Settant’anni fa, il 18 aprile 1948, prime elezioni politiche, il 2 giugno 1946 era stata eletta l’Assemblea Costituente. Il 1° gennaio 1948 era entrata in vigore la Costituzione, promulgata il precedente 27 dicembre 1947. Enrico De Nicola, capo provvisorio della Stato eletto dall’Assemblea Costituente il 28 giugno 1946, dalla stessa data del 1* gennaio 1948, a norma della prima disposizione transitoria e finale della  Costituzione, esercitò le attribuzioni e assunse il titolo di presidente della Repubblica fino al successivo 12 maggio. Gli successe Luigi Einaudi, economista di fama mondiale. I primi due presidenti della Repubblica, i padri della Repubblica, erano monarchici eletti da repubblicani. Il  figlio del secondo presidente,  Giulio, comunista, fondò la casa editrice che porta il suo nome, la Giulio Einaudi editore. Che grande lezione di democrazia per noi ragazzini allevati sotto il fascismo!
Sono date e nomi stampate indelebilmente nella mia memoria e, quando quei giorni e quei mesi e quegli anni scorrevano, vissute e vissuti con intensa partecipazione, direi in simbiosi, con Benito Lauria.
Ricorderò – è il ricordo semiserio – un comizio che facemmo io e Benito e – è il ricordo serio, molto serio su cui richiamo l’attenzione – : la poesia di Rocco Scotellaro Pozzanghera nera il 18 aprile.
Io e Benito non eravamo elettori, e non lo saremmo stati neppure se fosse stata in vigore la legge ora vigente. Insomma: non avevamo ancora 18 anni. Ci eravamo impegnati per la Repubblica alle elezioni istituzionali del 2 giugno 1946, ci impegnammo a favore dei partiti democratici alle elezioni del 18 aprile, senza prendere posizione per nessun partito in modo specifico. Senza falsa modestia avevamo capito che in quelle elezioni bisognava compiere una scelta di sistema e auspicavamo un voto a favore della DC, o del partito socialdemocratico o saragattiano, come allora si diceva, o del partito repubblicano o del partito liberale. Non a tutti il significato di quelle elezioni era così chiaro. E perciò decidemmo di spiegare il nostro pensiero con un pubblico comizio dalla cappella di San Pancrazio. In quei giorni la piazza era sempre gremita di gente in attesa di comizianti e, in un momento di tregua, salimmo sulla cappella di San Pancrazio e iniziammo il nostro comizio.

     Cominciai io, che presi il ruolo di presentatore del comizio e non mi lasciai sfuggire l’occasione di citare un verso di Dante, giacché frequentavamo il secondo liceo classico. In sostanza dissi: Non crediate che al giovane amico che vi parlerà si possa rivolgere l’invettiva dantesca “e un Marcel diventa ogne villan che parteggiando viene”. Io riuscii a prendermi i miei quattro minuti; il povero Bentio, invece, aveva appena aperto bocca che, come una furia, ci raggiunse il brigadiere dei carabinieri, ci prese per le braccia, ci strattonò e ce ne disse quattro, minacciando di farci passare la notte in camera di sicurezza, perché non avevamo domandata l’autorizzazione a fare il comizio . Quel brigadiere qualche anno dopo sposò una sorella di Benito, Elisa.
Rocco Scotellaro, al contrario, aveva scelto il Fronte popolare, causando con la sua scelta la crisi della giunta comunale di cui era sindaco. Dette sfogo alla sua amarezza per la sconfitta con i versi della poesia «Pozzanghera nera il 18 aprile».

Carte abbaglianti e pozzanghere nere
hanno pittato la luna
sui nostri muri scalcinati!
I padroni hanno dato da mangiare
quel giorno si era tutti fratelli,
come nelle feste dei santi
abbiamo avuto il fuoco e la banda.
Ma è finita, è finita è finita
quest’altra torrida festa
siamo qui soli a gridarci la vita
siamo noi soli nella tempesta.

E se ci affoga la morte
nessuno sarà con noi,
e col morbo e la cattiva sorte
nessuno sarà con noi.
I portoni ce li hanno sbarrati
si sono spalancati i burroni.
Oggi ancora e duemila anni
porteremo gli stessi panni.
Noi siamo rimasti la turba
la turba dei pezzenti,
quelli che strappano ai padroni
le maschere coi denti.

     «Pozzanghera nera il 18 aprile» è il secondo polo, con «Noi che facciamo ?» di una vivace polemica politica sull’opera di Scotellaro di ispirazione marxista e scuola comunista.
Non solo le poesie della Sezione «Capostorno» del poema «È Fatto giorno» e non solo le poesie in generale, ma anche le prose, «Contadini del Sud» in primo luogo, per la penna del non ancora trentenne Giorgio Napolitano, e «L’Uva puttanella» a cura di Mario Alicata e quindi di Alberto Asor Rosa, sono state il pretesto di una critica quasi totalmente negativa basata su elementi politici dell’opera di Scotellaro (ad esempio, la scarsa considerazione in Contadini del Sud dei contadini attivi, dei contadini rivoluzionari). Si aprì un capitolo, che non si può ignorare. Nella polemica si impegnò tutto lo stato maggiore del partito comunista del Sud e dei suoi più raffinati chierici, da Carlo Salinari a Alberto Asor Rosa a Mario Alicata, già citati, e persino a Carlo Muscetta, che peraltro per Rocco, che definiva « ilare folletto lucano », ebbe grande ammirazione e lo aiutò molto nel fallito tentativo di pubblicare le sue poesie presso Einaudi. La polemica fece cadere sull’opera di Scotellaro un silenzio tombale durato vent’anni; da quel silenzio l’opera di Rocco emerse tuttavia per forza vitale propria e impose la sua verità. I giovani leggono Scotellaro; lo scrupolo conservativo di Rocco Mazzarone e l’acribia filologica di Franco Vitelli hanno permesso la pubblicazione di tutte le poesie; nelle Università si discutono tesi di laurea su Scotellaro poeta, saggista, amministratore; giovani studiosi, avendo deciso di studiare Scotellaro, sentono il bisogno di visitare Tricarico in lungo e in largo per «rileggere» nei luoghi cantati il canzoniere di Scotellaro; e ancora c’è in Europa e in America chi sente il bisogno di tradurre in inglese, tedesco, finlandese, francese, spagnolo, portoghese, russo, arabo e giapponese poesie di Rocco.
Già Carlo Muscetta aveva appuntato la sua critica alla poesia «Ti rubarono a noi come una spiga». Il pianto troppo intimista per l’amico assassinato sarebbe il limite che si esprimerebbe comprensibilmente con la poesia «Pozzanghera nera il 18 aprile» per la sconfitta del fronte democratico popolare costituito dal partito comunista e dal partito socialista, oltre che da altre liste minori. Per Muscetta, riferendosi appunto al senso di languore notato per «Ti rubarono a noi come una spiga», riesce comprensibile, perché preso dal panico della sconfitta, che Scotellaro invocasse soccorso a una retorica tutt’altro che contadina e sfociasse in un grido di superficiale veemenza, che nasceva in realtà come avvilito e come sommerso dal trionfo della parte politica avversa. La disperazione di Rocco, scrive Muscetta, era la disperazione di un piccolo borghese, « che eternava in duemila anni la durata di una breve sconfitta episodica » (Oggi e ancora duemila anni / porteremo gli stessi panni. /Noi siamo rimasti la turba / la turba dei pezzenti, / quelli che strappano ai padroni / la maschera coi denti ». Si tratta, per Muscetta, di violenze verbali e letterarie. ( E non vale la pena continuare a citare questa critica, su cui ha fatto giustizia il corso settantennale della storia).
Rocco, in una lettera a Anna Botteri, sua amica di Parma, del 19 giugno 1948, scrive: « Quelli di “Rinascita” che avevano già quasi accettato “Pozzanghera nera il 18 aprile”, la poesia, credo non l’abbiano più pubblicata. Il concetto della poesia è certamente diverso dalle verve pugilistica di questo periodo. Fa niente ». Saranno gli amici di una vita, non sopraffatti dalla cappa dell’ideologia, a dare soddisfazione a Rocco. Carlo Levi e Manlio Rossi Doria, che non avevano condiviso la scelta frontista di Rocco, apprezzarono invece la poesia per il suo valore letterario.
La sconfitta del 18 aprile e la scelta frontista di Rocco, come già detto, ebbero effetti sull’amministrazione comunale eletta nel 1946, provocando le dimissioni di consiglieri indipendenti e lo scioglimento dell’amministrazione.
Muscetta, inoltre, polemizza con la definizione di « Marsigliese contadina » attribuita da Levi alla poesia «Sempre nuova è l’alba», l’ultima strofe della quale è incisa sulla tomba di Rocco (Ma nei sentieri non si torna indietro. / Altre ali fuggiranno /dalle paglie della cova / perché lungo il perire dei tempi / l’alba è nuova, è nuova ). Muscetta sembra quasi contrappore la poesia «Noi che facciamo?» a «Sempre nuova è l’alba». In «Noi che facciamo?» egli sente esprimersi la forza impetuosa dei momenti epici che affiorano alla coscienza più evoluta delle masse, legge un canto bellissimo, pieno di popolare energia. Ma non gli sembra che Rocco andasse oltre, che egli avesse l’animo per innalzarsi a una “ Marsigliese contadina”. « Una «Marsigliese» non può che esprimere una rivoluzione nella sua fase esplosiva ed espansiva, e come inno politico non può non avere estremamente chiari i motivi ideologici e di classe che guidano un popolo alla lotta in un determinato momento. Sempre nuova è l’alba [ … ] finisce là dove dovrebbe cominciare, dove il giovane poeta, piuttosto che abbandonare il capo a un idilliaco struggimento « lungo il perire dei tempi » avrebbe dovuto svolgere il concetto, rimasto generico e vago, che « nei sentieri non si torna indietro ».
Mi piace ora citare, a conclusione di questo aspetto delle considerazioni, gli ultimi righi del saggio sui Contadini del Sud , di tono affatto opposto, e vivo e significativo, dell’ex presidente della Repubblica Antonio Segni, all’epoca ministro della pubblica istruzione nel governo Pella: «Questi contadini rivelatici da Rocco Scotellaro non sono i gretti materialisti definiti da grandi scrittori (Balzac, Maupassant insegnino). Hanno un’anima profonda; i fatti dello spirito costituiscono un elemento fondamentale della loro vita, anche se in forma ingenue, grezze e primitive. Essi sono estremamente sensibili alle qualità spirituali, alla intelligenza, alla bontà, come il fratello di Giustino Fortunato, il dr. R. Mazzarone, esercitano una profonda influenza in queste masse, fondata su motivi essenzialmente spirituali. Quando cesseremo di pensare che anche nei rapporti tra uomini (anche i rapporti produttivi) contino solo i puri calcoli economici, ci avvicineremo di più ad una realistica concezione della vita e dei compiti della società: e questo potrà salvarci dalla terza definitiva catastrofe. Manlio Rossi Doria ha compreso, ha sentito questo amore, che era il fondamento anche dell’opera di Scotellaro, e ne ha curato l’edizione e scritto una profonda prefazione, conforme allo spirito dell’A. scomparso».
Il prof. G.B. Bronzini in «L’universo contadino e l’immaginario poetico di Rocco Scotellaro» p. 77, sottolinea che il tono della poesia di Scotellaro si mantiene alto e non scade mail a livello di canzone di massa, che è invece rilevabile nella canzone composta in seguito nell’aprile del 1948, in seguito al responso elettorale, dal poeta contadino Lanfranco Bellotti, diffusasi nell’area padana e ancora conosciuta e cantata nei decenni successivi in versioni poco discoste dal testo originale del Bellotti. Riporto la prima e l’ultima strofa:

O contadini o operai,
abbiamo perso le elezioni,
è stata colpa dei traditori
che han tradito la libertà.
….
O su coraggio lavoratori
se sempre uniti noi saremo
e tutti noi canteremo
«Bandiera rossa la trionferà».

 

8 Responses to 18 aprile settant’anni fa. Ricordi semiseri e ricordi seri, molto seri di chi c’era

  1. cesare monaco ha detto:

    Carissimo Tonino,
    i ricordi della tua giovinezza, della vostra giovinezza piena di valori,contrariamente all’attuale,l’amore per il tuo amico Rocco Scotellaro e i suoi scritti, la storia che fece l’Italia che tu hai vissuto intensamente, emergono prepotentemente in queste preziosissime righe che hanno avuto il potere di generare in me brividi di compiacimento ed ammirazione. Grazie infinite per le preziosissime perle che non manchi mai di regalarci. Con profondo affetto Cesare

  2. Antonio Martino ha detto:

    Aldo Cazzullo pubblica sul Corriere della Sera di oggi una intervista alla figlia di De Gasperi Maria Romana.
    De Gasperi pensava di vincere?, chiede. «Sì; ma non così tanto. Commentò: “Mi aspettavo che piovesse, non che grandinasse”» .
    Le testimonianze però lo raccontano come il meno entusiasta tra i capi Dc.
    «È vero. Tutti erano euforici, io tirai fuori le bandiere. Lui invece era preoccupato. Sapeva che avrebbe dovuto fare molto con poco. Ma aveva una grande fiducia nel popolo italiano» .
    Anche Moro fu molto preoccupato per quella vittoria. Con mia moglie abbiamo frequentato per molti anni due incontri all’anno presso il Convento benedettino di Civitella San Paolo, dove mia nipote Rosanna, ha preso i voti di clausura. A quegli incontri partecipavano assiduamente la signora Eleonora Moro, la sorella di Vittorio Bachelet (che avevo conosciuto personalmente) e alcune amiche di entrambe. Un’amica intima della signora Moro, che era stata assidua frequentatrice di casa Moro – Titina la chiamava “il libro di storia”- amava parlare e raccontare. A lei Eleonora Moro telefonò quando si fidanzò con quello che poi fu suo marito. –Devo darti una bellissima notizia. Vediamoci, non te la dico per telefono. – Ho capito – rispose l’amica – mi devi dire o che ti fai suora o che ti sei fidanzata -.
    Una volta le chiesi: – Moro come prese la vittoria del 18 aprile? – Noi eravamo impazzite di gioia. Aldo era preoccupato, direi addirittura scontento. Si aggirava per casa con una fascio di giornali in mano, con aria preoccupata, ripetendo: Come faremo, come faremo a gestire tanti voti?

  3. Angelo Colangelo ha detto:

    Caro Antonio,
    leggere la tua puntuale rievocazione storica del 18 aprile 1948, resa particolarmente succosa dalla tua ricca anedottica, mi crea un notevole disagio.
    Non riesco a fare a meno, infatti, di mettere a confronto quegli anni drammatici, ma ricchi di passioni e di valori autentici(come conferma la bella intervista a Maria Romana De Gasperi) con i nostri giorni, che vedono protagonisti sulla scena politica nazionale persone di discutibile valore intellettuale e morale.
    Insomma, il mondo della politica nazionale ridotto ormai a un triste e mortificante avanspettacolo, che non si ferma nemmeno nelle più alte e solenni sedi istituzionali.
    Come testimonia il raccapricciante siparietto al Quirinale di Berlusconi (dico un pregiudicato con sentenza sentenza definitiva!)al momento delle dichiarazioni del capo della sua delegazione dopo l’incontro con il Presidente Mattarella. O tempora, o mores!
    Un caro saluto,
    Angelo

    • Antonio Martino ha detto:

      Bisogna vivere il nostro tempo, caro Angelo. Ricordi la canzone di Piero Pelù? Ti farei volare sulle onde / Sopra un mare che è sempre tempesta / perché Vivere il tuo tempo / È un equilibrio dentro.
      Io che oramai sono un vegliardo, ho conseguentemente avuto la fortuna di vivere molti tempi, così diversi. Per tutti, il tempo migliore è quello della gioventù. La mia gioventù ha attraversato il fascismo, la guerra, la pace, la fame, la ricostruzione, il miracolo economico: ho visto uno stagnino confinato a Tricarico eletto all’Assemblea costituente e senatore di diritto. Da quegli eventi, più che dai libri letti, ho imparato tutto. Oggi li chiamano prima Repubblica, ed è qui il mio disagio. Un abbraccio, Antonio

  4. domenico langerano ha detto:

    Caro Antonio,
    ho letto il tuo ricordo, ma, con avidità, soprattutto i soliti aspetti ‘minori’ che fai ruotare attorno all’evento principale.
    Mi hanno molto fatto sorridere, superando (perdonami)la lettura ripoposta della polemica dei comunisti nei confronti della poesia di Rocco, per la quale credo che pur valendo il ‘repetita juvat’ bisognerebbe sempre contestualizzare il periodo ma, soprattutto, osservare che se Rinascita e pezzi da 90 del PCI meridionale prestarono attenzione, sia pur superficiale e negativa, gli stessi non si accorgevano che essendosi ripiegati a rintuzzare il lavoro di un giovane pelo rosso, ipso facto,come direbbero gli avvocati, si riconosceva l’importanza della meravigliosa e particolarissima poetica del nostro; tanta meravigliosa a parer mio, proprio in poesie come questa del 18 aprile, che un giovane figlio di mio cugino la conosce a memoria e quando é incazzato per il qualunquismo culturale che stiamo vivendo, frutto anche della sciatteria politica imperante dal livello locale a quello regionale e nazionale, la recita digrignando i denti!
    Cosa che faccio anch’io, ma dentro di me (anche cantando le canzoni di lotta operaie) quando penso a come i vari Renzi, Napolitano et similia (tra cui anche molti emiliani che conosci) hanno ridotto un partito che aveva l’ambizione di portare ad unità quanto rimaneva di eredità di Gramsci e Berlinguer da una parte e di Moro e Zaccagnini dall’altra.
    Con affetto
    Mimmo

  5. Rachele Ubaldo ha detto:

    Ho appena scoperto questo blog e credo che non lo lascerò facilmente, regala emozioni, veramente.
    Rachele

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