PERCHE’ L’ODIO SEMBRA PIU’ FORTE
PERCHÉ L’ODIO SEMBRA PIÙ FORTE
Al termine di una lezione tenuta ai ragazzi di un liceo sull’uso responsabile delle tecnologie, mi si è avvicinato uno studente e mi ha sussurrato: «Lo sa perché noi odiamo online? Lo sa perché parliamo con certi toni? Lo sa perché se ora le venisse un attacco di cuore, io non mi affannerei per soccorrerla, ma la riprenderei con il mio telefonino e metterei il video su YouTube? Perché ciò mi porterebbe consenso. Mi porterebbe visibilità. Mi porterebbe apprezzamento nella mia comunità. Mi porterebbe milioni di like e visualizzazioni al mio video, migliaia di commenti e condivisioni. Usare un certo tono e un certo linguaggio sono i miei modi per attirare attenzione nell’ambiente online dove vivo almeno sei ore al giorno. Per guadagnare dei “mi piace” e delle condivisioni. Un video dove io la salvo da un infarto, vale al massimo quattromila visualizzazioni. Un video dove lei muore in diretta, ne vale quattro milioni».
La risposta del ragazzo, per quanto cruda e criticabile, è chiarissima. Dato che la tecnologia alla base delle azioni degli utenti/cittadini è democratica, aperta, neutrale e trasparente, tutti i cittadini hanno le stesse possibilità, lo stesso “volume” e visibilità nelle discussioni, la stessa identica capacità di attirare attenzione, discussioni e traffico. E allora per distinguersi si usano toni, argomenti, approcci che siano capaci di attirare attenzione usando le tre caratteristiche più evidenti che la tecnologia offre: la capacità di amplificazione del messaggio, la persistenza dello stesso e la “socializzazione” delle informazioni (come le condivisioni), che ne aumentano ancora la potenza diffusiva. I due fattori della ” velocità” e della ” sintesi” sono chiaramente, allora, quelli che sono più di ostacolo a una riflessione pacata e approfondita: l’esasperazione dei concetti e dei termini usati è, al contrario, il trucco per attirare visitatori.
A ciò si aggiunge quello che è stato definito “effetto disinibitorio”: il display, lo schermo, la Rete spingono a discutere, intervenire, polemizzare e veicolare odio anche persone che in contesti sociali ” fisici” sarebbero portate a mantenere toni più pacati o, addirittura, a non intervenire nelle discussioni.
Giovanni Ziccardi in LA REPUBBLICA del 30 luglio 2017 (estratto)
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Lucidissima ma anche tragica descrizione di uno stato purtroppo prevalente in una società che è sempre più dell’immagine che non della sostanza. Vi conta molto più l’APPARIRE che non il più sostanziale ESSERE nella realtà: da ciò la gran parte degli inconveniente che oggi dobbiamo registrare nei processi comunicativi fino ad accorgersi che, fondamentalmente, NON SI COMUNICA più. Mala tempora currunt e sarebbe proprio urgente un intervento ad hoc tendente a ridurre i costi e i pericoli di una tale tendenza. Grazie di averci segnalato questo articolo di Ziccardi.
Ahimè, caro GIL, non vedo provvedimenti fattibili né soluzioni. E’ il tempo della Rete, può darsi, ed è augurabile, che le future generazioni daranno un senso che noi non riusciamo a immaginare, che questa sia una fase, certamente assai lunga, di transizione. Il nostro tempo è passato.
Vite inutili…
Nascono, crescono, muoiono (come conigli), senza sapere perché son vissuti!