14.01.2021 Condivido su FB questa storia pubblicata 3 anni fa, segnalando subito che si tratta della storia di Matteo Renzi

Mi capita tra le mani, scartabellando tra i miei libri, un volume di 116 pagine, che avevo letto circa vent’anni fa, ma non sapevo dove fosse finito. Dirò più avanti chi sono gli autori di questo libro, ora darò il titolo (un titolo strano, con due parole in rosso), e il resto: «Ma le Giubbe Rosse non uccisero Aldo Moro – La politica spiegata a mio fratello» e interventi di Romano Prodi, Luciano Violante, Carlo Conti (sì, proprio lui, il conduttore radiofonico e televisivo, direttore artistico e presentatore del festival di San Remo, ecc.), con illustrazioni di Sergio Staino.
«Di tante cose – scrive Prodi – parla questo libro, ben scritto in forma di dialogo fra fratelli: Jonas, il minore, diffidente quasi per definizione su tutto ciò che ha a che fare con la politica, e Lorenzo, il maggiore, tutto concentrato nello sforzo di spiegare il bello della politica. Sono cose – è sempre Prodi che scrive – che riguardano, a un tempo, la vita di tutti i giorni e di tutte le persone: il lavoro e il divertimento, la fede e la felicità, i drammi individuali e collettivi. Credo che, una volta terminata la piacevole lettura, si possa davvero dire: missione compiuta. Il dialogo fra Jonas e Lorenzo dimostra che il vero segreto della buona politica rimane il suo saper essere l’ “arte di governare la città, la polis”».
Lascio ancora la parola a Prodi, che del libro, con due parole, spiega bene il minimo … sindacale, ma, ovviamente, sarebbe indispensabile leggere tutte le 116 pagine e gustarsi le 11 illustrazioni di Staino.
«Cantautori e personaggi dello spettacolo molto cari ai giovani di oggi [di vent’anni fa!] (Piero Pelù, Ligabue, De Gragori …) e autentici testimoni di questo secolo [che ora è secolo scorso!] John e Bob Kennedy, don Milani, De Gasperi, il cardinale Martini, Giorgio Ambrosoli …) intrecciano continuamente – lungo i sei capitoli del libro – le loro “voci”. Non so, in tutta sincerità, se …. – gli autori – abbiano studiato anche musica. So però, e l’ho scoperto leggendo le loro pagine, che avrebbero potuto essere dei bravi “maestri del coro”. Qui hanno saputo armonizzare “voci” assai diverse per storia e tradizioni: ma il tutto senza note stonate. Il futuro della nostra società di questo fine secolo, in cui giovani d’oggi vivono e studiano, emerge come la giusta preoccupazione dominante del dialogo: Lorenzo è nel giusto quando si spende – senza risparmio di energie – per far comprendere al fratello minore, che una parte non piccola del mondo che verrà dipende anche dai loro stessi comportamenti. O, meglio, dai comportamenti delle giovani generazioni a cui, entrambi, appartengono. D’altra parte, come non comprendere lo scetticismo, quando non il disincanto, di Jonas, di fronte alle cose della politica, della politique politicienne? E qui entriamo in gioco noi: gli adulti.»
Quando lessi il libro sapevo opere vita e miracoli – diciamo ancora – di Lorenzo, nato nel 1964 e cresciuto nella DC. Buio assoluto su Jonas, di cui dimenticai anche il nome. Ora che, dopo vent’anni, ho ripreso in mano il libro e ho letto chi è Jonas, ho provato una sorpresa di quelle che ti fanno fare un salto sulla sedia. E chi se lo poteva immaginare, anche perché, nella ventennale parentesi, mi era capitato di incontrare Jonas e conoscerlo?
Siamo nel 1999, da circa un anno governava D’Alema, succeduto all’Ulivo di Romano Prodi. Lorenzo – oramai lo sappiamo – ha 35 anni, si poteva immaginare – e così immaginai – che il fratello Jonas fosse più giovane di una decina d’anni e, raggiunta l’età della ragione, stesse raccogliendo i cocci della DC nel crollo del partito popolare e avrebbe terminato la raccolta dal trampolino della Margherita. Una diecina d’anni sono una generazione, in questo periodo di tempo che scorre veloce, Lorenzo, fratello maggiore, è il maestro di Jonas. Quando ho conosciuto il vero nome di Jonas, mi sono reso conto che il (breve) salto generazionale dei due fratelli segna l’immagine di un cammino dalla buona politica allo smarrimento del suo vero segreto.
Jonas inizia come portaborse di Lorenzo, ne diventa allievo, e viene riconosciuto migliore allievo. Il rapporto, che velocemente si sviluppa, racconta una storia leonardiana. Diceva, o pare che dicesse il genio da Vinci: “Triste l’allevo che non supera il maestro”. Ma qui il rapporto tra i due è qualcosa di assai più complesso, perché in questo caso, l’allievo non ha mai scaricato il maestro, anche dopo averlo doppiato: i due, nonostante gli strappi laceranti, sono sempre rimasti in contatto, perché quella tensione è sempre servita a entrambi come stimolo. Finché il maestro abbandona il campo.
Lorenzo è Lapo Pistelli. Aveva due o tre mesi quando morì il padre, Nicola Pistelli. Un nome, quello di Nicola Pistelli, che non dirà niente a nessuno, ma per me, di cui ero coetaneo, avevo un anno di meno, è una persona indimenticata e indimenticabile, e simbolo forte della buona politica. 35enne deputato della Democrazia cristiana, esponente di spicco della sinistra dc cosiddetta “di Base”, fondatore della rivista “Politica”, di cui non ho mancato di leggere un solo numero, saltando qualche cena, punto di riferimento del dibattito politico culturale fiorentino e nazionale fra gli anni ’50 e ’60, nonché assessore ai lavori pubblici nella seconda giunta di Giorgio La Pira, la prima di centrosinistra a Palazzo Vecchio, Nicola Pistelli morì il 17 settembre 1964, a 35 anni, in un incidente d’auto vicino Pisa. L’anno precedente era stato eletto alla Camera dei deputati e due o tre mesi prima aveva avuto il figlio Lapo.
Con la morte di Nicola Pistelli scomparve uno degli intellettuali e politici di maggior caratura del panorama italiano, non solo cattolico, la cui lucidità di analisi, il senso etico nell’impegno politico, la lungimiranza nell’individuare temi cruciali per la modernizzazione del paese, restano doti raramente uguagliate. Il tutto partiva da una visione molto più laica, in tutti i sensi, della politica, nel rapporto con le gerarchie ecclesiastiche, fino ad allora determinante per la Dc, come con l’avversario ideologico, la sinistra. Non c’è dubbio che l’elemento veramente nuovo di Politica (e della corrente La Base) sia stata la laicità, una concezione compiutamente laica del partito, che considera la politica del tutto autonoma dalle gerarchie, e la fede un elemento personale, sebbene dichiarato e fondante. Insieme, c’è l’accantonamento della dottrina sociale della Chiesa, con la tematica del corporativismo, su cui Pistelli prenderà posizione per primo in modo chiaro. Politica fu cassa di risonanza di idee politiche e programmatiche che costituiranno la prospettiva stessa del centrosinistra. Nata a Firenze, nell’ambito della Dc locale, grazie anche al talento di Pistelli, la rivista acquistò subito un rango nazionale nel dibattito che porterà all’alleanza politica con la sinistra. Il Psi, innanzitutto, ma anche il Pci, in un’ottica di superamento della contrapposizione ideologica, e, a partire dal piano degli accordi politici, della maturazione del sistema democratico nel suo insieme. Pistelli pose anche il problema del partito come elemento di formazione della pubblica opinione, più che come strumento organizzativo, col compito di costruire una cultura politica condivisa.

La specializzazione degli studi e della docenza di Lapo Pistelli sono il fondamento all’attività politica nella DC. Consigliere comunale e assessore di Firenze, eletto deputato alla Camera nel 1996 con l’Ulivo, entra a far parte della Commissione Affari Costituzionali, di quella Affari Comunitari e della Commissione Esteri, e partecipa per alcuni anni alla Delegazione parlamentare italiana presso l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). Eletto parlamentare europeo nel 2004, è membro della Commissione Esteri e Presidente della Delegazione Unione europea-Sudafrica.
Nel 2007, con la nascita del partito democratico. entra a far parte dell’esecutivo nazionale guidato da Walter Veltroni, andando a ricoprire il ruolo di Responsabile nazionale Esteri e Relazioni Internazionali, incarico successivamente confermato sotto la segreteria di Dario Franceschini e Pier Luigi Bersani. Rieletto alla Camera dei Deputati nel 2013, è nominato Vice Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, posizione che mantiene con il Governo Letta e il Governo Renzi.
A Firenze lo accompagnava lo slogan di Lapo il predestinato sindaco. Nel 2009 si candida alle primarie del centrosinistra per scegliere il sindaco del Comune di Firenze, arrivando dietro Matteo Renzi. Matteo Renzi è Jonas, il suo vecchio portaborse. Per il maestro la delusione è così cocente che lascia la sua casa sulle colline e si trasferisce a Roma con tutta la famiglia. Tra Renzi e Pistelli sono almeno due anni di silenzio totale. Il deputato (di sponda veltroniana), carattere difficile ma politico estremamente preparato, nel frattempo consolida i suoi rapporti con Stati Uniti e Medioriente. La sua autorevolezza è riconosciuta da tutti, ma Pistelli non è mai riuscito a trasformare questo patrimonio in consenso personale, a mettere voti in saccoccia insomma, disciplina in cui il l’allievo Renzi è maestro.
Il seguito è storia recentissima. Il PD guidato da Bersani non vince le elezioni, Enrico Letta diventa premier e Pistelli viene nominato viceministro degli Esteri. Meno di un anno dopo Renzi rifà irruzione (stavolta la cristalleria è quella di Palazzo Chigi), detronizza l’amico Enrico, a cui Renzi aveva raccomandato di stare sereno. Pistelli rimane al suo posto. Ben saldo, perché il neo premier ha un gran bisogno dell’esperienza e della bussola del maestro. Le cose vanno bene per qualche mese, poi è di nuovo rottura, quella finale. Il ministro degli esteri Federica Mogherini vola in Europa come lady Pesc e per Lapo si spalancano le porte della Farnesina. Una promozione scontata, soprattutto per l’ottimo lavoro tra Africa e Medioriente. Ma arriva una doccia scozzese, perché Renzi spariglia e agli Esteri manda Paolo Gentiloni. Quella del premier è una decisione lucida, di chi sa che nel disegno del governo renziano mettere al vertice una personalità così forte come Pistelli è rischioso, soprattutto per l’allievo che ha superato il maestro.
Il 15 giugno 2015 Pistelli annuncia l’abbandono della vita politica, dimettendosi lo stesso giorno dall’incarico di viceministro degli esteri e, quindici giorni dopo, dalla Camera dei Deputati.
La storia di Pistelli ci dice molto anche su un tema che rischia di essere cruciale nel futuro del renzismo: fino a quando riuscirà a trattenere nella sua sfera politica, i politici non perfettamente allineati con il pensiero renziano?; basteranno i tre No scanditi con l’annuncio delle dimissioni inattive?

Ma le giubbe rosse._._.2

 

3 Responses to UNA STORIA LEONARDIANA ?

  1. Teresa Crespellani ha detto:

    Articolo molto interessante e anche molto triste, purtroppo…
    Grazie a chi lo ha scritto e che ci ha aperto ancor più gli occhi peraltro già abbastanza aperti (avevo a suo tempo votato Pistelli!)

    • Antonio ha detto:

      Il suo intervento mi dona una grande felicità. Immagino che abbia votato per Lapo, non per Nicola. Mi vengono le lacrime agli occhi.

  2. Antonio Carbone (TONINO) ha detto:

    Evidenziare, oggi, l’inaffidabilità e la doppiezza del politicante Renzi ,è cosa perfino ovvia. Quello che mi sconcerta è come la politica attuale possa essere un terreno faciale per l’affermazione di simili personaggi. Purtroppo questa deriva è facilitata dall’allontanamento dei cittadini dalla vita politica che lascia campo libero a ” nani e ballerine” ed aggiungo squali e pescecani.

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