va cercata nel suo estremismo (giustificato dalla tradizione familiare e dalla giovanissima età) è nell’incendiario suo unico comizio (io non ne ricordo altri), pronunciato il 1° maggio 1944, che produsse effetti disastrosi per il suo partito. Sono stato sempre convinto che a causa di quel comizio il PCI, a Tricarico, prese solo 60 voti all’elezione dell’Assemblea Costituente. Per capire bisogna rifarsi a quanto era accaduto nei mesi precedenti, dal crollo del regime fascista, all’armistizio dell’8 settembre, alla rapida liberazione delle province del Sud, alla fuga del re a Brindisi, al Convegno di partiti antifascisti a Bari, e occorre ricordare, in particolare, gli eventi del mese precedente il comizio. Nel pomeriggio del 27 marzo il Vesuvio eruttò una enorme massa di cenere e lapilli, lanciati a molte diecine di chilometri, dopo di che il vulcano si quietò. La cenere raggiunse anche Tricarico, dove nevicava a larghe falde nere per il contatto con la cenere, che si depositavano come una coltre nera sui tetti, per le strade e le campagne. In quell’inferno, nella sede della federazione di Napoli del partito comunista si presentò a Raffaele Cacciapuoti, segretario federale, il mitico compagno Ercole Ercoli, alias Palmiro Togliatti, segretario generale del partito dal 1927. Togliatti il 1° aprile convocò il primo consiglio nazionale comunista delle regioni liberate e annunciò quella che sarebbe passata alla storia come la «svolta di Salerno»; e il 2 aprile espose la nuova linea in un’intervista all’Unità. L’impressione suscitata fu enorme e sconvolgente, benché Togliatti avesse dato qualche anticipazione, prima del rientro in Italia, in interviste concesse al Cairo e ad Algeri. Il 22 aprile si costituì il secondo governo Badoglio, di cui facevano parte i sei partiti antifascisti e Togliatti ne fu vice presidente. La risoluzione che era scaturita dal consiglio nazionale dava assicurazione a tutti gli italiani, indipendentemente dalla loro condizione sociale e politica, che l’azione era tesa essenzialmente a liberare il paese dai tedeschi e dai fascisti. La partecipazione al governo di Togliatti al livello più alto dopo Badoglio suggellava tale assicurazione. Fu in quel clima che si decise di celebrare a Tricarico la festa del Primo Maggio (la prima Festa dei Lavoratori dopo la nefasta parentesi fascista), con un comizio pubblico in cui presero la parola, per il partito d’azione, il sindaco avv. Carlo Grobert per il partito d’azione, Rocco Scotellaro per il partito socialista e Abdon Alinovi, per il partito comunista. Gli oratori non disponevano di un microfono: nessun problema per il sindaco Grobert, uomo corpulento dalla voce tuonante, e anche Alinovi riuscì a farsi sentire. Solo chi si fece sotto la scalinata della cappella di San Pancrazio riuscì ad ascoltare qualche scampolo del comizio di Rocco Scotellaro: ricordo lo sforzo che fece per tirar fuori tutto il fiato che aveva, ma a malapena le sue parole giungevano distintamente appena oltre la cancellata della cappella. Il discorso di Scotellaro fu perciò una delusione per la piazza, che s’era completamente riempita. Ma Rocco aveva il senso del momento storico che vivevamo e il suo discorso l’aveva scritto ed è quindi possibile leggerlo, pubblicato nell’appendice documentaria a Scotellaro: «La cronaca ritrovata» a cura di Giuseppe Settembrino, pubblicato dalla Pro Loco di Tricarico, pp. 83 ss. In quella appendice è pubblicato anche un articolo di Scotellaro apparso sull’Avanti del 15 settembre 1946, dal titolo «Artigianato meridionale: gli uomini della pece». L’articolo fu affisso alla vetrina del negozio di Dante Minutillo, all’inizio del corso, di fronte al palazzo ducale e richiamò un folto gruppo di lettori, che lo commentavano. Si rischiò un incidente perché un confinato fascista, un giovane studente in medicina di Taranto, cofandatore di un P(artito) N(azional) F(usionista) – stesso acronimo del partito nazional fascista -, disse che non valeva la pena continuare a leggere, giacché già nelle prime righe c’era un “errore grammaticale”. Nessun errore, ci fu solo il raglio di un asino fascista tarantino, e so, ovviamente, qual è il lemma che provocò il raglio.
A leggere oggi il discorso di Scotellaro si può rimanere delusi e trovarlo carico di retorica (io invece mi sono molto commosso), ma bisogna saperlo leggere, bisogna sapersi calare nel clima del tempo, avere la saggezza di non sorridere all’attacco (retorico per questi tempi di vergogna) «Compagni di fede e d’Azione/ Chiedo la Parola». Di seguito, a p. 88, è pubblicata la cronaca predisposta dallo stesso Scotellaro per il quotidiano socialista. Il giovane Alinovi, che aveva ventun anni, come Scotellaro, pronunciò un discorso molto duro, che fece forte impressione negativa. Giunse ad invocare tribunali del popolo e plotoni di esecuzione, così poco concilianti con la risoluzione del consiglio nazionale comunista e l’assunzione di un’alta responsabilità di governo da parte del capo comunista. Forse, anzi senza forse, parlava in generale, ma le sue parole da alcuni ascoltatori tricaricesi furono interpretate come riferite a Tricarico e intese, in buona o mala fede, come richiesta di istituire a Tricarico tribunali del popolo e di schierare plotoni d’esecuzione. Ci si chiedeva chi Alinovi avrebbe voluto mettere al muro. Dopo qualche giorno la D.C. rispose con discorso dell’avv. De Maria, che mostrò di essere perfettamente informato sugli ultimi avvenimenti, li spiegò da par suo senza infierire sul povero Alinovi, col quale, in fondo, aveva rapporti di lavoro. La gente capì e il PCI alle elezioni per l’Assemblea Costituente pagò caro l’errore del giovane dirigente, prendendo solo 60 voti. Da parte mia, dopo una prima reazione, non detti alcuna importanza al discorso di Alinovi. Io ero un ragazzino di tredici anni, che però qualcosa capiva di quello che stava accadendo e Abdon Alinovi era di poco più grande di me, aveva appena ventun anni. Dagli anni del liceo gli era stato inculcato un fiero spirito rivoluzionario, che aveva dovuto comprimere. Per guadagnarsi uno stipendio aveva dovuto adattarsi a fare un lavoro in una pretura, che allora era considerato dalla sinistra l’avamposto della giustizia borghese (un funzionario della federazione socialista di Matera si impossessò di una piccola somma di denaro e Rocco Scotellaro votò contro la decisione di denunciarlo, perché il caso, secondo lui, non poteva essere rimesso alla «giustizia borghese»). Secondo me il comizio di Alinovi fu soltanto un insignificante episodio di «stupidità rivoluzionaria». E ora vengo al nome. Il padre di Alinovi era massone e anticlericale e, quando si trattò di dare un nome ai figli, cercò qualcosa che non corrispondesse a un santo e non fosse nel calendario. Ma gli andò male, perché non so dove avesse scovato quel nome, ma la scelta si palesò un autogol. Abdon è un nome biblico, citato nelle genealogie del primo libro delle Cronache ed è anche il nome di un santo, che la Chiesa ricorda il 30 luglio con un altro santo, Sennen. Abdon e Sennen erano due nobili persiani tradotti a Roma dopo una campagna militare: qui, convertiti al cristianesimo e affrancatesi dalla schiavitù, assistevano i perseguitati e seppellivano i corpi dei martiri. L’imperatore, venuto a conoscenza della loro attività, li avrebbe fatti imprigionare e il Senato romano, al loro rifiuto di sacrificare agli dei pagani, li avrebbe condannati a morte. Portati davanti alle belve nel Colosseo riuscirono ad ammansirle e allora furono uccisi barbaramente dai gladiatori. I loro resti si trovano nella chiesa di San Marco papa a Roma. Santi patroni della diocesi di Perpignano, vengono invocati quali protettori dei fanciulli ciechi e rachitici, dei fabbricanti di botti e contro gli animali nocivi e la grandine.
Lasciata Tricarico, non l’ho più rivisto. La notizia della sua scomparsa mi rattrista e mi richiama i ricordi che lo rapportano a Tricarico. Riposi in pace.
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