Il quarto racconto è intitolato La morte in vacanza, costruito sul tema delle cosiddette “madrine di guerra” (o “madrinaggio”).
Nato durante il primo conflitto mondiale, il madrinaggio si diffonde durante gli anni del regime fascista, che poi ne scopre la pericolosità dovuta alla circolazione di notizie che gli organi ufficiali di informazione erano tenuti a tacere. Giovani donne rinfrancavano il morale dei soldati sui vari fronti, da 40° gradi sotto zero (Russia) a 40 sopra (Africa), intrecciando fitte corrispondenze epistolari sfociate frequentemente in matrimoni o comunque in durature e profonde amicizie. Una particolare forma di madrinaggio si intrecciò tra ragazze italo-americane e prigionieri prevalentemente italiani, (ma anche anche tedeschi), in America. I prigionieri godevano di una certa libertà. Mi hanno raccontato che se ne vedevano passeggiare la domenica sulla V Strada, in divisa militare americana, con sulla spalla la scritta P. W. (Prisoner of war). Le ragazze organizzavano sabati danzanti con prigioneri: una mia cugina ha sposato un tedesco, che ho conosciuto, col quale ha vissuto nel New Jersey una vita felice e hanno formato una bella famiglia.
Il racconto è attestato da due redazioni, entrambe senza data. Su una di esse Scotellaro firma a mano con matita blu “Rocco Enzo Scotellaro” e riporta a mano delle correzioni poi assorbite nel testo dell’altro dattiloscritto, che, pertanto, la prof. Dell’Aquila ha scelto di riprodurre sulla speciale edizione di Forum Italicum.
Il titolo del racconto corrisponde a un modo di dire figurato e scherzoso, che si dice di chi ha un aspetto emaciato (pare la morte in vacanza).
Giuliana pareva la morte in vacanza: “le occhiaie profonde, gli zigomi sporgenti, con più rughe sulla fronte, con le spalle stecchite, i seni flosci, sfiancata”. Non ha però perso la voglia di “imbellettarsi e uscire la domenica mattina. Mario, il suo figliocco in guerra, è “solo come lei”, ma almeno dalla foto appare bello e vitale: “una barbetta affascinante, il volto mesto e gioviale, le labbra gonfie, i capelli a ruffelli”.
C’è l’incontro di realtà diverse e la fine indagine psicologica della donna, una profonda riflessione sul senso dell’esistenza, sulle legittime aspirazioni della giovinezza e sulle amare delusioni della maturità. “Mi hanno riferito – scrive Mario – che siete una magnifica Giuliana e m’immagino il vostro corpo di rose e le vostre guancie infiammate e le vostre labbra tremolanti in un palpito d’amore”.
“M’hanno riferito”. E chi? Una burla vigliacca per irridere una povera donna infelice, che reagisce con la sua immaginazione.

4. La morte in vacanza (1)

Domenica imbellettarsi e uscire! Civettare e canticchiare passeggiando, come le rondini impazzite in tutte la primavere. Senza perché, certo. Non c’è alcuno che ti aspetti all’uscita, non si dirige all’appuntamento, non si lusinga di avere degli sguardi furtivi, ma nella calca della gente passeggerà anche lei, come presa da una smania tutta giovanile.
La domenica e gli altri giorni sempre così!
Giuliana si ammira allo specchio per dare l’ultimo ritocco al suo volto. È un vecchio specchio reso giallo dal tempo e lei vi si vede con le occhiaie profonde, i seni flosci, sfiancata. Solo le caviglie hanno qualcosa di femminile e di veramente grazioso e sono ricordo della sua infanzia, quando, lei dice, era bellina e innocente e tutte le amiche della povera mamma le accarezzavano le caviglie.
Giuliana è ora quello specchio, ora, come ieri, come da anni.
Illusioni su illusioni si sono addensate su quella superficie argentata.
La sua immagine sembra adesso rimproverarle la persistenza idiota a imbellettarsi, sembra minacciare la certezza che anche che anche quei pochi capelli resisteranno meno sulla sua testa inaridita. Perché quel rossetto e quella cipria? “Guarda – sembra dica l’immagine – sei sempre tale, brutta sei e la montatura non ti dà un lineamento che non hai”. Se qualcuno almeno le dicesse: “In compenso ha belle caviglie!”, Giuliana sarebbe oltre modo contenta; ma l’immagine è terribile, l’accompagna sempre e dovunque: le rughe, i seni flosci …
Ancora una toccatina, macché! E ricomincia daccapo disperata: si lava, si liscia i capelli, per cui non sa trovare un’idonea acconciatura, e di nuovo il rossetto e la cipria … lo specchio implacabile, l’immagine, le caviglie, ed esce.
La strada è affollata: i soliti volti conosciuti, ammirati, invidiati; i bei giovani che non la degnano di un sorriso, cattivi! Tutti vestiti in una foggia nuova e varia, e la vecchietta col libro delle preghiere che arranca nella folla strisciando io muro e tirandosi la lunga gonna grigia.
Il primo specchio all’angolo: l’immagine di Giuliana! Lei sbigottisce m non fa a meno di guardarsi. Ed è sempre quella: seni flosci, sfiancata; ed è lo stesso specchio ineluttabilmente.
Qualcuno ha guardato, ha riso, riso sarcasticamente, di lei, che arrossisce; ridono parecchi, lei si è infiammata in viso e pensa che forse è meno brutta l’immagine … “La morte in vacanza” – han detto, e le caviglie le sono venute meno.
-Buona sera, signorina – Un vecchio signore l’ha salutata.
Più in là, la vetrina della moda e un altro specchio! Quel vecchio signore che l’ha salutata, facendo un inchino e scoprendo la calvizie, la vede spesso in ufficio, e la guarda sempre con senso di comprensione.
La strada dirada. Il poco belletto s’è sciupato e lei, come una tragica macchina che funzioni a carica, deve rientrare: la passeggiata mattutina domenicale è finita. A casa riporterà nuove illusioni, dove lo specchio rinnoverà i rimproveri, l’immagine dirà che ancora qualche cosa bella in lei è morta, come d’un corpo in disfacimento.
Giuliana abita sola in una stanzetta, che dà in un cortile, che dà l’aspetto desolante della dimora d’una morente. Ma lei, Giuliana, salendo le scale, pensa trovi qualcuno, qualcosa …
– Signorina, c’è posta per voi – le dice il portiere.
– Grazie, Nicola, grazie, grazie! –
Ma chi le scrive? Forse il vecchio zio dal paese per il suo compleanno che è ricorso l’altr’ieri? Freme, legge.
“Adoratissima Sig. Giuliana …”
Ricorre allo specchio: lacrime a lungo contenute le spuntano dagli occhi. Sì. Così forse potrebbe star bene Giuliana, l’adoratissima Giuliana. Più lacrime: si sente rinascere. In quel pianto trova per la prima volta una consolazione indefinibile. Sì, coì, con le lacrime giù a dirotto, forse sta bene l’adoratissima Giuliana.
L’immagine è confusa, trasfigurata, esaltata, che lo specchio appannato la circonfonde come un’aureola di gigli bianchissimi, e a quell’immagine Giuliana legge la lettera d’ampre, che proviene dal fronte, da una zona di combattimento, dove la vita e la morte non hanno aspetti differenti, laddove qualcosa della vita muore a poco a poco, proprio come d’un corpo in disfacimento. Posta militare 103. Lui si chiama Mario. Manda una foto. È bello: una barbetta affascinante, il volto mesto e giovanile, le labbra gonfie, i capelli a ruffelli. – Mario! Mario ! –
Senza mai volgere lo sguardo altrove, Giuliana siede davanti allo specchio. L’immagine e lei quest’oggi si sono incontrate. Palpitano, piangono entrambe.
– Mario! –
Anche Mario è solo come lei. Ed è doloroso sapersi dimenticato, non avere uno che gli ricordi l’affetto, l’amore! Voglia Giuliana scrivergli, raccontargli cose varie, indirizzargli parole affettuose! Lui le risponderà e così un filo invisibile unirà i loro sentimenti. Bello!
Ricomincia a leggere da quelle parole “adoratissima Giuliana” e il voltare la pagina le pare debba assumere carattere d’un avvenimento, d’un fatto importante. Con il foglio in mano va alla finestra: fuori regnano solenni le calme del meriggio.
Ha voltato pagina. Bene! È scritta tutta fino in fondo con una scrittura piccola, contorta. “Mi hanno riferito che siete una magnifica Giuliana e m’immagino il vostro corpo di rose e le vostre guancie infiammate e le vostre labbra tremolanti in un palpito d’amore”. E sotto sotto, con la scrittura piccola, contorta, la firma “Il vostro figlioccio Mario”.
“M’hanno riferito”e chi? Qualcuno s’era burlato di lei. Era così certamente.
Giuliana comunque volle immaginarsi Mario bruttino, così almeno sarebbe stata contenta e l’immagine avrebbe riso. Commossa, nello specchio, mordendosi le labbra per lacrimare.

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(1) Forum Italicum, Vol, 50, 2, Issue 2016, pp. 758-9; 779-81

 

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