La scomparsa di Folco Quilici, l’uomo che ci ha fatto conoscere il mare
Il Sole 24 Ore 25 FEBBRAIO 2018
Addii. Scomparso il documentarista Folco Quilici (1930-2018)
L’uomo che ci ha fatto conoscere il mare
Che vita piena e invidiabile è stata quella di Folco Quilici, scomparso ieri a Orvieto all’età di 88 anni!
Fotografo e documentarista cinematografico, giornalista e scrittore, divulgatore abilissimo e a suo modo educatore provetto, ma soprattutto, quasi esclusivamente, in un campo particolare, nel quale ha avuto pochissimi rivali: il mare.
Quilici ha girato per i mari di tutto il mondo e per le loro coste, illustrandocene l’ambiente fisico, l’ambiente vegetale, animale, e ovviamente umano. Di buona famiglia, era stato sin dalla prima gioventù un cineamatore, un dilettante che seppe inserirsi con rara intelligenza, grazie al cinema, in quel grande filone della divulgazione scientifica, in particolare geografica, che ha segnato la cultura del secondo dopoguerra, quando l’Italia lentamente si alfabetizzava e si apriva al resto del mondo, scopriva se stessa e il mondo. Il regista al quale viene istintivamente di paragonarlo è Vittorio De Seta, che era qualcosa di più che un documentarista e un ecologista ante litteram, era anche un grande poeta, degno allievo di Flaherty.
Flaherty fu, in vario modo, un maestro di tanti, anche nella versione accomodante e pedagogica del “National Geographic Magazine” e della serie disneyana di “La natura e le sue meraviglie”.
La versione italiana, foto-giornalistica, di quei filoni, fu sostenuta dai grandi settimanali e mensili illustrati degli anni cinquanta, da “Epoca” fino a “L’illustrazione italiana”. Sapevamo poco di tutto, e se il neorealismo aveva aiutato gli italiani a conoscere l’Italia, gli anni che preludono al boom o ne hanno visto l’esplosione, esigevano di allargare lo sguardo sul mondo. Quilici, coi suoi grandi documentari marini e sottomarini, esplorò soprattutto gli oceani, e contribuì a dare agli italiani il sogno del lontano e dell’esotico, che in altri modi fu coltivato dai film che univano – cosa mai consona a Quilici – l’esotico e l’erotico, una voga aperta dai lungometraggi documentari di Blasetti e da una serie di film “peccaminosi” tipo Bora-Bora. Furono tuttavia “Sesto continente” e in “Ultimo paradiso” di Quilici, lungometraggi della metà degli anni cinquanta, a suggerirne lo sfondo. Il suo film più noto fu “Ticoyo e il suo pescecane”, 1961, frutto di una lunga lavorazione e tuttora utilizzato nella didattica per accostare l’infanzia al mondo del mare.
Un lungometraggio narrativo del nostro regista di cui si ha un buon ricordo fu “Dagli Appennini alle Ande”, dal famoso e bel racconto deamicisiano, ma anche in esso la parte più convincente era quella documentaria: il grande tema del viaggio in paesi lontani si addiceva allo stile e all’ispirazione di Quilici.
Della ostinata e fortunata carriera di questo regista si potrebbero ricordare molti altri successi: la serie televisiva su “L’Italia vista dal cielo” finanziata dalla Esso (1965) che ebbe a commento di ogni puntata scrittori come Piovene e Soldati (pour cause!), Calvino e Sciascia, Comisso e Silone eccetera, o quella sul Mediterraneo ispirata e commentata dal grande Braudel.
Attivissimo, forse perfino più di un Piero Angela, Folco Quilici ha avuto il merito di non volersi imporre come personaggio, di restare fino in fondo un regista, un fotografo, un giornalista, un divulgatore. Ha anche scritto con la moglie Anna, e gliene siamo grati, due biografie che molti ragazzi hanno amato, sull’esploratore Amundsen e su Jack London. Ma il suo terreno d’elezione è stato il documentario cinematografico “naturalista”, retto da una forte sensibilità ecologica, e da un dominante amore per il mare.
È stato il mare la sua prima fonte di ispirazione, in un paese dove sia la letteratura che il cinema dal mare hanno preso raramente l’ispirazione, pur essendone l’Italia circondata per tre quarti. Quilici non è stato un Flaherty e non è stato un De Seta, aveva ambizioni meno alte ma ci ha aiutato a scoprire e ad amare troppe cose del mondo che ci circonda perché non lo si apprezzi e rimpianga.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Goffredo Fofi
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Non vi è alcun dubbio sull’importanza di Folco Quilici e delle sue opere per quelli della nostra generazione, che eravamo all’oscuro del mare e dei suoi problemi. Ma mi sia consentito di sottolineare particolarmente la preziosità del certosino lavoro compiuto dal nostro amico Antonio, che, attraverso questo “nostro spazio” ci informa e ci insegna cose importanti da conservare gelosamente nella nostra memoria. Conclusione. Onore a Quilici per la sua colta opera di ricerca, analisi, informazione e comunicazione che ci ha regalato; ma ancor più onore e gloria ad Antonio che ci consente questi momenti preziosi di sicuro arricchimento……….
Gilberto, per favore …!
Caro Antonio, il prof Marselli Ha ragione
Mimmo