“Una piazza meridionale” di Giuseppe Fortuna: un libro da leggere
“Una piazza meridionale” di Giuseppe Fortuna: un libro da leggere
Due tricaricesi – un saracinaro e un piazzaiulo – si incontrano a Milano, dove entrambi erano emigrati; dico meglio o, forse, con malignità: dove il saracinaro era emigrato e il piazzaiulo si era trasferito. – Pure tu stai a Milano? – domanda il saracinaro – E com’è che nda chiazz n vin mai? – Intendeva piazza Duomo, dove si recava la mattina d’ogni domenica, come faceva a Tricarico.
Da tempo giaceva sul mio tavolo di lavoro un volumetto intitolato “Una piazza meridionale” di un certo Giuseppe Fortuna, che non mi diceva nulla. Normalmente sul tavolo ho i libri che intendo leggere o ho letto da poco, ed evidentemente, non so perché, non avevo nessuna voglia di leggere questo volumetto. Forse la voglia me l’aveva fatta passare la dedica con la sua apparente retorica politicante: “Al popolo Ciriglianese sperando che il futuro sia migliore del passato”. Comprenderò dopo che, con incredibile leggerezza, avevo preso una imperdonabile cantonata, ma non potevo sapere che era la dedica ai ciriglianesi per il contributo dato all’elaborazione di una analisi sociologica di alto valore scientifico. Mi era venuta a mente la canticchiata di Pasciucco, uno dei due uxoricidi, compagno di Rocco Scotellaro nella camerata numero 7 del carcere di Matera, facendomi pensare che in quel libro non avrei trovato nulla del mondo di Scotellaro: «Aliano e Alianello – Sant’Arcangelo e Missanello _ Gorgoglione e Cirigliano – Chi vuole puttane – Va a Stigliano – Chi vuole quelle più fini – Va a Pisticci e a Ferrandina».
Prendo in mano il libro per decidere che fare: leggerlo finalmente o metterlo da parte? Apro la copertina e cade uno scontrino della Libreria Hoepli di Milano. Dunque il libro l’avevo scelto, l’avevo ordinato e vedo, leggendo lo scontrino, che l’avevo pagato 25,15 euro; dunque mi interessava, ma poi l’interesse era svanito: cose che capitano alla mia età.
Nell’alto materano, dove Cirigliano confina con Gorgoglione, Stigliano e Accettura, ho vissuto un paio d’anni nella mia infanzia e io e la mia famiglia abbiamo sempre ricordato con nostalgia il nostro felice soggiorno ad Accettura, terra magica. E terra magica definisce quell’angolo boscoso dell’alta Lucania, con visuale estesa e, a mio parere, con generosa concessione a qualche scrittore, anche Giuseppe Fortuna: «Questa è la terra della dolce valle dell’Agri, decantata dal poeta lucano Leonardo Sinisgalli. Ricca di folklore, di religiosità popolare e culti, come quello della Madonna Nera di Viggiano, regina delle genti lucane. Questa è la terra delle valli del Bradano, Basento e Sinni, piene di leggende e miti. Si favoleggia che le acque del Sinni siano state alimentate dal pianto di Isabella Morra, la sfortunata poetessa del Cinquecento trucidata dai fratelli nel castello di Favale a Valsinni. È in queste vallate e colline e monti che sono sorti fin dall’antichità i primi agglomerati umani (…). Questa è la terra del “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi; la terra “dell’Uva Puttanella” di Rocco Scotellaro, del poeta dei contadini che con i contadini c braccianti occuparono le terre negli anni Cinquanta; la terra “dell’Eredita della Priora” di Carlo Alianello, dei “Fuochi del Basento” di Raffaele Nigro; la terra da “Mille anni che sto qui” di Mariolina Venezia, “Dell’Americano di Celenne” di Giuseppe Lupo, dei “Parenti Lontani” di Gaetano Cappelli, la terra di “Verrà il vento e ti parlerà di me” di Francesca Barra. Questa è la terra dei “Basilischi” di Lina Wertmuller, una terra pura, autentica, magica messa in mostra da Francis Ford Coppola, la terra di “Basilicata coast to coast” di Rocco Papaleo, di “Lucani Altrove: un popolo con la valigia” di Renato Cantore. Questa è la terra della Magna Grecia con Metaponto e le sue tavole Palatine, dove Pitagora istituì la sua scuola; la terra del regno Normanno Svevo di Federico II, con Melfi la sua prima capitale nel Mezzogiorno; la terra del poeta romano Orazio, delle grotte neolitiche dei Sassi di Matera, del parco del Pollino ed il suo pino loricato, del parco di Gallipoli-Cognato, della Rabatana araba di Tursi, decantata da Albino Pierro, dove alla fine del Trecento nacquero le prime leggi comunali che avrebbero messo in crisi il sistema feudale; la terra dell’antica Heraclea fondata cinque secoli prima di Cristo. Oggi la Basilicata è una terra diversa da quella che il turista immagina d’incontrare dopo aver lasciato Eboli. I musei di Matera e Potenza, le antiche vestigia della civiltà greca a Metaponto, Policoro, la città morta di Grumento, i monumenti e i castelli sparsi ovunque, sono testimonianza di una civiltà e di un passato che hanno impresso tracce profonde. Il verde che predomina ovunque, in fondo smentisce la tesi di Giustino Fortunato, secondo cui nella Basilicata i fattori geofisici avrebbero reso vano ogni tentativo di trasformazioni del paesaggio agrario. L’area del metapontino e quella del Vulture nel Potentino ne sono la prova».
Giuseppe Fortuna negli anni Settanta aveva lasciato Cirigliano, partendo dalla piazza IV Novembre – dove in lontane ere, su uno strano loggiato, ricordo di aver arringato il popolo ciriglianese con comizi a sostegno di un partito che non c’è più –. «Sono andato via negli anni Settanta da Piazza IV Novembre, la piazza principale del mio paese. Me ne sono andato nel silenzio delle prime ore mattutine con tante emozioni celate. Dal finestrino dell’autobus, tra una curva e l’altra, ho visto il mio paese apparire e sparire, dopo l’ultimo tornante, l’ho visto poi sparire definitivamente serrandolo in un rabbioso abbraccio. Tanti altri piccoli borghi arroccati sulle colline materane, uno dopo l’altro, si sono alternati prima di arrivare alla stazione di Grassano. Alla stazione feci il biglietto del treno che mi avrebbe portato lontano dalla mia Basilicata e dalle sue colline, montagne, vallate, pianure e da Piazza IV Novembre …».
Come non ricordare la partenza di Leonardo Sinisgalli per Caserta, nel 1917, finite le elementari, per andare in collegio «Partimmo, attraversammo il fiume, ci allontanammo dal confine della provincia. (Io dico qualche volta per celia che sono morto a nove anni, dico a voi amici che il ponte sull’Agri crollò un’ora dopo il nostro transito; mi convinco sempre più che tutto quanto mi è accaduto dopo di allora non mi appartiene, io sento di non aderire che con indifferenza al mio destino, alla spinta del vento, al verde, al rosso. Io so che la morte arriva all’ora prescritta; non è un’ingiuria, non è un sopruso; io so di essere stato tradito per tutta la vita uscendo fuori dalle mie dolci mura, io che non ero innamorato di carte e di stampe, ch’ero nato senza appetiti, senza fiamme nella testa, e volevo semplicemente perire dentro la mia aria. Forse siamo pochi a lamentarci di non saper più trovare una patria fuori dalle nostre colline). Poi non ricordo più». E’ destino di noi lucani essere trapiantati lontano con un alito.
La destinazione di Giuseppe Fortuna è nelle lontane Americhe, ma il suo destino è ben diverso di quello di milioni di emigrati meridionali. In America egli è diventato uno studioso importante, professore emerito di sociologia urbana e docente nella facoltà di Urban Studies al Queens College della City University di New York, autore di numerosi apprezzati saggi.
Dopo una vita vissuta all’estero i suoi legami con la Basilicata e Piazza IV Novembre sono ancora forti. Piazza IV Novembre è simile a tante altre piazze dei piccoli comuni meridionali. È in Piazza IV Novembre che giovanissimo ha visto scorrere lacrime amare sul volto di uomini duri, rozzi e donne, le vedove bianche, abbandonate dai mariti costretti a lavorare all’ estero per un lungo periodo. Ogni anno uno alla volta, contadini, braccianti e anche artigiani se ne andavano via da Piazza IV Novembre. Abbracciata la moglie e accarezzati i figli nel sonno di buon ora, ancora nella oscurità della notte, hanno preso l’autobus della SITA per la stazione di Grassano a prendere il treno per luoghi diversi. Se ne sono andati nell’oscurità prima che il sole spuntasse nella speranza di una vita migliore. È in Piazza IV Novembre che ha visto scorrere lacrime amare sul volto di suo padre, dei suoi zii che partivano per la Germania e sul volto di altri padri, zii e vedove bianche che ognuno, invano, cercava di celare. È in Piazza IV Novembre che giovanissimo aveva stretto i denti per contenere le sue silenziose lacrime affogate nel cuore.
Pare che Giuseppe Fortuna sia spesso tornato a Cirigliano. Vi ritorna ancora, dopo circa quarant’anni, per compiere un’analisi sociologica, il cui risultato è consegnato al citato libro non a caso intitolato “Una piazza meridionale”, Guida Editori, Napoli. 2016, pp. 128 con postfazione di Antonio Pilieri, suddiviso in sei capitoli.
Piazza IV Novembre è come un libro aperto dove si scrive, e allo stesso tempo, si sfoglia ogni giorno una pagina nuova, è il centro delle attività paesane e vuole rappresentare le tantissime piazze di piccoli comuni meridionali. È come un grande quotidiano orale – scrive Ventura -, una televisione dal vivo diretta dal popolo e dal loro senso comune nel discutere problemi locali, nazionali e internazionali. Lì si parla di tutto anche di ciò che si è sognato durante la notte.
La ricerca svolta nel suo paese nativo comporta il rischio del ricercatore insider, all’interno del gruppo, che può indebolire quel senso di oggettività richiesta ai ricercatori. Mi pongo domande sulle ricerche di Rocco Scotellaro. Non mi risulta che il problema sia stato posto e la risposta che mi do è che Rocco, con l’indole sua poetica, prevalente su quella sociologica nell’Uva puttanella e nei Contadini del Sud, si sia sottratto al dilemma scientifico “ricercatore insider/ricercatore outsider”. Il ricercatore outsider è fuori del gruppo e rischia di non essere socializzato nel gruppo che sta studiando. Un’assurdità pensarlo di Rocco. Fortuna opta per una strada a metà, detta del ricercatore “outsìder within”: il ricercatore fa parte del gruppo ma lo analizza da outsider, così può garantire un equilibrio tra addestramento sociologico del ricercatore e la sua personale conoscenza del gruppo senza che l’uno sia subordinato all’altra. Detta così, può sembrare una banalità. Non in ogni caso tale se penso a Rocco, che la poesia fonde col gruppo e dal gruppo lo eleva. Non so se bisogna essere un po’ poeti per applicare la metodologia dell’outsìder within, di cui Fortunas fornisce le coordinate bibliografiche, evidentemente per gli specialisti che intendano approfondire, ma essere lucano certamente aiuta.
Durante le visite annuali a Cirigliano Fortuna ha ascoltato attentamente quando veniva detto in Piazza IV Novembre, ottenendo una foto chiara, di prima mano, di questa piccola comunità meridionale. I dati non sono stati raccolti per esaminare delle specifiche ipotesi, lo scopo principale è stato di descrivere la quotidianità di questa comunità al di là di dati statistici, abbastanza catastrofici, riportati annualmente da ISTAT, CENSIS e SVIMEZ.
La ricerca di Fortuna non ha preteso di sviluppare generalizzazioni sulla comunità, ha voluto, piuttosto, riportare ciò che è stato osservato ed ascoltato per fare conoscere a tanti la sua dura quotidianità. Ha voluto altresì investigare i vari cambiamenti sociali occorsi negli ultimi decenni ed il loro impatto nella quotidianità.
Nella piazza il ricercatore parla con le persone, le ascolta, la piazza diventa simbolo delle piazze meridionali, soggetto, autore stesso di un racconto popolare, non riassumibile, che rimanda, alcuni decenni dopo, a letture sociologiche e antropologiche di molti decenni fa, di ricercatori passati per Tricarico, di conversazioni con Rocco Mazzarone, di convegni di studio organizzati dal Comune.
La ricerca di Giuseppe Fortuna riguarda la natura e l’evoluzione di un luogo che rappresenta nel contesto culturale meridionale un punto di riferimento assoluto, la piazza, spiegando le diverse e complesse dinamiche che la governano. Nell’epoca dei mezzi di comunicazione digitale che hanno radicalmente modificato il nostro modo di stare al mondo, il nostro modo di rapportarci al mondo, la piazza risulta ancora essere il luogo aggregativo per eccellenza. Caratteri che trovo nella piazza per antonomasia di Ferrara, piazza Duomo.
Una piazza meridionale è però luogo nel quale ancora è possibile ritrovare le radici di quel fenomeno che lo stesso Fortuna definisce “gruppismo produttivo”, che non è possibile illustrare in questo scritto, in cui ho voluto semplicemente raccontare la scoperta di un libro di cui consiglio la lettura, che in quarta pagina di copertina è così presentato: «Il libro non solo emula la collaudata storiografia degli Annali, la storia delle piccole comunità, dei singoli protagonisti minori, allo stesso tempo propone un nuovo modo di analizzare la secolare Questione Meridionale prestando attenzione sia alla politica economica che non è ancora riuscita a risolvere il divario tra Nord e Sud, sia alla politica culturale, mettendo in rilievo alcuni difetti dei meridionali analizzati da stuudiosi americani, come familismo amorale e mancanza di civismo.
L’autore con discrezione propone una via di uscita con il suo “gruppismo produttivo” per superare la teoria Banfieldiana di determinismo culturale del “familismo amorale”.
Conclude che una combinazione di politica culturale e politica ecomica potrebbe ridurre il secolare divario tra Nord e Sud.»
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Una Piazza Meridionale e` stato un atto di amore verso la mia terra. Grazie per l’attenzione dedicata al mio libro.